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Mara Mucci, ex M5S: «Il Movimento? Una delusione. Di Maio? Il nulla assoluto»

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Il Movimento 5 Stelle nacque ufficialmente il 4 ottobre del 2009 su iniziativa di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, sulla scia dei fortunati “vaffanculo-day” organizzati dal comico genovese in diverse piazze italiane già dal 2007. Il format del “v-day” era quello di un evento a metà tra lo spettacolo gratuito e il comizio politico, ebbe quindi molto successo sia perché si contestualizzava in piena crisi economica – con il berlusconismo in parabola discendente –  sia perché la possibilità di assistere a uno spettacolo di Grillo senza spendere almeno 70 euro portò molti curiosi nelle piazze dove si svolgevano i comizi-show. Nei mesi successivi alla sua nascita, il M5S iniziò a radicarsi sul territorio nazionale attraverso dei circoli virtuali, i cosiddetti meet-up, con una variegata umanità che scelse di prendere parte a quella nuova esperienza con motivazioni spesso molto diverse tra loro. C’era chi – come in tutti i partiti – vedeva nel nuovo soggetto la possibilità di sbancare il lunario (dagli studenti universitari fuori corso da molti anni ai soggetti senza arte né parte nella società), c’era chi voleva “spaccare il mondo” iniziando dal potere costituito (nulla di particolarmente originale, in realtà), ma c’erano anche pezzi di società civile e dell’associazionismo che trovarono nelle prime parole d’ordine del movimento – quelle su ambientalismo, sburocratizzazione e digitalizzazione – una nuova (o addirittura una prima) collocazione politica.

Tra loro c’era Mara Mucci, parlamentare imolese e mamma di due bambini. Oggi è uno dei tanti “grillini pentiti”, perché uscita dal M5S insieme ad altri 9 colleghi all’epoca dell’elezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica. Da allora ha continuato l’attività politica nel gruppo misto. «Noi siamo usciti durante l’elezione di Mattarella – racconta – perché si era toccato il fondo, dall’imposizione di un direttorio con listino bloccato e voto non certificato, alla cacciata dell’ennesimo collega (il deputato Massimo Artini che sosteneva che la Casaleggio Associati “spiava” le caselle mail dei parlamentari, ndr). Scoprimmo dal blog che il nome del candidato alla Presidenza della Repubblica lo si chiedeva a Renzi e che il Movimento non avrebbe avanzato proposte, una follia. Nessuna decisione su questioni fondamentali veniva condivisa, per sapere cosa fare bisognava andare sul blog». Una volta uscita, la deputata ha dovuto subire – come tutti i “traditori” del verbo di Grillo e della Casaleggio Associati – insulti e minacce di ogni tipo da parte degli adepti del comicoleader genovese, soprattutto sui social network. Una rabbia spesso indirettamente fomentata dai colleghi più in vista e da tutto l’apparato della comunicazione del M5S, che in quel periodo bollava i dissidenti come persone attaccate ai loro stipendi che uscivano per non “restituirli” ai cittadini. «Ho dovuto dare le chiavi d’accesso dei miei profili social al mio compagno; alcuni commenti erano di una violenza inaudita e mi auguravano di tutto, dalle torture allo stupro, fino a finire appesa a testa in giù a Piazzale Loreto, come Mussolini. Con pazienza i più violenti sono stati cancellati, ma scorrendo si trova ancora qualcosa, soprattutto tra i messaggi privati. Oltre che violenti sono pure dei codardi. Un po’ mi è dispiaciuto non seguire direttamente l’entità di questo fenomeno, ma in quel periodo ero davvero sotto pressione, soprattutto perché avevo un bimbo piccolo. In parte queste esplosioni di rabbia dipendono dallo strumento utilizzato, ovvero i social network, che creano una barriera tra te e l’interlocutore. L’Hate Speech dipende proprio da questa spersonalizzazione sempre più diffusa. Se sei una persona poco consapevole e con una vita sociale limitata, quando vai in rete non ti rendi conto di rivolgerti ad un’altra persona in carne ed ossa. Ricordo che quando mi è capitato di incontrare attivisti del movimento sul territorio, anche i più “feroci”, non ho mai ricevuto una critica e nessuno si è rivolto a me con ingiurie di alcun tipo, anzi, in molti volevano parlare ed in alcuni casi esprimermi la loro solidarietà».

Il percorso dell’ex grillina inizia dal basso: «Come molti, mi ero avvicinata al Movimento attratta dalla semplicità del messaggio di Grillo e dal fatto che sentivo la necessità di immettere forze nuove in politica. Non si può negare il fatto che su alcuni temi il Movimento 5 Stelle abbia costretto la politica tradizionale a confrontarsi e a cambiare. Poi quella spinta è andata via via perdendosi, soprattutto a casa di una gestione verticistica e poco trasparente. Entrai inizialmente per dare una mano a Giovanni Favia, candidato sindaco per le amministrative bolognesi del 2009. Mi iscrissi al MeetUp di Bologna e iniziai a partecipare interessandomi di tematiche locali. Poi il Movimento crebbe in modo molto repentino e si presentò l’occasione delle politiche, dove per regolamento poteva essere inserito in lista solo chi era già stato candidato in precedenti elezioni». Favia, ex consigliere comunale bolognese e successivamente eletto in consiglio regionale, fu uno dei primi espulsi del movimento, cacciato per un fuori onda dove lamentava l’assenza di democrazia nel M5S e il controllo totale esercitato dal duo Grillo – Casaleggio senior. «Giovanni ha sempre avuto fiducia nell’onestà altrui e probabilmente fu ingenuo (o troppo diretto) a raccontare quelle cose a un giornalista senza rendersi conto di essere registrato. Sono convinta, però, che l’incidente fu solo un pretesto per mandarlo via, perché era l’eterno rivale di Massimo Bugani, che oggi è uno dei tre soci dell’associazione Rosseau solo in virtù della sua amicizia con Grillo».

L’ex grillina prima di arrivare a Montecitorio lavorava nel campo dell’informatica come il candidato premier in pectore del M5S, Luigi Di Maio. «Ma io ho una laurea quinquennale un’altra cosa», sorride. A differenza di molti eletti della “prima ondata” – quella del 2013 – ha un curriculum di tutto rispetto e si caratterizza già dai primi mesi come una mente libera, spesso in dissenso con le decisioni imposte agli eletti da Milano e da Genova. «Il mondo si divide in persone che fuori dalla politica hanno una vita loro e persone che fuori dalla politica sono il nulla cosmico. Non hanno competenze, non hanno attitudini, non hanno nulla da dare. Se hai un passato di indipendenza e non hai paura di finire sotto un ponte, non hai paura di esprimere la tua opinione. Chi non ha tutto questo, subisce in silenzio e si adegua alle decisioni imposte dall’alto, anche se non le condivide. E non parlo solo dei deputati e dei senatori: c’è – come in tutti i partiti – un enorme sottobosco di consiglieri comunali che aspirano a posti di maggior prestigio; e poi consulenti, portaborse, ecc… Per non parlare di aziende satellite, associazioni e altre realtà che sperano che il Movimento 5 Stelle vada al potere per trarre i loro profitti. Tutto il mondo è paese, insomma».

Sono in tanti tra fuoriusciti ed ex elettori a lamentare un totale stravolgimento della mission iniziale del Movimento 5 Stelle, oltre a una totale assenza di democrazia interna che ha tradito ormai da tempo l’ormai caricaturale motto “uno vale uno” che tanto doveva rivoluzionare i tradizionali percorsi decisionali della “vecchia politica”. «La Casaleggio Associati è specializzata in marketing e nell’utilizzo dei social media. Di conseguenza, non stupisce che il Movimento 5 Stelle segua i trend del momento, i temi che possono far breccia sulle persone – soprattutto quelle meno colte o disattente – riverberando la sua comunicazione su quello. Per farlo utilizza i prodotti che vediamo ogni giorno sul web, dai video degli studiatissimi interventi dei parlamentari – quasi sempre fuori contesto rispetto alla discussione in aula, ma questo il “pubblico” non lo può sapere – alle immagini diffuse su profili facebook e pagine fan di quegli eletti scelti dagli esperti di marketing come veri e propri “testimonial” del prodotto. Persino molti profili social “fake” pro M5S sono gestiti da Milano. Si utilizzano le stesse metodologie aggressive degli uffici comunicazione delle aziende: finti commenti, finte valutazioni positive e così via. In altri casi questi profili nascono spontaneamente per emulazione: il più delle volte si tratta di persone che passano intere giornate chiuse dentro casa e sviluppano una forma di sociopatia. Sono i trend a fare la politica, non gli eletti, tantomeno gli iscritti. E la società ci guadagna in visibilità: attualmente la Casaleggio Associati è una delle aziende più note in Italia».

Marketing applicato alla politica, dunque, ovvero una rivisitazione del modello berlusconiano – dove l’agenda politica era ed è tuttora dettata dai perfetti sondaggi di Alessandra Ghisleri – ma con la rete a sostituire le televisioni. Sopratutto nei primi mesi della legislatura – l’era di Crimi, volendo trovare un riferimento – non tutto va come dovrebbe, a causa di un risultato assai sopra le aspettative del M5S che porta alla Camera e al Senato un’armata di esordienti che in moltissimi casi non hanno le competenze per amministrare neanche un piccolo condominio. «All’inizio era un disastro; eravamo impresentabili e ogni volta che qualcuno parlava si rischiava di cadere nel ridicolo. Per questo la Casaleggio Associati prese degli esperti di comunicazione pagati con i soldi del gruppo. Tra loro c’era una donna in particolare, Silvia Virgulti (l’attuale compagna di Luigi Di Maio, ndr), che divenne presto una vera potenza all’interno del movimento. Fu lei a formare alcuni “prescelti” e fu sotto la sua direzione che i vari Di Battista, Toninelli, Taverna e lo stesso Di Maio – con cui inizierà una relazione – hanno svolto corsi di public speaking per affrontare al meglio le partecipazioni televisive.  Cura personalmente la maggior parte dei testi (lei e non Rocco Casalino, che altrimenti farebbe ancora più danni), sia per ciò che concerne gli interventi letti in aula che per tutte le uscite pubbliche. È una maestra nell’uso della parola ed è in grado di applicare i trend alla comunicazione politica. Nello staff della comunicazione è una figura apicale».

I personaggi più in vista del Movimento 5 Stelle sono dunque come gli attori di una compagnia teatrale che si esibiscono in un enorme palcoscenico mediatico e i criteri con cui questi attori vengono scelti sono gli stessi con cui si decidono i componenti della famiglia del Mulino Bianco. Un palcoscenico ripreso dalle dirette Facebook e da tutti i media tradizionali. I testi recitati sono scritti da esperti comunicatori seguendo i trend, lo scopo è quello di mettere in cattiva luce gli avversari politici – soprattutto quelli che sono al governo, quindi il Partito Democratico e i suoi esponenti nazionali e locali – per far crescere il consenso. «Ogni argomento può essere strumentalizzato per un uso politico, dalla flessione dei consumi per le vacanze di Pasqua fino al terremoto. Ciò che non manca è un certo “coraggio”, perché ci vuole davvero del coraggio a dire certe sciocchezze, soprattutto su fatti drammatici». Tuttavia, in più di un’occasione si è dovuto correggere il tiro. «Ricordo di una figuraccia che fece Carlo Sibilia quando fu mandato ospite a “La Gabbia”. Il giorno dopo ho sentito Casalino dire: “questo qui non lo mandiamo più da nessuna parte”. Poi gli hanno dato un ruolo di responsabilità interno (responsabile scuola e università, ndr) per premiare la sua condotta “allineata”. Il metodo è lo stesso dei vecchi partiti: si premia la fedeltà e non le competenze».
Fuori dal “cerchio magico”, regna ormai il silenzio. I dissidenti sono sempre meno e anche quelli che vorrebbero dire la loro su determinate questioni più o meno centrali preferiscono la via del silenzio. «Probabilmente gli ultimi “ribelli” siamo stati noi. Chi si mette a dissentire in un partito che è stimato al 30% dove la visibilità dei singoli è gestita da poche persone che decidono tutto? Come dicevo, chi non ha particolari capacità e sa di essere un “miracolato” sceglie di accettare tutto per garantirsi la ricandidatura. Se hai una testa, non riesci a star zitto rispetto a certe cose, a meno che tu non ti sia venduto per un posto. Ci sono poi gli egocentrici, quelli che non rinuncerebbero mai alla loro visibilità e si adattano a tutto pur di non perderla. A molti non vedere i problemi fa persino comodo, perché l’assenza di un dissenso provoca l’assenza di una sana competizione interna. Se ci fosse competizione interna, un Di Maio non sarebbe ai vertici».

Mara Mucci, pur non nascondendo disillusione e amarezza per ciò che è stato, sta cercando di portare a casa qualche risultato utilizzando questo ultimo scorcio di legislatura: «Vorrei chiudere alcune questioni aperte, a cominciare da alcuni provvedimenti che ho presentato per l’ammodernamento e la digitalizzazione del paese, e ottenere lo sblocco di un fondo per il turismo che è partito da un mio emendamento ma che ancora non è nelle disponibilità delle piccole imprese. Se potessi tornare indietro, affronterei sicuramente tutto con meno impulsività e organizzerei meglio la controffensiva al pensiero unico, ma anche per questo ci vuole esperienza. In generale, in politica è sempre difficile incidere e diventa impossibile se non fai parte di un gruppo. Avevo iniziato in un movimento che voleva portare il cambiamento con le decisioni dal basso, oggi in quel partito i parlamentari non possono neanche esprimersi liberalmente altrimenti devono pagare delle penali».

La democrazia si mantiene su equilibri sottili e fragili. La ricerca del “nuovo” che soppianta il “vecchio” è un fattore ciclico e quasi inevitabile, ma va mitigato per evitare che produca disastri.  Nel 1994, Silvio Berlusconi si presentò come il “il nuovo miracolo italiano”, Matteo Renzi ha fondato la sua ascesa politica sulla parola “rottamazione”. La Casaleggio Associati estremizza il concetto, presentando il Movimento 5 Stelle come “l’ultima speranza”. Mara Mucci – emiliana – sospira: «Sono le stesse parole che utilizzavano le propagande di regime del secolo scorso; la gente dovrebbe ricordarlo per non cadere negli stessi errori».

La “comunicazione tossica”

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Si fa un gran parlare su vari siti e blog, di comunicazione politica manipolata, di “suggeritori occulti”, di complotti.

Seguono a ruota, per “restare sul pezzo” (selettivamente scelto) vari giornali e televisioni che sfornano questo o quel commentatore che si esprime e dice la sui metodi altrui.

La comunicazione diventa “tossica” quando viene strutturata non tanto secondo “tecniche retoriche” (che sono sempre esistite) ma da quando vengono utilizzati in maniera sistematica sistemi di manipolazione e di costruzione del messaggio.

Dopo la trasmissione “Piazza Pulita” in molti – anche del movimento 5 stelle – hanno chiesto che Grillo (o Casaleggio) parlassero e chiarissero… Questo mi da lo spunto per approfondire il tema.

Il sistema di comunicazione importato da Casaleggio – e che esiste da una ventina di anni, ovvero da quando la rete nel resto del mondo ha cominciato interattivamente a svilupparsi, in particolar modo con listserver, chat, gruppi di discussione e poi blog – segue piccole e semplicissime regole, che è bene dire, anche per “riconoscerle”.

I temi
I temi trattati non possono essere “spontanei”, perché devono essere svolti in una direzione precedentemente stabilita. Per fare questo vanno “testati” – non solo per argomenti, ma anche nella scelta delle parole, nella sintassi e nella semantica – affinchè successivamente possano essere “aggreganti”.

È quello che su twitter è conosciuto come “hash tag” – che in maniera immediata individua e crea un gruppo di discussione e un tema e aggrega le persone in un “luogo”. Nello specifico, vengono creati dei “luoghi di discussione paralleli”, cadoinpiedi, tzetze (questi due siti non esistono più), chiarelettere, in cui lanciare temi ed argomenti, simili ma semanticamente declinati in modo differente.

Si comprende come e quale sia quello di maggiore aggregazione e soprattutto con maggiore capacità aggregante, si formula un messaggio semplice, e lo si rilancia in maniera massiccia sul “portale principale”.

Il “nuovo messaggio” parte dalla massa critica già raccolta di utenti che hanno partecipato precedentemente, che in maniera consapevole (pochi e i primi) rilanciano, e gli altri, di conseguenza, attraverso un sistema di sarin diretto (condividi sui social network ad esempio) o indiretto (mi piace, retwitt, commento indicizzato…)

I temi trattati diventano anche “parole tag a incrocio semantico”. Il che significa, nel linguaggio degli algoritmi usati dai motori di ricerca, dagli rss, dai feeds, e così via, che su ognuno dei temi chiave avverrà l’incrocio immediato (per rilevanza, data da rilanci condivisioni e commenti) tra il sito/blog/autore e il tema trattato. Nello specifico, è immediato che sui temi caldi, e più sentiti dalle persone, e più ricercati in rete, automaticamente apparirà che quel blog ne ha parlato in maniera rilevante.

Gli influencers
Chi sono e come si muovono lo abbiamo già detto
http://micheledisalvo.com/2012/08/20/chi-sono-e-cosa-fanno-gli-influencers/
Possiamo aggiungere che la loro è una funzione essenziale nella parte iniziale del rilancio del messaggio. A questo articolo un utente ha posto una domanda/problema interessante, che riprongo con la mia risposta:
Rimane sempre il dubbio se realmente quel contenuto / prodotto / idea / video sia condivisa perchè veramente valida. Ovvero come faccio a capire se sono infulencers quelli che lasciano commenti ecc. per un contenuto che poi in realtà veramente ha un valore reale e positivo?

Non posso sempre pensare che una cosa solo perchè largamente condivisa, apparirà tale perchè vi sono bot e fake che così vogliono farla apparire, cioè accettata da tutti… diventa difficile distinguere quindi la realtà con i falsi.

Bisognerebbe trovare un modo per far si che le macchine non vengano introdotte in internet e interagiscono con la vita degli utenti umani che navigano sul web. Ma come, se tanto basta creare un account fasullo e nessuno lo riconoscerebbe?

Questo nel caso di semplici navigatori non esperti di informatica e senza mezzi per creare fake sofisticati e veritieri. Chi invece ha a disposizione tali risorse e competenze può creare bot e fake ancora meglio camuffati!
Mi verrebbe voglia di non andare + su internet, ma è impossibile perchè cmq rappresenta un grande centro di informazioni, anche banali, che so, cercare il significato di qualcosa!

Da un punto di vista tecnico, e’ il nodo che da cinque anni si sta cercando di risolvere, ma che ovviamente interessi contrapposti (soprattutto delle aziende più grandi) impediscono… Ma credo sia sempre un bene parlarne e discuterne e non lasciare che questi temi restino tra tecnici, visto che riguardano tutti. Da un punto di vista politico, la discriminante e’ sempre la “criticità” della condivisione…

Ovvero un commento, un distinguo, la partecipazione ai commenti, etc…
Oltre anche alla naturale “velocità media” dello share. Se io metto un articolo, e mediamente in tre giorni lo condividono in 200, ci stanno anche nella media punte di 500 condivisioni in due giorni…

Se in maniera sistematica ogni articolo nel primo giorno viene condiviso 2000 volte… Basta togliere quelle 2000 dai calcoli, perché significa che e’ un’operazione sistematica e tecnica, e non una reale l’ora di condivisione…
(questo e’ solo un esempio pratico di quello che normalmente i tecnici della comunicazione fanno per avere un indice realistico).

Il processo di aggregazione
Le dinamiche del processo di aggregazione sono tanto semplici quanto difficili da realizzare, e sono il vero motore dinamico e impagabile del “prodotto finale”. Avere infatti un numero più o meno rilevante di soggetti attivi perché convinti, significa anche avere un patrimonio di lavoratori non pagati, che diffonderanno un messaggio/contenuto difendendolo come proprio, e contemporaneamente generando accessi e massa critica di messaggi e interazioni.

1. le parole semplici e i sillogismi
noi siamo buoni e onesti > chi non è con noi non lo è
noi siamo per… > chi non è con noi non lo è
noi non apparteniamo a… > chi non è con noi non lo è

attraverso questo primo messaggio di ottengono due risultati: risultato immediato – aggregare soggetti che anche se non si conoscono tra loro si riconoscono in macro categorie offrire una prima replica collettiva – se non appartieni a questo gruppo è perché sei “un diverso da me”, quindi un antagonista.

2. “vince chi da spazio”
Nei gruppi sociali “normali” cercano, antropologicamente, di emergere delle figure di leadership. In una società esasperata e in cui “mancano spazi di sfogo” la tecnica del “lasciar parlare, lasciar fare, dare spazi gratis” ripaga perché aggrega chi vuole dire qualcosa, e candida un certo contenitore ad essere referente di “chi ha qualcosa che vuole dire e nessuno gli da spazio”.

3. evitare l’incontro diretto
…che genera leadership e mette in discussione la piattaforma di dialogo – non che le persone non si debbano incontrare mai, ma lasciare che il non luogo digitale resti il principale luogo. Più semplice da moderare, controllare e analizzare, il messaggio è “il web facilita le discussioni restando comodamente a casa propria, è facile e gratuito”.

4. evitare il dibattito orale
Una discussione è fatta di linguaggio verbale (10%) ma soprattutto di non verbale e para verbale – e questi fattori di comunicazione interpersonale sono gestibili si, ma non del tutto controllabili. Esistono corsi specifici per le persone che devono (o vogliono) parlare in pubblico. Non a caso, anche Filippo Pittarello “offre” corsi per i candidati da parte della Casaleggio.
Tutto normale, lo fanno tutti. Meno normale è che si indichi ai candidati di non parlare in pubblico.

5. soft e hard skills
Scegliere persone con poche competenze specifiche e “appeale mediatico”.
La dice lunga sulla manipolabilità.

6. evitare il confronto
…in un confronto si entra nel merito e si verifica il metodo. Ciò impedisce la gestione della comunicazione per messaggi semplici, e monologhi. Implica un’interazione difficilmente gestibile apriori. Implica il porre domande e dover rispondere.

Questi primi sei punti si raggiungono con altrettanti messaggi semplici da condividere in maniera non mediata.
“Chi ha una competenza specifica appartiene a una casta.”
“Se accettate il confronto nel merito legittimate l’avversario.”
“Nel confronto orale fate il gioco degli imbonitori di mestiere.”
“Nel dibattito loro vengono da anni di politica e fanno solo retorica.”

Il processo di difesa del gruppo
Un gruppo “da gestire” deve necessariamente essere tenuto “chiuso”. Se il gruppo si apre, dal confronto nasce il potenziale “mettere in discussione il metodo”. Per tenere un gruppo chiuso basta farlo sentire “sotto attacco”, e va tenuta sempre alta la tensione in questo senso. Un gruppo “sotto attacco” necessariamente (istinto di sopravvivenza) si stringerà su se stesso a difesa – apparentemente di sé – di fatto del “capo”.
[non esistono ad esempio elezioni in tempo di guerra che abbiano cambiato un governo in carica]. Anche qui la regola della comunicazione semplice è quella vincente, proprio perché si parla ad una “massa” diffusa ed eterogenea.

Ma il sistema va declinato in tre momenti complementari.
a. far sentire la pressione, e se non c’è, crearla o alimentarla
b. individuare dei nemici “generici” (es. giornalisti, professori, politici…) e indicare possibili interazioni tra gruppi di nemici generici (teoria del complotto, “la casta”…)
c. fornire “armi semplici e immediate” di risposta collettiva

Parlare di clima d’odio contro il M5S serve a questo, che poi ci sia davvero è meno importante, basta alimentarlo e “farlo percepire”; i complotti sono un messaggio “facile” nella storia italiana, abituata a massonerie e accordi di potere trasversali, dimostrarli in questo caso non è necessario, basta che “sia plausibile”; ecco le risposte più comuni e facilmente utilizzabili in ogni occasione:

“ci attaccano per difendere i loro interessi”
“se ci attaccano è perché abbiamo ragione”
“se ci attaccano è perché ci temono”
“sono membri della casta che combattiamo”
“la macchina del fango”
se scrive un professore universitario “è il mondo accademico dei baroni”
se scrive uno di un partito di destra o di sinistra “è schierato”
se lo fa un giornalista “i monopolisti dell’informazione” o “pennivendoli” (ndr. termine non inventato da Grillo ma dai NAR!!!)
se scrive un parlamentare “è della casta”
se è troppo vecchio “è vecchio” …
se è giovane “è troppo giovane” …
se scrive uno indipendente … “e questo chi è…”

Tuttavia l’effetto collaterale di “far chiudere un gruppo in se stesso” facendolo sentire sotto assedio, necessitando di frasi “violente” (vaffanculo, vi seppelliremo vivi, siete finiti, siete morti..), genera davvero nell’altro un sentimento “violento”. La necessità di fare gruppo sul “noi siamo gli onesti” implica – silloggicamente – che per definizione “tutti gli altri non lo siano”, e questa in sé è una “provocazione violenta”.

Il contenuto
Il prodotto finale – che nel caso di un partito politico è il programma elettorale – alla fine risente di tutto questo processo e di questo sistema di comunicazione. Nel caso del M5S il programma “scritto in rete da 800mila persone” (sic) è un documento di una decina di pagine in cui sono elencati dei titoli. Titoli che altro non sono che l’elenco dei temi caldi di cui abbiamo parlato all’inizio. Temi su cui, è ovvio, difficile se non impossibile (proprio per loro natura implicita) che la stragrande maggioranza della società non può non riconoscersi. Le differenze tra i partiti e i movimenti politici tuttavia no risiedono nel contenuto (per la maggioranza dei casi) ma nel metodo.

Ti candidi? Bene…
Vuoi “tagliare i costi della politica”? ottimo…


Svolgi il tema – non mi dare solo il titolo ad effetto. Ci si aspetterebbe ad esempio una divisione tematica, in cui ad esempio un gruppo leggesse il bilancio dello Stato e indicasse punto per punto cosa tagliare e perché e quanto… Se devo gestire “la cosa pubblica” e mi candido a questo, devo, ho l’obbligo morale e di serietà, dire come, quando, in che tempi…

Tutto questo, che può apparire un sistema “troppo semplice”, in realtà è molto complesso da realizzare. Occorre tempo, molto lavoro, e anni di “sociologia della rete”, di studio e sviluppo delle interazioni e dei gruppi da aggregare, di semantica, oltre che di creazione di siti, blog, contenuti e contenitori che in qualche modo, nel tempo, apparentemente tra loro isolati, costruiscono una macchina di consenso unitaria.

Grande Fratello?
No, semplice “comunicazione tossica”. Ed è virale e contagiosa.
Perché se porta risultati “utili” altri la imiteranno.
La sua origine? Il vuoto politico dei vecchi partiti.
L’incapacità di essere spazi di dialogo, mediazione e ricezione delle istanze delle persone. Che non incontrandosi più fisicamente e discutendo tra loro, finiscono con il ritrovarsi nel circuito di una comunicazione elettronica e mediata, costruita su linguaggi semplici, ancor più nell’unico spazio che apparentemente “da spazio e voce ai cittadini”.

Conta poco che i sondaggi elettronici messi online siano assolutamente manipolabili. Conta poco che tecnicamente puoi creare fake che modificano le presunte votazioni nei gruppi. Conta poco che si usi il metodo condorcet nelle presunte primarie. Quello che conta è che hai creato una macchina in cui “appare” che le persone partecipino attivamente, che abbiano la sensazione “a monitor” di essere attive, partecipi, protagoniste e che
qualcuno le ascolta.

E chiunque dica il contrario è un nemico. Perché priva le persone del “sogno” di uno spazio in cui “esistere”, in un modo che questo spazio non lo da…

La sanità italiana? «È la più efficiente in Europa e terza nel mondo»

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Nel gruppo di testa ci sono molti Paesi del sud est asiatico – prima Singapore, che supera Hong Kong, e più giù Giappone e Sud Corea – ma anche l’Italia, che a sorpresa conquista un inaspettato terzo posto nel ranking mondiale dell’efficienza dei sistemi sanitari nazionali. A stilare la classifica è Bloomberg, in base ai dati forniti da Banca Mondiale, Fondo monetario internazionale e organizzazione mondiale della Sanità… <<<leggi>>>

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-10-07/efficienza-sistemi-sanitari-italia-terza-singapore-e-hong-kong-120434.shtml?rlabs=1

Corruzione e tangenti: la Germania peggio dell’Italia

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Essere tedeschi ha un vantaggio: si è sempre dalla parte della ragione. È una certezza che Manfred Weber, capogruppo del Ppe al Parlamento europeo, aveva stampata in volto quando, replicando al discorso di inaugurazione del semestre di presidenza italiana dell’Europa di Matteo Renzi, gli ha rinfacciato di “chiedere soldi in cambi di riforme. E poi come facciamo ad essere sicuri che le facciate?” Dubbio legittimo, ma non sempre la Germania è quel monolite di etica che si vuol far credere… <<<leggi>>>

http://www.panorama.it/economia/tedeschi-mazzettari-incalliti/

L’ascesa di David Borrelli, da pizzaiolo a candidato 5 Stelle e imprenditore

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E’ un trattore che macina successi il veneto David Borrelli, classe 1971, militante fin dagli esordi del Movimento Cinque Stelle, primo consigliere comunale per una lista civica pentastellata eletto in un capoluogo di provincia (nel 2008 a Treviso) e adesso candidato alle prossime elezioni europee. Nelle parlamentarie di lunedì scorso Borrelli ha ricevuto 501 preferenze (il terzo più votato in Italia) e, a meno di sorprese, ora ha la strada spianata verso il parlamento di Strasburgo. 

L’ascesa dell’ex consigliere comunale di Treviso segue di pari passo l’espansione delle sue aziende. Borrelli, che fino a poco tempo fa amava raccontare delle sue serate da pizzaiolo per sbarcare il lunario, ora si trova a capo di un piccolo gruppo di imprese informatiche, creato nel giro di pochi anni. La sua società Trevigroup (fondata nel 2011 con due amici) ha sostanzialmente raddoppiato il fatturato dopo appena un anno di attività, superando il mezzo milione di euro per il 2012.

L’ultima novità risale a pochi giorni fa. Il 12 marzo scorso l’aspirante candidato alle europee ha lanciato una nuova iniziativa imprenditoriale, la Cloud tlc srl, con sede a Treviso. L’attività punta al mercato delle telecomunicazioni: “ricerca, progettazione, implementazione, sviluppo, realizzazione, installazione, manutenzione e gestione di reti”, si legge nell’oggetto sociale. Il capitale sociale di 10 mila euro è suddiviso equamente tra Borrelli, Domenico Baldasso e Paolo Postiglione, con una quota minore in mano alla Trevigroup.

David Borrelli con Beppe Grillo in...
David Borrelli con Beppe Grillo in occasione delle Regionali del 2010 (fonte: Facebook)


L’imprenditore a Cinquestelle fa parte della vecchia guardia del movimento. In Veneto mantiene saldo il controllo sui meet-up, con la barra puntata verso i voti in uscita dalla Lega: «Un movimento (quello leghista, ndr) che è in fondo la preistoria del M5S», spiegò all’Espresso lo scorso anno. Considerato un ortodosso della linea Casaleggio-Grillo, Borrelli racconta di aver conosciuto l’ex comico già nel 2006. Risale invece a pochi mesi fa lo scontro con la senatrice veneta Paola De Pin, uscita lo scorso anno dal gruppo M5s con l’accusa di non aver rispettato le regole sulla restituzione di parte dei compensi destinati ai parlamentari.

L’ex consigliere comunale di Treviso si è speso anche per il gruppo di imprenditori riuniti nella Confapri, l’associazione fondata da Massimo Colomban dove si  sono sviluppate molte delle proposte economiche dei pentastellati. «Meno tasse e più libertà d’impresa», questo in sintesi il programma del movimento in cui Borrelli ha un ruolo di referente per i progetti legati alla piccola imprenditoria, settore che sta particolarmente a cuore ai Cinquestelle.

Lo stesso Grillo, nel suo comizio di Treviso prima delle elezioni comunali del 2013, non mancò di spiegare che il programma del M5S era stato fatto con i piccoli imprenditori . Il cuore delle proposte economiche dei Cinquestelle – via l’Irap, pagamento dell’Iva solo dopo l’incasso e saldo immediato dei crediti delle imprese nei confronti della pubblica amministrazione – è stato il primo risultato della collaborazione con l’associazione fondata da Colomban. Sui temi europei questo stesso programma verrà riproposto con un argomento in più: la lotta contro la burocrazia di Bruxelles e contro la gabbia dell’euro che soffocano lavoro e impresa. Parole che a Nordest (e non solo) toccano i cuori, e la pancia, di un esercito di artigiani e professionisti.

Lettera di un consigliere comunale a Casaleggio

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Sono un consigliere comunale del MoVimento5Stelle,

uno di quelli che hanno colto l’invito di Beppe Grillo a: “rischiare qualcosa di proprio”.  Ho messo in gioco il mio tempo, la mia professione, la mia vita. Per i prossimi cinque anni e per sempre. Quando l’impegno sarà terminato, sarò un po’ più vecchio e verosimilmente con meno opportunità. Nel frattempo avrò compromesso quel poco che avevo costruito, ed avrò percepito qualche centinaio di euro al mese di gettone di presenza. Forse. Se il comune disporrà delle risorse necessarie per pagarmeli, perché oggi neppure questo pare più scontato. Forse sarò anche riuscito a dare il mio contributo per cambiare un po’ in nostro Paese. E questo mi permetterà di guardarmi allo specchio senza problemi.

Voglio subito mettere in chiaro lo scopo di queste righe. Dopo un doveroso ringraziamento per quanto di buono fin qui costruito, che non è poco. E’ molto. Voglio dirti questo, dal profondo del cuore. Vaffanculo. Vaffanculo a te ed ai tuoi deliri.

Premesso questo, ti illustro alcune delle ragioni per l’invito che ti ho appena rivolto. E prendo come spunto solo il recente comunicato politico numero 45.

Capisco e condivido la preoccupazione circa l’eventualità che il MoVimento si trasformi in partito. Non condivido affatto gran parte degli strumenti e dei metodi fino a qui utilizzati per evitare che questo accada, i cui tratti principali sono presenti nel comunicato stesso.

Primo. La selezione dei candidati.

L’avete già presa in culo con Luigi de Magistris e Sonia Alfano.  Aforisma popolare applicabile: “Nella testa non entra e nel culo va largo”. Il principio che chiunque possa candidarsi è sacrosanto.

Le elezioni comunali e regionali dimostrano che questo è il processo cardine. Sbagli i candidati, ed il danno te lo porti dietro per anni. Inverti i criteri di selezione della classe politica ed avrai rivoluzionato il Paese.

Non esiste un metodo infallibile. Tuttavia, nessun metodo, porta sicuramente a degli effetti gravi. Il metodo che è stato utilizzato un po’ in tutta Italia è quello della partecipazione, ossia, ancora una volta, metti in gioco qualcosa di tuo. Fallo e sarai candidabile. Ritrovati assieme ad altri a fare qualcosa per il MoVimento e per la comunità. Potrai essere valutato, misurato e candidato da chi con te lavora.

Ora, semplicemente ignorare che questo sia accaduto, è un atto di pura idiozia oltre che di prepotenza, ed offensivo nei confronti delle migliaia di persone che, come richiesto, hanno messo qualcosa di loro. Prima regola del management: “Se non sai come fare, chiedi aiuto”. Se non sei in grado di elaborare un processo di selezione dei candidati accettabile, chiedi aiuto. Ma non procedere ciecamente come nulla fosse accaduto fino ad oggi. Non è così.

Secondo. I filtri rispetto alle candidature.

Sono un dirigente di un partito tradizionale. Chiedo ai miei tesserati di iscriversi al Blog. Spingo su un mio uomo e lo faccio diventare un candidato del MoVimento. Le migliaia di simpatizzanti e di attivisti di cui sopra, voteranno per un candidato di un partito tradizionale.

A livello locale questo rischio è stato mitigato con una semplice contromisura, facendo leva sulle conoscenze interpersonali. Non poteva accadere, almeno non diffusamente, che un uomo di un altro partito diventasse un candidato del MoVimento. Dal monitor del tuo computer come pensi di risolvere questo problema? Ed anche se te ne accorgessi, con quale criterio poi potresti rifiutare una candidatura? Perché il candidato ti sta sui coglioni?

Terzo. La sicurezza del voto elettronico.

Chiunque desideri dilettarsi in attacchi alla piattaforma in uso, e disponga delle necessarie competenze (e là fuori è pieno di hacker pronti a vendere i loro servizi) può divertirsi un mondo nel variare i risultati del voto online a piacimento. Ma a parte questo. Perché migliaia di persone che aspirano a cambiare il proprio Paese dovrebbero fare affidamento su pochi individui dipendenti di una società privata? Qui si sta lavorando per il futuro, che passa attraverso i sacrifici di tanti attivisti. Non è più un diletto di pochi.

Quarto. I criteri di ammissibilità.

“… o non abbia esercitato due mandati, anche se interrotti.” Per quanto ne sappia io, Giovanni Favia è l’unico attivista di spicco in queste condizioni. Pochi mesi di amministrazione comunale, attualmente consigliere regionale. Non potrà candidarsi. Ora Giovanni Favia potrà stare sui coglioni a parecchia gente. A me personalmente non è mai stato simpatico. Ma da qui ad affinare un principio a suo sfavore, buon senso vorrebbe che ne passasse.

Chi si è trovato ad organizzare una, due oppure tre elezioni in sequenza stretta, sa perfettamente che le risorse umane di qualità sono limitate. E non perché si cerchino individui con caratteristiche al di fuori della norma. Ma perché, dato un gruppo di possibili candidati, si cerca sempre di premiare il merito, la competenza, l’impegno ed altro. Principi che sosteniamo da anni e che dobbiamo applicare innanzitutto al nostro interno.

Ora può bene verificarsi che un candidato “consumi” due mandati in pochi mesi. Un comune è commissariato, un governo cade. Magari è pure una persona valida. E noi ce ne priviamo per quale ragione logica? Non sarebbe più opportuno utilizzare il vincolo di due mandati come semplice linea guida ed invece i dieci anni di ruolo istituzionale come limite massimo? Oppure ci piace proprio darci le clavate sui coglioni alla Tafazzi?

Ma soprattutto, chi cazzo sei tu per fissare, di fatto, un nuovo vincolo – o una sua variante – senza chiedere il parere di almeno alcune delle migliaia di persone che compiono sacrifici da anni?

Quinto. Lo stipendio dei deputati e dei senatori del MoVimento

Non spetta a te deciderlo. Spetta al MoVimento ed anche a te in qualità di singolo – oppure uno vale uno solo quando fa comodo?

Come è stato fatto per le elezioni regionali. E come è ragionevole farlo. Per esempio, dopo avere valutato gli stipendi dei necessari collaboratori, che andranno inquadrati con regolare contratto, finalmente. E magari serviranno diecimila oppure ventimila euro per questo. Chi di noi è impegnato nelle istituzioni, sa bene che serve aiuto. E che non sempre è possibile trovarne su base volontaria. E magari non è neppure giusto, oltre una certa misura. Dunque serve denaro per pagare queste persone. E già abbiamo rinunciato ai rimborsi elettorali. Le paghi tu?

Sesto. L’accettazione delle condizioni.

Serve un contratto fra due parti. Dove in mancanza del rispetto delle condizioni accettate, una parte ricorra in giudizio per sottrarre le risorse percepite in violazione del contratto. Con prelievo diretto nel conto corrente su cui vengono accreditati gli emolumenti. Chi è la controparte del candidato? Gianroberto Casaleggio? Non è forse giunto il momento di dotarsi di una struttura giuridica di supporto? Se, tocchiamoci i coglioni, Beppe Grillo dovesse subire un infarto e rendere l’anima a Cristo, perchè noi attivisti dovremmo sottostare al tuo diktat per potere avere in uso il marchio MoVimento5Stelle Beppegrillo.it?

Settimo. Il Non Gruppo Parlamentare ed i Non Portavoce.

Avere abusato di sostanze psicotrope in età giovanile non è un peccato dal quale non ci si possa mai redimere. Farne pagare le conseguenze a migliaia di persone è invece grave. Il regolamento parlamentare rende obbligatoria l’iscrizione ad un gruppo per ogni membro della Camera e del Senato. Gli eletti del MoVimento possono alternarsi per periodi di tempo prestabiliti di fronte ai media. E non serve chiamarli Non Portavoce. Non stai più divertendoti in solitario. Devi rendere conto di quello che scrivi a tutto il MoVimento. Smettila di scrivere troiate.

Ottavo. La Rete​.

La rete è uno strumento. E può certamente essere un obiettivo che, un giorno, venga usata da tutta la popolazione italiana. Già succede in altri stati nel mondo. Ma i risultati elettorali sono stati ottenuti perché dei volontari sono andati in mezzo alla gente, nelle piazze ed ovunque, mettendoci la loro faccia ed il loro impegno. E quindi con il contatto fisico con le persone, che nessuna tecnologia potrà mai sostituire. Questo è vero oggi, sarà vero domani ed anche nel 2013. E l’affermazione continua che vi sia una relazione causa-effetto fra la diffusione della rete ed i risultati elettorali, è un’altra controprova degli abusi giovanili di cui sopra.

Nono. I cittadini si fanno Stato.

Per questo, non è utile che ai partiti si sostituisca una Srl oppure una Spa con pochi soci. Fai un passo indietro ed aiuta a costruire una struttura organizzativa che possa realizzare, quanto più possibile fedelmente, i principi che tutti abbiamo condiviso ed accettato.

Decimo. Uomini e donne alla camera ed al senato.

Principio sacrosanto. Nella pratica, se mandi una persona comune senza preparazione alla camera, oppure al senato, sei un idiota. E quale può essere l’ambiente più formativo se non un consiglio comunale oppure regionale dove gli attivisti del MoVimento possono supportarti, aiutarti e controllarti? La formazione è irrinunciabile per non mandare dei perfetti incapaci nelle istituzioni centrali. Se scrivi simili idiozie è semplicemente perchè non hai partecipato a nulla di quanto è stato fatto negli ultimi tre anni dal MoVimento. E non hai neppure l’umiltà per ascoltare chi lo ha fatto.

Gianroberto Casaleggio, vaffanculo.

Un consigliere del MoVimento5Stelle.

P.S. Ti sfido. Ti sfido a mettere ai voti i dieci punti qui riportati fra gli attivisti del MoVimento. Fatti consegnare l’elenco degli attivisti da tutti i Meetup d’Italia che abbiamo partecipato alle elezioni. Fanne un elenco. Affidalo ad una società terza. Fai in modo tale che il voto sia assolutamente anonimo. Chiedi chi è d’accordo e chi è contro. Diffondi i risultati.

http://tizianafabro.ilcannocchiale.it/2011/08/19/un_consigliere_eletto_con_il_m.html

 

Il MoVimento 5 Stelle è un “wannabee” della democrazia (diretta)

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Questo articolo comparve dopo le elezioni amministrative del 2011 nel sito www.spiritocritico.it (oggi non più visibile) a cura di Duccio Armenise; ingegnere, milanese, al tempo seguiva parecchie cose che avevano a che fare con la Democrazia Diretta, sostenitore, insieme ad altri, dell’allora Partito della (o per la) Democrazia Diretta, qualcosa di simile alla Lista Partecipata. Al tempo c’era molto fermento per la “DD”.

 

Scriveva: Oggi un po’ per scrupolo un po’ per curiosità mi sono andato a rileggere bene il “non statuto” della “non associazione” denominata “MoVimento 5 Stelle – beppegrillo.it“.

Questa voglia di farmi del male (leggi: di muovere una critica costruttiva al movimento in questione) mi è venuta dopo aver letto un articolo di Pino Strano circa l’errore che consiste nel pensare di risolvere il problema politico ripudiando a priori i partiti in quanto tali. Fallacia logica della quale è gravemente affetto il MoVimento 5 Stelle (M5S per gli amici, di Beppe Grillo).

A parte che il ragionamento è proprio infantile: i partiti sono brutti e cattivi? Perfetto: si risolve facendo un “non partito”, una “non associazione” con un “non statuto”… La prima parte del ragionamento si chiama “induzione” e secondo Bertrand Russell (1872-1970), uno dei più grandi logici contemporanei, è tipico di bambini e animali.

L’induzione è un procedimento che consiste nel prendere a esempio singoli casi particolari per cercare di ricavarne una legge universale. I primi due partiti italiani non sono democratici? Allora i partiti in generale non sono democratici.

Bertrand Russell osservò, con classico humour inglese, che pure il tacchino americano, che il contadino nutre con regolarità tutti i giorni, se adotta un metodo induttivo può arrivare a prevedere che anche domani sarà nutrito ma “domani” è il giorno del Ringraziamento e l’unico che mangerà sarà l’allevatore (a spese del tacchino)! Questa fu la celebre obiezione del tacchino induttivista.

La seconda parte del ragionamento si chiama invece, semplicemente, voler fare lo struzzo nascondendo la testa sotto tutta una serie di “non”, proprio per non definire quello che si è: un’associazione con finalità politiche, ergo, un partito.

Notoria è anche la “fase del no” che attraversano tutti i bambini nel corso del loro sviluppo psicologico, evidentemente alcuni non ne escono mai…

Ma torniamo alla democraticità dell’M5S.

La visione che se ne trae, leggendone le gesta rilevanti dal punto di vista democratico e mettendole a confronto col suo “non statuto”, è quella di un movimento che pretende di dirsi a “democrazia diretta“, e che in tal senso si sta anche adoperando in modo talvolta degno di nota, che però di democratico, al proprio interno, non ha nulla più del desiderio. Nulla più della volontà di alcuni membri di provare ad applicare grossolanamente il metodo dd (democrazia diretta).

L’M5S è un wannabee della democrazia. Vediamo perché.

Innanzitutto è utile esplicitare quali sono i requisiti minimi che un’associazione debba possedere affinché possa dirsi democratica (diretta):

  1. Deve contenere, in un documento ufficiale, la dichiarazione di voler adottare il metodo dd per la propria gestione interna;
  2. Deve contenere, in un documento ufficiale, la definizione della democrazia diretta così come sarà accettata al proprio interno;
  3. Deve contenere un documento ufficiale che definisca il livello di approssimazione con cui la democrazia diretta è applicata, motivando ogni inevitabile scostamento con le relative motivazioni tecniche.

Un’altra condizione fondamentale è implicite, oltre che probabilmente ovvia, ma è bene esplicitarla lo stesso:

  • L’associazione e ogni sua risorsa (con particolare riferimento a quelle più importanti/strategiche) devono appartenere ed essere sotto il diretto controllo dei suoi membri.

C’è anche una prova, di carattere oggettivo, che consente di verificare se una data associazione (ma vale anche per uno Stato) sia effettivamente democratico (diretto), trattasi della soglia minima:

  • I membri dell’associazione devono poter modificare anche sostanzialmente le regole fondamentali dell’associazione stessa agendo secondo gli strumenti messi loro a disposizione.

Ora confrontiamo queste caratteristiche con le peculiarità del MoVimento 5 Stelle, definite nel suo non statuto (o regolamento), qui:

Art.1 Natura e Sede:

[…]La “Sede” del “MoVimento 5 Stelle” coincide con l’indirizzo web www.beppegrillo.it.[…]

Art.3 Contrassegno (il Simbolo)

Il nome del MoVimento 5 Stelle viene abbinato a un contrassegno registrato a nome di Beppe Grillo, unico titolare dei diritti d’uso dello stesso.

Ricapitolando:

  • Il MoVimento 5 Stelle e relativo simbolo sono di proprietà di Beppe Grillo e dell’azienda Casaleggio Associati (essendo quest’ultima la detentrice dei credits del sito beppegrillo.it che coincide con la “sede” del MoVimento 5 Stelle).
  • Nessuno dei documenti minimi fondamentali risulta reperibile.

I membri del MoVimento 5 Stelle

  • non possono disporre del simbolo del movimento di cui fanno parte senza l’autorizzazione di Beppe Grillo, unico titolare dei diritti d’uso dello stesso;
  • non possono disporre autonomamente della risorsa comune più importante, che è il sito di beppegrillo.it;
  • non sono “equipotenti” (o “tutti uguali”), nel senso che nessuno di loro ha un potere all’interno del movimento paragonabile a quello di Beppe Grillo;
  • non possono prendere decisioni a maggioranza, che poi diventino operative, circa le caratteristiche più importanti del Movimento, quelle, cioè, che ne definiscono l’identità;
  • non possono modificare in alcun modo il regolamento del Movimento né le sue finalità (le famose 5 stelle del programma);
  • non possono nemmeno conoscere quale sia la definizione di “democrazia diretta” comunemente accettata all’interno del Movimento.

Il MoVimento 5 Stelle, a prescindere dalla sua auto “non definizione” è, in ultima analisi, un’associazione con finalità politiche, cioè un partito politico a tutti gli effetti (infatti si presenta alle elezioni politiche assieme a tutti gli altri partiti), di proprietà esclusiva di Beppe Grillo, con un programma politico in alcun modo modificabile dai propri membri, se non da Beppe Grillo stesso.

I membri del MoVimento 5 Stelle possono invece, e lo fanno, parlare di quanto importante sia la democrazia (diretta) per uscire dall’attuale pantano istituzionale e di quanto bello sarebbe applicarla per davvero.

La speranza è che sempre più persone, facendo esperienza di questo desiderio, si rendano conto di quanto esso sia disatteso all’interno del MoVimento 5 Stelle e si adoperino per migliorare la situazione. Dentro e fuori dal grillo-contesto.

Duccio Armenise                www.spiritocritico.it

**Wannabe (wannabee) si pronuncia uonabì ed è un vocabolo inglese, utilizzato sia come sostantivo che come aggettivo, originato dalla contrazione di want to be (voler essere).

Lascio il Movimento 5 Stelle

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Correva l’anno 2010 e correvano anche i mal di pancia. Il seguente posto era pubblicato a questo indirizzo ora non più esistente:

http://www.bolognacittalibera.org/profiles/blogs/lascio-il-movimento-5-stelle?xg_source=facebookshare

Scriveva Monica Fontanelli: alle scorse elezioni comunali di Bologna e alle regionali ho votato il Movimento 5 Stelle. Leggo i post di Grillo da anni, e ho visto nel Movimento una “speranza” per il nostro Paese. La scorsa primavera ho deciso di partecipare attivamente alle riunioni dello stesso. Avevo ovviamente letto il programma nazionale e ne condividevo i contenuti.

Sono insegnante e mi interessano molto quelli inerenti alla scuola. Ci lavoro da quasi 30 anni e la demolizione della scuola pubblica portata avanti dalla Gelmini, la circolare Limina in Emilia Romagna che invitava i dirigenti scolastici ad assumere provvedimenti disciplinari nei confronti degli insegnanti che avessero preso posizioni pubbliche critiche nei confronti della Riforma, la situazione sempre più drammatica del nostro Paese con la crisi economica affrontata con i tagli allo Stato sociale, hanno suscitato in me la necessità di assumere un impegno civile diretto.

Entrata nel Movimento ho organizzato il gruppo scuola, ho partecipato alle manifestazioni di protesta contro la riforma, convinta che il Movimento ne condividesse i contenuti. Come gruppo scuola, del quale ero la coordinatrice, abbiamo presentato un documento nel quale è stata analizzata l’attuale situazione della scuola pubblica e si chiedeva al Movimento di assumere una posizione chiara rispetto alla politica scolastica del Governo. Pochi e chiari principi: difesa della Scuola pubblica e conseguente NO alla riforma, laicità dello Stato e richiesta di abolire i finanziamenti alla scuola privata.

Abbiamo chiesto al Movimento di approvarlo. Non è stato possibile. La risposta del Movimento è stata l’ostracismo. Di scuola non se ne parla o, se si è costretti a farlo, comunque non si assume una posizione, perché all’interno del Movimento le posizioni sono diverse, inconciliabili e, per non allontanare nessuno, meglio far “finta di niente”, meglio discutere di cose più semplici. Il Movimento nei fatti non assume alcuna posizione sulla riforma della scuola, come non ne assume su moltissimi argomenti che riguardano il “sociale” e le politiche economiche di chi ci governa.

Poco per volta mi sono resa conto che il Movimento non è ciò che viene descritto da Beppe Grillo: il programma nazionale e lo stesso nome di Beppe servono solo come “specchietto per le allodole”, per attirare i voti di chi non ne può più dell’attuale classe politica, dei suoi privilegi e della sua incapacità di dare risposte credibili ai problemi del Paese. Il Movimento è eterogeneo, composto da persone che cavalcano la tigre della protesta e che affrontano solo argomenti “facili” sui quali convergere.

Quando si parla di piste ciclabili, o di spazi verdi nella città, o di diminuzione dei costi della politica, di raccolta differenziata, di nucleare. è facile trovare una convergenza di idee e di proposte. Diverso invece è assumere posizioni politiche rispetto alla riforma Gelmini, al finanziamento alla scuola privata, alla laicità dello Stato, ai diritti delle coppie di fatto, alla legge 194 sull’aborto, al problema ormai drammatico della casa, del precariato, all’accordo di Pomigliano, che non è un fatto isolato nel Paese, ma rappresenta il tentativo di togliere sempre più tutele ai lavoratori in tutto il Paese.

Su queste e altre problematiche il Movimento non è in grado di prendere una posizione, perché al suo interno ci sono persone con idee spesso contrapposte: vi sono conservatori e “orfani della sinistra”, laici e cattolici integralisti, uniti nella “protesta”, nei facili luoghi comuni, ma incapaci di avere un progetto realistico e coerente di più ampio respiro. Uno dei loro motti preferiti è che non sono un partito, non sono una casta. A mio modo di vedere sono molto peggio: “uno vale uno” è in realtà solo uno slogan.

Nelle assemblee si decidono solo alcuni aspetti, per lo più organizzativi, per il resto c’è un’oligarchia che decide per tutti: sono gli eletti e i loro stretti collaboratori. In questi mesi trascorsi nel gruppo l’assemblea non ha deciso nulla di rilevante dal punto di vista politico. Sono gli eletti Favia e De Franceschi che assumono in totale autonomia qualsiasi decisione politica a nome del Movimento. Quando ho chiesto di discutere in assemblea di alcune problematiche, come il finanziamento dato alla fine di luglio dalla Commissaria Cancellieri alle scuole private a Bologna, l’adesione alla manifestazione in difesa della scuola pubblica indetta a Reggio Emilia il nove ottobre scorso, la discussione sull’eventuale nomina alla presidenza della Commissione Pari Opportunità in Regione di Silvia Noè, l’accordo di Pomigliano e la necessità di assumere una posizione politica in difesa dei lavoratori, non ho mai ricevuto risposta.

Formalmente non rispondono, lasciano decadere, non ne parlano, così possono fingere di essere tutti d’accordo, così possono coesistere nel movimento posizioni spesso contrapposte, intanto gli “eletti” decidono per tutti, perché loro sono i “portavoce” del Movimento. Bell’esempio di democrazia! Ieri sera l’ultima “farsa”: i Consiglieri Regionali in assemblea pubblica hanno presentato un bilancio politico ed economico dei primi sei mesi in Regione, hanno “rimesso il proprio mandato nelle mani dei cittadini”, quindi c’è stata una votazione al fine di confermare o meno la “fiducia” a Favia e a De Franceschi.

Nessuna possibilità di porre domande ai Consiglieri, di discutere veramente su ciò che è stato o non è stato fatto. Una votazione plebiscitaria, ad alzata di mano, nella peggiore tradizione dei peggiori partiti. Uno “spot di propaganda”, non uno strumento di democrazia, una “trasparenza” di facciata. Un’autoesaltazione del proprio operato e una continua denigrazione di ciò che fanno “tutti gli altri”, questo è stato, in una povertà di contenuti e progetti reali davvero impressionante.

Stupefacente scoprire, tra l’altro, che il denaro proveniente dagli stipendi regionali dei Consiglieri (l’Assemblea ha deciso per loro un compenso di 2500 euro mensili ) non viene gestito dal Movimento stesso, ma dai Consiglieri che trattengono l’importo dovuto nei loro conti correnti personali! E questo sarebbe un approccio nuovo alla politica?

Per non parlare della chiusura totale che mostrano rispetto a tutte le altre realtà culturali presenti a Bologna. Nessun confronto e nessuna alleanza, questo a prescindere da possibili convergenze, perché solo loro sono portatori della “verità” grillina. Intanto, per le prossime comunali questo Movimento così aperto alla società civile, così diverso dagli altri partiti avrà un candidato sindaco alle prossime amministrative autocandidatosi e scelto da chi? Dagli elettori che lo indicano in base ad un programma?

No, scelto nel chiuso dell’assemblea degli attivi, e solo da chi risulta essere attivo alla data del 30 settembre 2010, scelto quindi da poche persone nella peggior tradizione dei partiti. Criticano i partiti, non accorgendosi però di essere ancor peggio degli stessi, perché non vi è alcuna reale democrazia all’interno.

E chi “osa” far presente certe incoerenze viene visto immediatamente come un “nemico”, qualcuno da isolare. E così vanno avanti senza prendere mai alcuna posizione chiara, convinti come sono che tanto saranno premiati elettoralmente in ogni caso: gli elettori voteranno sulla base di quello che dice a livello nazionale Grillo, il voto di protesta continuerà ad esserci e solo questo conta.

Far credere che vi sia un programma nazionale condiviso, far credere che il movimento rappresenti una novità, una possibilità di riscatto del Paese, parlare alla “pancia” delle persone, glissare su tematiche qualificanti perché una posizione chiara allontanerebbe qualcuno: l’importante è prendere voti da tutti, da destra e da sinistra perché loro sono “sopra” volano “alti”. Parole prive di un reale significato, solo vuoti slogan di propaganda.

Povertà culturale, intellettuale, politica. Inaccettabile quando da movimento di protesta si decide di entrare nelle Istituzioni, si decide di proporsi come forza che deve amministrare le città, le regioni e forse domani il Paese. Per farlo bisogna avere delle idee, occorre avere il coraggio di assumere posizioni politiche, di fare scelte chiare, condivise non solo dagli “eletti” ma dal Movimento intero e soprattutto uscire dalla facile ottica della protesta e degli slogan ad effetto, occorre occuparsi dei problemi reali dei cittadini e prendere posizioni chiare esponendo le proprie idee e cercando di aumentare il consenso per questo più’ che per le invettive contro gli altri.

Per questi motivi lascio il Movimento, per la mancanza totale di democrazia all’interno, per la povertà di contenuti. Lascio il Movimento perché non voglio rendermi complice dell’inganno che stanno perpetuando verso gli elettori: a parole sostengono il programma nazionale di Grillo, nei fatti approfittano del suo carisma per ottenere facili voti di protesta ed iniziare la propria personale “scalata” alle Istituzioni.

Non ci sto. I partiti non mi piacciono, ma il Movimento non è ciò che appare: non c’è democrazia all’interno, non ci sono idee che non siano quelle “facili” e scontate che la stragrande maggioranza delle persone può condividere, non c’è un progetto serio di società, solo slogan.

Un Movimento a parole di tutti, nei fatti solo di pochi.

Altro contributo sul tema del post a questo indirizzo: http://yespolitical.wordpress.com/2011/05/22/analisi-del-voto-a-5-stelle-fra-populismo-e-mandato-imperativo/