Siamo “in emergenza”, torna ad avvertire Guido Carli. Bisogna colpire pensioni e salari, ma occorre anche puntare alla “crescita zero” del numero dei dipendenti pubblici. E privatizzare. E sfruttare la “disponibilità a pagare” di una parte degli utenti nei delicatissimi settori della sanità e dell’ istruzione. Quindi va riformato l’ ordinamento finanziario degli enti locali. E, ancora, vanno revisionate le procedure di bilancio… Insomma, rigore. Che poi vuol dire stringere (subito) la cinghia. Altrimenti l’ Italia può abbandonare il sogno europeo perché già oggi la dinamica della spesa pubblica “non é tale da consentire” la convergenza richiesta dagli accordi di Maastricht. Emergenza… E così, mentre la Confindustria lancia la sua maxi-proposta sul costo del lavoro e ancora risuona il monito del governatore Ciampi, anche il Tesoro rilancia, in sintonia con la Banca d’ Italia, l’ allarme spesa pubblica. Lo fa in un volume, un “libro verde”, redatto dalla competente commissione, presieduta da Piero Giarda. 320 pagine che contengono un’ analisi impietosa dei mali nazionali. E anche tante, tantissime cifre che, sebbene non nuove, fanno impressione messe lì, tutte in fila. Per esempio: dal 1987 al 1991 la crescita della pressione tributaria e contributiva, pari a 4,2 punti del pil, é servita a pagare il costo crescente degli interessi (più 2,3 punti), quello della spesa al netto degli interessi (più 1,2 punti) e “solo marginalmente” é andata a ridurre la quota del fabbisogno sul pil (meno 0,7 punti). E ancora: negli ultimi quattro anni, sempre, la spesa pubblica é stata superiore a quella programmata. E le manovre correttive attuate sono state inferiori a quelle annunciate… “Errori di uomini o crisi del sistema?”, si domanda il ministro del Tesoro uscente, nella prefazione. La causa del dissesto – scrive – é imputabile “all’ estensione assunta dal principio della gratuità delle prestazioni pubbliche rese al cittadino”. Ma ombre pesanti gravano anche sul parlamento, “dove si fanno, si emendano, si rifanno le leggi”. Occorre quindi costituire un governo “composto da ministri che, nella loro collegialità, condividano la convinzione che siamo in emergenza, che urgono provvedimenti d’ emergenza e ripudino la filosofia di populismo egualitario nella quale, durante due decenni, si sono riconosciute le forze presenti in parlamento”. Le pensioni sono in cima alla lista delle urgenze. In sintesi: per i nuovi assunti, l’ età del pensionamento per vecchiaia deve salire a 65 anni. Per la pensione di sanità devono esserci 40 anni di contributi. La percentuale di commisurazione deve scendere dall’ 80 al 50-70 per cento; il calcolo della base pensionabile deve passare dagli attuali 5 anni all’ intera vita contributiva. La riforma – scrive il Tesoro – riguarderà tutti i lavoratori e andrà successivamente armonizzata col vecchio regime. E ancora: le retribuzioni pubbliche. Si raccomanda “una chiarezza rigorosa” della trattativa per la definizione del rinnovo contrattuale 1991-1993. L’ obiettivo, come hanno già avvertito la Banca d’ Italia e la Confindustria, deve essere quello di contenere le retribuzioni entro il tasso programmato d’ inflazione. Ma bisogna anche bloccare il turn over, mantenendo invariato il numero dei dipendenti pubblici e indirizzando le nuove assunzioni solo “verso quei settori ove ciò é richiesto dallo sviluppo della domanda”. Un dato: nel prossimo triennio, tra cessazioni dal servizio, collocamento a riposo, uscite volontarie e mortalità, ci saranno 200 mila dipendenti in meno. Il Tesoro rinnova l’ appello a privatizzare: “le ragioni e i vincoli di finanza pubblica giustificano una aggressiva politica di reimmissione sul mercato delle aziende pubbliche, specie quelle che si trovano in situazione di profittabilità ed efficienza”. Ed elabora 5 regole da suggerire all’ Iri per le telecomunicazioni, all’ Eni per il settore del gas, all’ Enel per l’ energia elettrica. Misure urgenti, ma anche tagli. Tra questi l’ intervento pubblico di sostegno all’ attività produttiva che va contenuto “fino a sparire”. I denari risparmiati potranno essere proficuamente spesi in settori come la giustizia, la tutela ambientale (un evergreen n.d.r), il riassetto delle aree urbane “in cui la domanda collettiva é divenuta più pressante”. Inoltre, sulla finanza locale: bisogna ampliare le fonti di entrata regionale basandosi su sovraimposte e addizionali ai tributi erariali. Nell’ istruzione e nella sanità: bisognerà superare “la filosofia ancora radicata della gratuità diffusa”. Il “dissesto della finanza pubblica”: così lo chiama Guido Carli. E avverte: l’ architettura del risanamento, per essere efficace, ha bisogno di solide basi. Perciò le procedure e i vincoli sulla formazione e la gestione del bilancio vanno resi “più stringenti”.
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