Di recente Garzanti ha pubblicato in italiano un saggio dell’economista Paul Krugman dal titolo Un paese non è un’azienda. Il premio nobel spiega perché i governi occidentali che negli ultimi anni si sono affidati a grandi manager d’azienda hanno conseguito risultati non esaltanti, in particolare censura il fatto che molti governi nell’illusione di aumentare le esportazioni abbiano distrutto la domanda interna. Lo scritto è di allarmante attualità, sembra il racconto della storia recente dell’Italia governata dall’imprenditore Berlusconi o della Germania di Schroder e Merkel, ma è stato pubblicato quasi vent’anni fa.
Krugman esordisce dicendo che le competenze che servono per governare un paese sono ben diverse da quelle che ha un imprenditore vincente. Se questi si è concentrato necessariamente sull’economia aziendale, per governare l’economia di un paese servono altre competenze. Capita spesso che un grande manager, una volta entrato in politica, considera la gestione delle cosa pubblica prima del suo avvento un unico grande spreco e ritiene che uno Stato per funzionare debba solo mirare all’efficienza di un’azienda.
Uno Stato è molto più grande e molto più complesso di qualsiasi impresa. Un management illuminato può, in un orizzonte di tempo limitato, raddoppiare il fatturato di un’azienda; per un paese una crescita delle esportazioni dell’1 o del 2% nel medio periodo è un risultato considerevole dietro al quale si nascondono dinamiche particolarmente complesse. In termini più analitici è possibile affermare che in uno Stato ad ogni scelta di politica economica corrispondono oltre che effetti diretti, anche effetti indiretti.
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