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SME-morati

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Buongiorno a tutti.
Prima di tutto desidero ringraziarvi. Il mio primo articolo Monti ha salvato *il* Paese ha ottenuto un numero spaventoso di letture e interazioni. Non immaginavo di ricevere così tanti commenti, condivisioni sui social, copia-incolla (Sic!), e anche complimenti e perché no, critiche, alcune davvero pertinenti, altre deliranti, ma fanno parte del “gioco”.
 
Prima di passare al pezzo di oggi, consentitemi una precisazione. Il blog è uno spazio in cui una persona si esprime. Si può essere d’accordo o no, ma non si possono rompere i coglioni. Io sono una persona fragile e i coglioni mi si rompono subito. Vi confesso che mi piacerebbe avere il tempo libero che hanno certi troll che postano 50 commenti in due ore, ma non ce l’ho e se ce l’avessi lo impiegherei per stare con la mia famiglia.
 
In ogni caso io dico ciò che ho da dire nell’articolo, se ho qualcosa da aggiungere perché un commento lo richiede lo faccio molto volentieri (ho risposto a quasi tutti i commenti tranne a quelli dei troll di cui sopra). Voglio però lasciare un avvertimento ai simpaticoni che sotto anonimato offendono: a me il vostro nome non interessa, ma ricordatevi che c’è la crisi anche per i tribunali e se vi beccate una querela poi le vostre generalità alla Polizia Postale dovrete fornirle. Troll avvisato, mezzo salvato.
 
Concludo: io posto un articolo e voi siete liberi di commentare o non commentare, esattamente come io sono libero di rispondere o di non rispondere ai vostri commenti. I disturbatori seriali, però, saranno bannati. E quando torneranno con un altro nickname, saranno ri-bannati. E così via.
 
Ciò detto.
Oggi vi parlo di un qualcosa che dovrebbe interessarvi, e dovrebbe interessarvi molto. Abbiamo visto che “le riforme” (con riforme intendo dire: aumento della pressione fiscale, distruzione della domanda interna, disoccupazione dilagante etc.) dell’ex Premier Mario Monti sono servite solo a salvare l’euro e le banche francesi e tedesche (se qualcuno non lo ha capito è sempre un problema suo).
 
C’è un precedente che molti hanno dimenticato, per distrazione o chissà per quali altri motivi. Beh, io non l’ho dimenticato. Di qui il titolo: SM€-MORATI.
 
Lo SME, lo ricordate? L’euro non è affatto una novità.
Il suo antesignano si chiamava SME (“Sistema Monetario Europeo”). Lo SME venne istituito nel 1979. Si trattava di un accordo monetario nel quale i paesi aderenti accettavano il cambio “fisso”, prendendo come riferimento l’ECU (European Current Unit), una moneta scritturale il cui valore era dato dalla media delle valute dei paesi partecipanti.
 
C’era in realtà la possibilità, in caso di forti squilibri, di riallineare il cambio rivalutando o svalutando, ma questa possibilità fu abolita nel 1987 quando iniziò il periodo dello SME “Credibile”: di fatto una moneta unica.
 
Cosa accadde? Nel 1992 ci fu una crisi valutaria molto forte – di fronte ad un cambio fisso insostenibile e alla speculazione finanziaria – che costrinse l’Italia ad uscire dallo SME e svalutare la lira. Prima di uscire, però, si fece di tutto (compreso il prelievo forzoso dai conti correnti degli italiani) per sostenere il cambio fisso al fine di evitare la pericolosissima svalutazione della lira che avrebbe portato conseguenze devastanti.
 
Cosa dicevano, infatti, i giornali di allora? Partiamo dal 1990.
Il Ministro delle Finanze Rino Formica promette una manovra “Lacrime e Sangue”. Incollo la prima parte evidenziando in grassetto alcune frasi che non vi suoneranno nuove. (Il resto lo trovate al link)
 
ROMA Una manovra a tutto campo, a colpi di nuove tasse e di riordino delle imposte esistenti. Marcatura stretta, a uomo, sugli evasori fiscali. Come il trainer di una squadra di calcio, Rino Formica, ministro delle Finanze, ha scelto il gioco aggressivo, illustrando ai leader di Cgil, Cisl e Uil i suoi progetti per rimettere in sesto il Fisco iniquo a sgangherato, che tartassa i lavoratori dipendenti e risparmia le imprese. Formica promette lacrime e sangue, con interventi che dovranno portare nelle casse dello Stato almeno 40 mila miliardi in più nel 1993.
 
 
Siamo al 17 giugno 1992 ed ecco che arriva lui, Mario Monti il salva paese
Svalutare la lira? una follia” caso mai un rialzo dei tassi insieme a segnali di risanamento.
 
ROMA . Bocciano con parole severe le ipotesi di svalutazione e di “manovrine” tampone per la finanza pubblica. Chiedono che l’ Autorità antitrust si occupi della distorsione del mercato provocata dai vantaggi riservati ai titoli di Stato rispetto ad altri strumenti finanziari. Ribadiscono la validita’ degli accordi di Maastricht. Chiedono un governo che affronti per prima cosa la questione morale. Non avevano concordato i loro interventi all’assemblea dell’Unione petrolifera. Ma alla fine, Mario Monti e Luigi Spaventa si sono trovati a enunciare il terzo capitolo dell’ appello lanciato in aprile in favore dell’ Unione economica europea.
 
 
Arriviamo al 26 giugno del 92, qualche mese prima del botto.
PALERMO – L’industria italiana rischia di morire per soffocamento. Gli alti tassi di interesse e l’ eccessiva crescita del costo del lavoro stanno provocando una drammatica caduta della competitività delle nostre imprese. Se il governo non riprenderà velocemente la guida dell’economia una svalutazione della lira sarà inevitabile per evitare la “morte” del sistema industriale italiano.
 
 
Passiamo all’11 Settembre 1992, il botto è sempre più vicino.
Su La Repubblica consigliano: “PRENDI I BOT E SCAPPA”
(Magnifico il rigo che vi ho sottolineato in rosso)
 
 
Il 9 settembre 1992, torna a parlare Mario Monti, e dà un consiglio splendido al Governo per evitare il disastro dell’uscita dallo SME:
Ma è Geniale! Abbiamo delle riserve in oro, impegniamone una parte!
Per salvare il paese? No: per difendere il cambio. (Perché se usciamo dallo SME arrivano le piaghe d’Egitto!)
ROMA. Chiedere un prestito in valuta alla comunità internazionale. Impegnare, come accaduto già nel 1976, parte delle riserve in oro. Difendere il cambio. Dare il via già entro questa settimana a qualche privatizzazione. Varare subito un’ addizionale Irpef. Sono poche, ma chiare e pesanti, le lacrime che Mario Monti suggerisce al governo di cavar fuori dagli italiani per risalire la china.
 
Sempre il 9 settembre del 92, c’è stato il vertice di Confindustria:

“AGNELLI E ABETE: ‘ DUE SETTIMANE DI TEMPO PER EVITARE IL DISASTRO”
“Due settimane poi il disastro”, ricorda moltissimo il “FATE PRESTO“.
Leggete bene come viene presentata l’ipotesi di una svalutazione: il partito della svalutazione, il vizietto, il desiderio. Come fosse qualcosa di sporco, di scorretto, quando invece si tratta di una delle più basilari leggi del mercato, quella della domanda e dell’offerta. Notare anche: “intervento urgente di tagli alla spesa e privatizzazioni“. Già, chissà chi compra.
ROMA – Due settimane di tempo, non un giorno di più. Poi, in assenza di un intervento urgente di tagli alla spesa e di privatizzazioni, la crisi si avviterà. Gli alti tassi d’ interesse strozzeranno l’ economia costringendo molti industriali a chiudere bottega. E al danno seguirà la beffa: già, perché la micidiale stretta monetaria a difesa della lira non basterà ad evitare un deprezzamento della nostra moneta.
 
 
Tutto inutile. Non ci fu nulla da fare. L’Italia uscì dallo SME e la lira svalutò del 20%, quindi si verificò il disastro.
Stupendo questo articolo del 17 settembre 1992, il giorno in cui l’Italia esce dallo SME. Giuseppe Turani sul Corriere lo racconta così:
 
Leggetelo tutto, perché è davvero monumentale nel suo delirio.
 
IL GIORNO DEL DISASTRO. LA LIRA SFONDA IL NUOVO LIMITE MASSIMO DELL’OSCILLAZIONE; LA STERLINA ESCE DALLO SME La giornata si apre con un bel sole, giornali e caffè . E la telefonata di un amico. “Ti voglio raccontare . dice . che cosa ho fatto domenica. Non mi piaceva la situazione. Tutti i miei amici avevano gia’ portato i soldi fuori, chi 100 milioni, chi 200, chi 300. Insomma, non ero tranquillo. E cosi’ mi sono alzato che faceva ancora buio e mi son detto: invece di tenere qui questi soldi, mi vado a comperare un appartamentino a Cap Ferrat, sulla Costa Azzurra. Via, basta con queste storie: la lira non mi piace, non mi fido, non mi fido piu’ di nessuno. Sono partito di corsa. Sono arrivato sul posto alle 9 e mezza di domenica mattina. Ho scelto l’ agenzia immobiliare che mi convinceva di piu’ e sono entrato. Non ci crederai: sono riuscito a comprare un appartamento solo all’ una. Ho fatto piu’ di tre ore di fila. La’ dentro eravamo pigiati come mosche. E sai la cosa piu’ strana? Quelli davanti a me erano tutti italiani. Avevano avuto tutti la stessa idea: scappare, gettare i soldi da qualche parte, pur di non tenerli in Italia”. Tutto crolla La seconda telefonata e’ di un’ amica notoriamente nervosa. Urla parole irripetibili perche’ non le ho consigliato per tempo di investire tutto in marchi. Ma telefonate del genere, in questi giorni, sono un classico. Telefono io, allora, a un po’ di conoscenti di Borsa, ma sento che l’ aria e’ depressa. Nella notte Tokio ha aperto e chiuso perdendo un due per cento, e questo di solito e’ un cattivissimo segno. Capisco che bisogna prepararsi al peggio. Non capisco, pero’ , che quello che sta per cominciare, in Italia e sulle monete, e’ il grande rogo dell’ economia di carta. Me ne rendero’ conto un po’ piu’ tardi, poco prima delle undici, quando ormai e’ chiaro che la lira si sta di nuovo schiantando e che la Borsa va giu’ a candela, come se le avessero sparato in fronte. Chiama un agente di cambio, persona posata, gia’ avanti negli anni, che ne ha viste tante (il Sessantotto, Sindona, Calvi, il crollo dell’ 87 a Wall Street) e mi sibila nel telefono: “Sta crollando tutto, non si salva niente. Sono dei mascalzoni. Bisognerebbe fucilare tutti quelli che hanno governato questo Paese negli ultimi vent’ anni”. Resto con la cornetta in mano, come uno stupido. E stata veramente la giornata del panico e del fuoco. Il panico era nelle menti di risparmiatori e operatori, il fuoco era quello che stava bruciando miliardi e miliardi di risparmi. Intanto, chi poteva spediva fuori le ultime lire. I paragoni storici sono tanti e ognuno puo’ scegliere quello che gli pare. “Sembrano gli ultimi giorni di Saigon”, mi dice un operatore, quasi ridendo. Per la storia, comunque, gia’ il telematico (il mercato elettronico) segnala prezzi ovunque cedenti. Gli operatori non ci sono ancora perche’ stanno finendo la seduta dei riporti. Ma poi arrivano. Chiamano le Ifi, titolo di classe e nobilissimo. Ieri aveva chiuso a 7.605 lire. Scende in pista e si prende uuna sberla di quasi il dodici per cento: piomba come un sacco di patate a 6.700 lire. “Posso sbagliarmi . mi giura un analista . ma nell’ ottobre del 1968, mentre gli studenti scendevano in piazza, le Ifi furono offerte per la prima volta al popolo al prezzo di 6.200 lire. Sono passati quasi quindici anni e ce le ritroviamo a 6.700 lire. Venerdi’ , vedrai, sono dov’ erano nell’ ottobre del 1968. Avanti Savoia”. A un certo punto chiamano le Generali, la Signora della Borsa italiana. Sembra di assistere al crollo di una reputazione e di una virtu’ . Martedi’ mattina le Generali avevano chiuso a 24.410 lire. Fiera di paese Ma gia’ nel pomeriggio, al telefono, chi voleva delle Generali le poteva trovare a 23.500 lire, insomma mille lire in meno. Compri tre, paghi due. Ieri mattina, affrontano il mercato, e le sbattono subito a 23.000. Finisce che chiudono a 22.280 contro le 24.410 del giorno prima. Altro sacco di patate. Gia’ a questo punto, il panico vola da una corbeille all’ altra. Non si salva nessuno. Tutto va avanti nel caos. I piu’ colpiti sembrano essere quelli delle istituzioni, dei Fondi di investimento. In apertura di giornata si sono presentati e hanno cominciato a gettare sul mercato pacchi di titoli. Quali titoli? Non importa. Qualsiasi cosa il mercato volesse comprare. E se non comprava, giu’ con i prezzi. Pareva quasi una fiera di paese, quelle con l’ imbonitore che grida: “Vendo a cinquemila, ma che dico?, a quattromila. Ma, che dico ancora?, no: a duemila”. Perche’ il panico? Nessuno se l’ e’ chiesto. Ma non e’ difficile da capire. Per tutta la mattinata, mentre in Borsa la gente si tirava dietro a prezzi pre.anni Ottanta titoli di tutte le fogge, la lira oscillava, rispetto al marco, fra le 808 e 815 lire. E si sapeva che era massicciamente difesa dai chierici di Via Nazionale (si sapra’ , alla fine, che ieri hanno speso in questa impresa 1600 miliardi, bruciati anche loro nel grande rogo di mercoledi’ 16 settembre). Quella lira che sbandava cosi’ paurosamente verso la soglia inferiore dello Sme.nuova parita’ , decisa appena domenica sera, era il pendolo del panico. Era chiaro che la nostra valuta, lasciata al mercato, avrebbe di nuovo sfondato lo Sme. Era chiaro che, di nuovo, nessuno credeva all’ Italia, e meno che mai al nostro mercato. Insomma, quello di ieri e’ stato panico da sconfitta, panico da isolamento, panico da inseguimento. Disperazione Come chi ha gia’ perso una battaglia, sta raccogliendo i feriti, ma vede la cavalleria nemica che torna al galoppo, e alzando le lance. Panico. Fuga. Disperazione. E quindi i Fondi di investimento, sempre i piu’ svelti, giu’ a vendere. Volete delle Sirti? Sirti, il gioiello della Borsa italiana, utili fantastici, grandi affari ovunque, azienda tecnologica, bella pulita. La volete? Ieri valeva 7.545 lire. Oggi ve la diamo per 6.810, con il dieci per cento di sconto. Va bene? Ok, e’ fatta. E L’ Italcavi, o Italcable che dir si voglia, anche questa roba tecnologica, comunicazioni, business di sicuro avvenire, utili garantiti. Un altro gioiello. Valeva piu’ di 3.900 lire, ieri, la volete per 3.600? No. Non la vuole proprio nessuno la Italcavi. Si’ , se la piglierebbebero. Ma vogliono pagarla il dieci per cento in meno, o forse anche il quindici. Non si puo’ , e’ proibito dai regolamenti di Borsa. E allora rinviamo tutto, in coda. Questa Italcavi, signori, avanza, non si vende, ne parliamo dopo. Dopo, verso la fine, il panico e’ diventato confusione mentale classica, accertabile mediante test di laboratorio. E infatti si vedono quelli che prima avevano venduto, che si ricomprano la roba che avevano ceduto due ore prima. Sempre quelli dei Fondi, ormai, credo, incapaci di capire qualcosa essi stessi nella loro contabilita’ e nelle loro strategie, comprano. E cosi’ anche le Italcavi, gioiello della Borsa, si infilano dentro questo momento di pazzia e riescono a essere scambiate all’ otto per cento in meno rispetto al giorno prima. Non si puo’ nemmeno escludere che le abbiano comprate quegli stessi che prima le volevano vendere, ma all’ otto per cento in meno. Intanto, il pendolo della lira non da’ segni di vita o di sommovimenti. In Inghilterra la Vecchia Signora (cosi’ e’ chiamata la Banca centrale) rialza il tasso di sconto di due punti. Ma qui la lira si muove sempre fra 808 e 815, pericolosamente vicina alla soglia inferiore che e’ poco piu’ in la’ di 820. E cosi’ crollano le Pirellona del 5 per cento. E la Fiat mette insieme un’ altra mazzata dell’ 8,36 per cento. La Montedison e la Olivetti passano quasi per Miss Gambe e Miss Denti Bianchi perche’ perdono solo il 5 per cento. Nella follia generale, in mezzo al panico e alle fiamme che ieri in Piazza Affari hanno bruciato piu’ di ottomila miliardi di lire, si spalanca il mistero della Comit, salita quasi del 20 per cento. La privatizzano? Qualcuno sa e specula? Mentre tutto sta crollando, mentre le macerie crescono lungo i marciapiedi, i soldi scappano, c’è ancora qualcuno che ha la forza di fare dell’ insider trading, di truffare insomma, sulle Comit? Forse. Offensiva finale Sorprese amare, infine, anche per il mercato della carta, cioe’ il mercato dei titoli di Stato. Chi va a venderli si sente offrire, di colpo, non piu’ cinque o dieci centesimi in meno, come accadeva fino a ieri, ma 2.3 lire in meno. Per molti, questo e’ l’ inizio di una nuova crisi, la crisi del mercato dei Bot. La crisi piu’ temuta. L’ offensiva finale. La fuga definitiva del risparmio. Alle 18, quando faccio l’ ultima telefonata, la lira e’ arrivata a 824 contro il marco. Tecnicamente siamo fuori dallo Sme, fuori dalla logica, dentro il panico.
Il finale è strepitoso: “Tecnicamente siamo fuori dallo Sme, fuori dalla logica, dentro il panico”.
 
Insomma, l’Italia esce e la lira svaluta del 20%. Il disastro. Eccolo qui:
Il 12 gennaio 1993, pochissimi mesi dopo la terribile svalutazione:
ITALIA, BENTORNATA SULL’ EUROMERCATO
 
ROMA – L’ Italia torna sull’Euromercato dopo ben 21 mesi di assenza e lancia un prestito obbligazionario in valuta da 4 miliardi di marchi, circa 3.600 miliardi di lire, cifra che oggi, al momento dell’ emissione, potrebbe anche essere aumentata, visto il gradimento che l’ operazione ha avuto tra gli operatori internazionali. Questo, del resto, è solo il primo dei prestiti obbligazionari in valuta che il Tesoro ha intenzione di offrire nel 1993 per una cifra totale compresa tra i 10 e i 15 miliardi di dollari, perché in questo modo alleggerirà la pressione sul mercato interno dei titoli di Stato e potrà così favorire una discesa dei tassi, come ha spiegato il ministro del Bilancio Franco Reviglio.
 
 
Due giorni dopo, il 14 gennaio 1993, “CON IL SUPERMARCO I ‘ PICCOLI’ SORRIDONO
E già, perché alla svalutazione della lira corrisponde la rivalutazione del marco tedesco e alla Germania, improvvisamente, conviene acquistare prodotti italiani.
BRESCIA – L’ ordine è partito dai vertici del gruppo Wolkswagen-Audi. Da qualche settimana il colosso tedesco dell’ auto ha puntato sul mercato italiano per rifornirsi di componenti. Quei 20 e più punti persi dalla lira nei confronti del marco, infatti, sono un’ occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. Meglio comprare nel Bel Paese, se si vogliono contenere i costi e non far schizzare alle stelle i listini delle Golf e delle Polo.
 
Continuiamo: il 1 aprile 1993 “febbraio boom dell’ export con i paesi extra Cee
Con la svalutazione della lira riprende con vigore l’ export italiano
Febbraio, boom dell’ export con i paesi extra Cee. A conferma dell’ effetto positivo sulle esportazioni dovute al deprezzamento della lira, a febbraio la bilancia commerciale con i Paesi extra Cee ha segnato un attivo di 214 miliardi contro il passivo di 842 miliardi registrato nel febbraio dello scorso anno. Lo ha reso noto ieri l’ Istat, ricordando che l’ interscambio con i Paesi extracomunitari ha costituito nel ‘ 92 il 42% del totale.
 
E il 12 settembre del 1993, un anno dopo l’usicta dallo SME, arriva lui, Mario Monti:
Machedavero? Ma non doveva essere un disastro?
 
 
 
Proseguiamo: 22 aprile 1994 “LA LIRA ANTICRISI SCACCIA IL PESSIMISMO
DALLE Dolomiti alla Sicilia, dalla Sardegna alla costa romagnola, il coro che si leva è unanime: il ‘ 94 sarà un anno buono per il turismo italiano. Gli effetti della svalutazione della lira, del settembre del ‘ 92, infatti cominciano a vedersi adesso e la forza delle monete estere sta spingendo gli stranieri a tornare a visitare il Bel Paese.
 
 
Insomma, L’economia italiana ripartì e nel 1995 ci fu addirittura un +3%.
E la Germania? Eccola qui: 4 giugno del 1993 “Germania mai cosi’ in basso
CRISI SENZA FINE. LA LOCOMOTIVA D’EUROPA NELLA PEGGIORE RECESSIONE DEGLI ULTIMI 20 ANNI
nel primo trimestre il prodotto interno lordo è crollato del 3, 2 per cento. quasi 350 mila occupati in meno precipitano gli investimenti ma la BUNDESBANK rimane inflessibile e non riduce il costo del lavoro. e il marco perde altro terreno.
Ormai le cifre parlano chiaro: per la Germania e’ la crisi peggiore degli ultimi vent’anni. Mai i grandi indicatori congiunturali avevano avuto, dopo il trauma petrolifero del 1974, un andamento cosi’ negativo e cosi’ costante. I dati forniti ieri dall’ Ufficio statistico federale di Wiesbaden sono drammatici: il prodotto interno lordo arretra del 3,2% rispetto a un anno fa, il prodotto sociale lordo, che tiene conto anche delle massicce fughe di capitali, addirittura del 3,7.
 
 
Insomma, l’Italia vola grazie alla Lira al punto che nel 1996 il corriere le dedica una pagina intera:
 
 
Le cose stanno andando troppo bene, l’Italia è ripartita sul serio e la Germania è in recessione. Indovinate che succede?
Rientrare nello SME? Ma di chi è questa ideona? Ma di Romano Prodi, naturalmente.
BRUXELLES – “Benvenuta lira”, se e quando la moneta italiana rientrerà nel Sistema monetario europeo. Yves Thibault de Silguy, il commissario europeo responsabile della politica economica e monetaria, si felicita “della determinazione mostrata da Romano Prodi nell’ annunciare che il rientro della lira nello Sme sarà un obiettivo prioritario del suo governo“.
 
 
Ebbene sì. L’Italia di fatto rientra nello SME. Molto interessante questo articolo del 25 novembre 1996. “Il verdetto: lira nello Sme a quota 990″
 
Ne cito un passaggio: Il ministro del tesoro Carlo Azeglio Ciampi e il governatore della Banca d’ Italia Antonio Fazio hanno dovuto cedere accettando una quotazione al di sotto delle mille lire per marco, che era considerata un po’ la “linea del Piave” per il governo italiano. Ma ieri notte hanno espresso la loro soddisfazione. “Il risultato e’ molto vicino alla nostra richiesta che era sostanzialmente di mille lire per un marco per poter mantenere una politica di sviluppo e di pieno utilizzo del potenziale produttivo. Ritengo che sia un risultato soddisfacente”, ha commentato il ministro del Tesoro. E il governatore ha sottolineato come, accettando quota 990, il governo “abbia dato una indicazione esplicita di voler seguire politiche di bilancio, dei redditi e monetarie coerenti con l’ obiettivo della stabilita”
In sostanza ammettono che avrebbero voluto una lira più debole e questo la dice lunga su quanto fosse folle tenerla a 750 prima della svalutazione.
Bene. Siamo rientrati nei cambi fissi ed ecco cosa accade a noi e, di riflesso, alla Germania (nostro principale competitor):
 
 
È sicuramente un caso eh? Ci mancherebbe. Cosa volete che c’entri la moneta? Vi interesserà probabilmente sapere che le conseguenze di un cambio fisso sono note ai protagonisti di queste vicende almeno dal 1978, quando Giorgio Napolitano, allora nel PCI, fece questo intervento alla Camera: “Euro, quando Giorgio Napolitano era contrario alla moneta unica
 
 
L’intero discorso lo trovate qui
 
Estraggo alcuni passaggi: «Inserendoci in quest’area, nella quale il marco e il governo tedesco hanno un peso di fondo, dovremo subire un apprezzamento della lira e un sostegno artificiale alla nostra moneta. Nonostante ci sia concesso un periodo di oscillazione al 6%, saremo costretti a intaccare l’attivo della bilancia dei pagamenti. Lo Sme determinerà una perdita di competitività dei nostri prodotti e un indebolirsi delle esportazioni. C’è un attendibile pericolo di ristagno economico»
poi:
 
«Dal vertice è venuta solo la conferma di una sostanziale resistenza dei Paesi più forti, della Germania, e in particolare della banca centrale tedesca, ad assumere impegni effettivi e sostenere oneri adeguati per un maggiore equilibrio tra gli andamenti delle economie di paesi della Comunità. È così venuto alla luce un equivoco di fondo: se cioè il nuovo sistema debba contribuire a garantire un più intenso sviluppo dei paesi più deboli della Comunità, o debba servire a garantire il Paese più forte, ferma restando la politica non espansiva della Germania, spingendo un Paese come l’Italia alla deflazione
E ancora:
 
«Il rischio è quello di veder ristagnare la produzione, gli investimenti e l’occupazione invece di conseguire un più alto tasso di crescita; di vedere allontanarsi, invece di avvicinarsi, la soluzione dei problemi del Mezzogiorno.»
E conclude:
 
«La verità è che forse si è finito per mettere il “carro” di un accordo monetario davanti ai “buoi” di un accordo per le economie.»
***
Ed eccoci arrivati ai giorni nostri. Siamo nell’euro, cioè di nuovo nei cambi fissi. Cosa ci dicono che succede se usciamo dall’euro? Ho raccolto un po’ di dichiarazioni, articoli, interviste di politici, giornalisti, imprenditori e personaggi influenti. Cominciamo con Pierluigi Bersani, 21 maggio 2010:
 
Perché? Uno studio, un link, una fonte? No, niente. Perché lo dice lui.
Lo smacchiatore di giaguari lo ribadisce dopo un anno e mezzo, ma sempre senza spiegare il perché.
E continua: “i conti li hanno già fatti”. Dove sono? Boh!
Uscire dall’euro porterebbe a una recessione di proporzioni cosmiche“. Perché? Perché lo dice Bersani. Fidatevi.
Passiamo al noto esperto di economia Nichi Vendola: Un euro = 2700 £, lo dice lui.
Ci dicono che siamo più poveri per colpa dell’euro. Non è vero.
Infatti: che cazzo ne sa la BCE? Vendola sì che ne capisce.
 
 
Gianni Cuperlo prosegue sulla linea del terrore e dei numeri a casaccio.
Uscire dall’euro costerebbe 10.000 € a cittadino all’anno
Cioè 10.000€ per 60.000.000 di cittadini = 600.000.000.000
SEICENTOMILIARDI all’anno.
Non so se vi rendete conto dell’abissale ignoranza (spero) di questa gente.
Un altro espertissimo, Roberto Formigoni, con eleganza afferma che “Se usciamo dall’euro ci troveremo con le pezze al culo
Poi c’è Matteo Renzi, il nostro “amato” Premier, ascoltatelo, è favoloso
Abbiamo anche il Presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, che la tocca pianissimo:
Gli fa subito eco Sergio Marchionne: Italia fuori dall’Euro? Fiat fermerà gli investimenti
Prezzi alle stelle. Mutui triplicati. Inflazione senza freni. Dazi e meno soldi in tasca. Se l’Italia dovesse davvero uscire dalla moneta unica gli esperti prevedono uno scenario da incubo.
Notare “gli esperti”. Chi? Boh!
Ancora l’Espresso: Senza Euro sarebbe il disastro
A Ballarò dicono che se usciamo dall’euro per comprare un caffè ci vorrà una carriola di monete, e ci mettono pure il disegnino, vedete?
 
 
Poi abbiamo il Vice Direttore de Il Sole 24 ore che in TV spiega l’apocalisse fuori dall’euro.
Un concentrato di bugie impressionante.
C’è anche l’esperta Lara Comi: Al TgCom24 ha dichiarato: “Con il ritorno alla moneta sovrana avremmo l’esplosione del prezzo del pane“, e in questa intervista ad affaritaliani dice, tra le altre cose: “Innanzi tutto avremmo un deprezzamento del 40%, in seguito una riduzione del Pil del 20% e una riduzione dei risparmi del 30%, con un aumento del debito pubblico del 30%. Un disastro insomma”.
 
Concludiamo con Giorgio Napolitano. Ricordate cose pensava del cambio fisso nel 1978? Beh, il 31 dicembre 2014, ha lievemente cambiato idea:
Roma, 31 dic. – ‘Nulla di piu’ velleitario e pericoloso puo’ invece esservi di certi appelli al ritorno alle monete nazionali attraverso la disintegrazione dell’Euro e di ogni comune politica anti-crisi’. Lo ha detto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel messaggio di fine anno.
 
E secondo voi, dopo 10 anni anni di bombardamento mediatico, di menzogne ripetute in continuazione, cosa crede la gente comune?
Chiudo questa bellissima carrellata con una chicca.
 
 
Un brevissimo video nel quale Beniamino Andreatta auspica l’abbandono della Lira e l’adozione della moneta Unica (l’euro) illustrandone i grandiosi vantaggi. Ma la chicca è la scritta che appare in alto, dal min. 1.40.
Leggetela, e cambiate una vocale. Avrete la verità.
 
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Questo articolo è uscito nel 2015 sul blog che allora gestivo sulla piattaforma de Il Giornale. L’articolo ottenne un numero di letture e condivisioni impressionante. Qualche mese dopo, per motivi personali decisi di chiudere il blog. Non immaginavo, però, che questa mia decisione, portasse la redazione del giornale ad eliminare i contributi fino ad allora postati. Poiché da allora sono più o meno quotidiani i messaggi di persone che mi chiedono “Alessandro, dove posso trovare i tuoi articoli?”, ho deciso di sfruttare la mia pagina Facebook come archivio.

Monti ha salvato il paese

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A novembre del 2011 in Italia è stato “rimosso” un premier democraticamente eletto. Un (ex) premier verso il quale non nutro nessuna particolare simpatia e a cui attribuisco buona parte della responsabilità del declino di un paese meraviglioso. Uso le virgolette perché l’allora Premier, che poi era Silvio Berlusconi, ufficialmente si è dimesso, il 12 novembre 2011, una data storica.

Tre giorni prima, il 9 novembre 2011, lo spread, di cui fino ad allora quasi nessuno aveva sentito parlare, dopo essere salito continuamente nelle settimane precedenti, toccò il suo top storico chiudendo a 552 (dopo aver raggiunto 574).
La stampa internazionale, in particolare quella europea, attribuisce l’impennata dello spread alla scarsa credibilità internazionale di Berlusconi, il quale a casa sua organizza festini con escort, pare addirittura minorenni, frequenta Putin, fa cucù alla Merkel ed altro.
 
L’attacco, mostruoso, era partito, molti mesi prima da tutti i fronti ed era culminato quando Berlusconi finì sulle pagine del Times di Londra che lo definì “Clown” e “Buffone sciovinista” fino ad arrivare sulle pagine dell’ambitissimo TIME, dove l’Italia venne definita Berlusconistan. Il Sole 24 ore il 10 novembre titola: FATE PRESTO (a cacciare Berlusconi, si intende)
Due giorni dopo Berlusconi sale al colle e si dimette. Ripercorriamo le tappe che portarono a questa “sua” decisione.
 
Il 5 agosto del 2011 il Governo italiano riceve la famosa lettera della BCE, contenente la richiesta di misure che definire pinochettiane è un eufemismo.
 
C’era da fare macelleria sociale e, come scrisse una persona a me molto cara, gli schizzi di sangue si notano meno su un grembiulino rosso.
 
Fu così che Berlusconi, dopo aver risposto a Draghi e Trichet “Tranquilli, abbiamo sempre onorato i nostri impegni” aveva due possibilità:
  • Suicidarsi politicamente
  • Dimettersi
 
Naturalmente si dimise e, per amore di verità, lo fece anche e soprattutto per difendere i propri interessi. Nelle ore precedenti, infatti, il titolo Mediaset subì un tracollo spaventoso.
 
Ricapitolando: l’Italia era sull’orlo della bancarotta. Berlusconi con i suoi comportamenti aveva distrutto la credibilità del paese. Il 9 novembre, l’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano nomina Mario Monti Senatore a vita e il 16 novembre Mario Monti presta giuramento come Presidente del Consiglio.
 
La stampa italiana, all’unisono, accoglie il Professor Monti come un dio sceso in terra, tornato appositamente per salvare il paese dal baratro verso cui il Governo Berlusconi IV lo stava spingendo.
L’Unità titola “LA LIBERAZIONE”
Il governo Monti ottiene la fiducia con l’appoggio di quasi tutto il parlamento
Super Mario incomincia la sua opera di “risanamento dei conti pubblici”, opera fatta di tasse, tagli, aumenti di benzina e imposte, e sacrifici di ogni genere che gli italiani devono sopportare per evitare il peggio, la catastrofe, il terzo mondo ad un passo. Indimenticabile il pianto di Elsa Fornero all’annuncio della “riforma” delle pensioni.
Una riforma lacrime e sangue. Lei ci ha messo le lacrime. Gli italiani il sangue.
The Economist definì l’azione del governo di Mario Monti «impressionante» e aggiunse «in tre mesi ha salvato l’Italia dalla catastrofe».
La rivista ritrae Monti in toga che raddrizza una colonna sulla cui cima oscilla, pericolosamente, l’Italia.
 
Insomma, Monti ha salvato il paese.
 
Perfetto. Fin qui abbiamo visto la narrazione dei fatti, a reti unificate.
Ora vediamo come sono davvero andate le cose.           Ops!
La vedete l’Italia come riparte? Come dite? No? Ma sì, dai, guardate bene!
Nel 2008 c’è stato il crac della Lehman Brothers che ha avuto conseguenze devastanti per tutte le economie principali. L’Italia, come gli altri paesi, prese una cantonata pazzesca, ma il grafico mostra, che seppur con molta fatica, stava risalendo la china. Poi, sono arrivate la lettera della BCE e subito dopo è arrivato Mario Monti a “salvarla” dal default dietro l’angolo.
(Le due frecce che vedete indicano l’inizio e la fine del Governo Monti)
Alessandro, dai, però mostraci gli altri fondamentali economici del paese. Sicuramente sono migliorati.
E va bene.
Quando Silvio Berlusconi si dimette abbiamo:
• Disoccupazione all’8,6% (ISTAT)
• Disoccupazione giovanile al 30.1% (ISTAT)
• Rapporto Debito/PIL al 116% circa
• Tasso di crescita del PIL dello 0,4%
Mario Monti si dimette il 21/12/2012, ma resta in carica fino al 28/04/2013
L’Italia ce l’ha riconsegnata così:
• Disoccupazione dall’8,6% va al 12% circa (ISTAT)
• Disoccupazione giovanile dal 30.1% sfiora il 40% (ISTAT)
Rapporto Debito/PIL dal 116% circa va al % 131%
Tasso di crescita del PIL dal + 0,4% va a – 2.4%.
Un salvataggio in piena regola, no?
A questo punto, se non siete totalmente obnubilati dalla propaganda, la domanda dovrebbe nascere spontanea: ma che cosa è successo?
E la risposta è questa: è successo che le politiche imposte da Monti hanno distrutto la domanda interna col solo scopo di ripianare la bilancia commerciale squilibrata dall’euro. (squilibrata dall’euro – squilibrata dall’euro – squilibrata dall’euro – squilibrata dall’euro – squilibrata dall’euro – squilibrata dall’euro – squilibrata dall’euro – squilibrata dall’euro – squilibrata dall’euro – squilibrata dall’euro – squilibrata dall’euro – squilibrata dall’euro)
In questo senso l’austerità funziona. L’Italia compra prodotti tedeschi perché l’euro li rende convenienti e l’unico modo (restando nell’euro) per far sì che l’italiano la smetta di acquistare prodotti tedeschi è fare in modo che la smetta di acquistare prodotti. Come? Così:
In questa intervista alla CNN l’allora Premier Mario Monti dichiara:
Nessun media italiano ha riportato questa intervista.

Il punto è questo: l’Italia a un passo dal default è una gigantesca fregnaccia e a dirlo non sono io: lo certifica la Commissione Europea nel suo “Fiscal Sustainability Report”.
L’Italia non aveva nessun problema di liquidità a breve, vedi grafico:
E nel lungo periodo era l’unico paese sotto il livello di guardia.
La realtà è che Mario Monti non è stato messo lì per salvare il paese, ma per salvare i creditori esteri.
Questa Chart de Il Sole 24 ore ci mostra inequivocabilmente cosa è successo.
Quando Francia e Germania hanno capito che la Grecia non avrebbe mai potuto restituire il denaro che le proprie banche le avevano prestato, c’è stato un colossale trasferimento di crediti dal bilancio delle banche a quello degli stati.
E chi si è accollato il conto? Indovinate un po’? Risposta esatta! Noi.
Eravamo messi così male e a un passo dal default che abbiamo tirato fuori una cinquantina di miliardi.
A questo punto alle vittime del frame resta solo una cartuccia che è quella dello spread: “Ok, Alessandro, forse è andata proprio così, ma che Monti abbia fatto calare lo spread è un fatto. E grazie a Monti abbiamo risparmiato un sacco di interessi sui titoli di Stato”.
Aiutiamoci con un bel grafico:
Da luglio/agosto 2011 lo spread sale, sale, sale e raggiunge il top storico di 552 punti del 9 novembre (giorno in cui il Professor Monti viene nominato senatore a vita). Lo spread oscilla ma resta sempre altissimo, poi scende, poi risale quasi ai livelli del 9 novembre e poi dal 2012 comincia a scendere, fino a 278 punti.

Accidenti, è vero. Non appena Monti diventa Presidente del Consiglio lo spread cala vistosamente.
Ma… ma… scusate un attimo. Spostate l’occhio un po’ a destra, a luglio 2012.
Sorpresa! 537 punti!
Ma… ma… Ma lo spread non era a 500 perché Berlusconi era un buffone sciovinista frequentatore di mignotte e minorenni?
Che sarà successo? L’impeccabile Professor Monti ha spedito un sms alla Merkel con scritto “Non è vero che sei una culona, sei solo un po’ rotondetta, ma a me piaci così”!?
Insomma, lo spread è tornato ai livelli di quando c’era lo scandaloso Berlusconi, eppure al Governo c’è il Professore in Loden. Non sarà che forse il debito non c’entra nulla e la credibilità fa parte della “narrazione” di cui vi parlavo prima?
Aiutiamoci con un altro grafico sullo spread ma con degli appunti ed una foto.
Ed eccolo lì. Il vero Mario che ha il potere di fermare lo spread.
Lo spread scende una prima volta quando la BCE acquista titoli di stato, scende dal top storico quando Draghi, a dicembre 2012, lancia l’operazione LTRO e poi scende definitivamente e gratis quando Draghi, stanco della speculazione sull’euro, dichiara: “whatever it takes’ to preserve the euro
 
Pertanto, l’Italia a un passo dal default è una balla gigantesca, non c’era nessuna necessità né del governo Monti né delle sue oscene riforme che hanno distrutto un paese, causando fallimenti di aziende storiche e suicidi. Riforme che sono state fatte per salvare l’euro e le banche tedeschi e francesi.
 
Punto e basta. O, non basta. Perché ancora oggi, dopo sette anni, questa enorme balla che ha condizionato tutta l’economia italiana e continua a condizionarla, gira spesso in TV, anche se la musica sta cambiando.
E grazie all’onorevole Marco Zanni ho potuto smontarla direttamente al Parlamento Europeo, in un convegno da lui organizzato (qui il video)
 
Nella prossima puntata vi parlerò di un film già visto. Stay tuned.
 
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Questo articolo è uscito nel 2015 sul blog che allora gestivo sulla piattaforma de Il Giornale. L’articolo ottenne un numero di letture e condivisioni impressionante. Qualche mese dopo, per motivi personali decisi di chiudere il blog. Non immaginavo, però, che questa mia decisione, portasse la redazione del giornale ad eliminare i contributi fino ad allora postati.
Poiché da allora sono più o meno quotidiani i messaggi di persone che mi chiedono “Alessandro, dove posso trovare i tuoi articoli?”, ho deciso di sfruttare la mia pagina Facebook come archivio.
 

Vivere e morire di euro

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Uscire dall’euro è complesso e rischioso. Ma è un’eventualità che deve essere presa in considerazione. Potrebbe essere l’unico modo per riaccendere la speranza di un vero rilancio dell’occupazione e della crescita. Soprattutto, per evitare che la prossima crisi finanziaria internazionale ci faccia ricadere in una nuova lunga recessione.

Come uscirne (quasi) indenniSe fosse possibile tornare indietro nel tempo l’Italia avrebbe scelto di entrare nell’euro? Forse no. Ma con il senno di poi è facile decidere. La crisi finanziaria e poi la peggiore recessione dal dopoguerra hanno messo a nudo i limiti di fondo della moneta unica: quando le cose vanno male, Paesi troppo diversi tra loro non possono condividere la politica monetaria e fiscale e ciò che era nato per unire finisce per dividere. Stiamo lottando per ritornare su un sentiero di crescita stabile, ma non basta per rendere sostenibile il debito pubblico e fare ripartire l’occupazione. Uscire dall’euro potrebbe essere l’unico modo per cambiare rapidamente le cose. Bello ma impossibile? Troppo rischioso? L’euro è una trappola dalla quale non si può uscire? Non è così. L’uscita è una mossa pericolosa e complicata, ma non impossibile. Questo libro analizza e discute, con rigore e chiarezza, interventi di vario tipo, sui depositi bancari, sul debito pubblico e privato e sul bilancio della Banca centrale che, se ben gestiti e ben comunicati al pubblico, agli investitori e agli altri Paesi europei, potrebbero portare a un’uscita senza strappi e senza catastrofi finanziarie. Meglio pensarci quando ci sono segnali di ripresa. Se dovessimo affrontare la prossima crisi finanziaria a “mani nude”, senza il controllo della politica monetaria e fiscale, potremmo rivivere l’incubo di una nuova lunga recessione e un’uscita affrettata sarebbe catastrofica.

Giovanni Siciliano (Bari, 1966), è laureato in Economia all’Università L. Bocconi dove ha conseguito un master in Economia internazionale. Si è occupato per quasi trent’anni di studi e analisi sui mercati e sulla regolamentazione finanziaria. Dopo una breve esperienza in una grande multinazionale americana, ha lavorato in Banca d’Italia e in Consob, dove è attualmente responsabile della Divisone studi. Ha insegnato Finanza aziendale all’Università Cattolica del Sacro Cuore e ha pubblicato numerosi articoli scientifici e monografie in materia di economia finanziaria. Ha partecipato a gruppi di lavoro presso organismi internazionali (Ocse, Iosco ed Esma) che si occupano di studi e analisi sui mercati finanziari.

Imprimatur Editore

Sapir: 5 tesi sull’euro

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[pullquote]…quando si impedisce che gli aggiustamenti avvengano attraverso il tasso di cambio, essi avvengono attraverso la disoccupazione che, deprimendo a sua volta il livello delle attività, produce altra disoccupazione. La votazione del Fiscal Compact da parte del Parlamento francese nell’ottobre 2012 ha congelato questa situazione, privando lo Stato della possibilità di condurre politiche fiscali adeguate…[/pullquote]

Come di consueto, Jacques Sapir ha parole sagge sul suo blog in tema di eurocrisi. L’economista francese articola in cinque tesi i modi in cui la moneta unica sta condannando alla miseria un intero continente. Occorre al più presto riconoscere la verità: l’euro è la causa, non la soluzione dei nostri problemi. E l’unico modo di salvare l’Europa è superare questo strumento inadeguato, tornando alle flessibilità valutarie.

I problemi posti dall’euro diventano sempre più evidenti con le mobilitazioni e le dimostrazioni di piazza in Francia contro la cosiddetta legge “Labour”. E’ ormai evidente che la basi economiche di questa legge sono imposte dalla nostra partecipazione all’eurozona. Dal momento in cui gli Stati vengono privati della possibilità di regolare la loro situazione economica tramite la svalutazione (o la rivalutazione) del cambio valutario, e in assenza di qualsivoglia sistema di trasferimenti fiscali previsti a priori, gli aggiustamenti possono avvenire solo a spese del fattore lavoro. Questa è l’amara verità, che si evidenzia sempre di più sotto forma della legge “labour”, la cosiddetta legge El Khomri, ossia il nome del Ministro a cui è stato imposto di presentarla, senza avere la possibilità di prendere parte alla sua ideazione. I problemi creati dall’euro possono essere esposti in 5 punti.

  1. L’euro non è una moneta; non corrisponde a un singolo soggetto politico né a una volontà politica basata sulla legittimazione popolare.

L’euro è un sistema che paralizza il commercio tra paesi. E’ un regime di cambi fissi di fatto affine al gold standard. Non ammette alcuna flessibilità. I Paesi non hanno più la possibilità di aggiustare il proprio tasso di cambio, cosa che sarebbe necessaria, considerando le normalissime differenze strutturali tra i paesi interessati, e l’assenza di un budget europeo, ossia di trasferimenti fiscali tra paesi dell’eurozona.

Ci sono 2 soluzioni a questo. La prima consiste nell’organizzare massicci trasferimenti fiscali come quelli che esistono all’interno delle economie dei singoli paesi. Per esempio c’è una rilevante eterogeneità tra le diverse regioni francesi, ma esse vengono tenute insieme grazie a trasferimenti fiscali netti di 300 miliardi di euro, mentre i trasferimenti a livello europeo ammontano a meno di 40 miliardi. Dovremmo quindi moltiplicare questi flussi di denaro di 7 o 8 volte, ossia fare un grosso balzo in avanti. Inoltre, questi flussi dovrebbero venire pagati essenzialmente da quei paesi che traggono beneficio dall’euro, proprio come in Francia i flussi di denaro vengono essenzialmente dalla regione di Parigi e della Valle della Senna. Questo non è un problema in Francia, perché siamo tutti Francesi e la redistribuzione tra regioni ci sembra normale, ma quando parliamo di eurozona, significa che tra l’8 e il 10% del PIL tedesco dovrebbe essere prelevato dalla Germania e trasferito a paesi come Grecia, Spagna, Portogallo, Italia e perfino la Francia. Tuttavia, non possiamo chiedere tanto ai tedeschi. Non è nemmeno questione di sapere se sarebbero d’accordo a farlo. Semplicemente, distruggerebbe la loro economia.

L’altra soluzione consiste nell’organizzare svalutazioni interne competitive. Questà è la via scelta dall’eurozona fin dal 2010. In concreto, significa applicare nel nostro paese la politica suicida che Brüning applicò in Germania tra il 1930 e il 1932. Fu questa politica che pose le basi all’ascesa del Nazismo, non l’iperinflazione. Ed è bene ricordare che essa fu praticata nel nome del salvataggio delle banche tedesche. Queste furono in effetti salvate, ma il prezzo in termini di disoccupazione e miseria sociale fu mostruoso. Queste politiche di svalutazione interna sono esattamente le stesse che vengono ora implementate: un calo nominale dei benefit sociali, sussidi di disoccupazione o pensioni, e un calo nei salari nominali ottenuto attraverso diversi trucchi. Queste politiche mettono i Paesi che le applicano su un sentiero di competizione reciproca profondamente distruttivo per l’economia europea. Per esempio, si sente molto parlare della ripresa spagnola. Non solo ci vorrebbe molta prudenza sull’argomento, ma bisogna anche comprendere che questa ripresa sta avvenendo a spese della Francia e dell’Italia.

Infine, dobbiamo ricordare che la sentenza della Corte di Karlsruhe del 2011, cioè che esistono Popoli europei, ma non esiste alcun “Popolo europeo”, e che è all’interno di un contesto nazionale che si svolgono i processi democratici. In altre parole, la creazione di un sistema federale porrebbe enormi problemi in termini di democrazia.

2. Di conseguenza, l’euro è causa di recessione, sia strutturale sia di breve termine

E’ anche causa di regressione perché, quando si impedisce che gli aggiustamenti avvengano attraverso il tasso di cambio, essi avvengono attraverso la disoccupazione che, deprimendo a sua volta il livello delle attività, produce altra disoccupazione. La votazione del Fiscal Compact da parte del Parlamento francese nell’ottobre 2012 ha congelato questa situazione, privando lo Stato della possibilità di condurre politiche fiscali adeguate. Infatti, come possiamo vedere nelle tabelle suguenti, la crescita dell’eurozona è stata molto minore di quella degli stati dell’UE che non utilizzano l’euro. C’è stato, tra il 2000 e il 2015, un gap di circa l’1% annual, ossia un gap totale del 17% circa sull’intero perodo. Questo è un fatto, e molto significativo.

Tabella 1

Confronto tra la crescita nei paesi dell’eurozona e in 5 altri paesi OCSE

PIL 2015, indicizzato 100= 1999 Crescita media nel periodo 1999-2015 Crescita media nel periodo 1999-2007 Crescita media nel perido 2008-2015 PIL per abitante nel 2015, indicizzato 100=1999 Crescita media del PIL per abitante 2015
Belgio 125,6% 1,43% 2,23% 0,6% 114,1% 0,8%
Finlandia 128,2% 1,56% 3,73% -0,6% 118,0% 1,0%
Francia 122,2% 1,26% 2,11% 0,4% 111,3% 0,7%
Germania 121,5% 1,23% 1,64% 0,8% 122,7% 1,3%
Grecia 104,7% 0,29% 4,07% -3,4% 103,6% 0,2%
Italia 102,9% 0,18% 1,48% -1,1% 97,2% -0,2%
Olanda 121,6% 1,23% 2,28% 0,2% 113,6% 0,8%
Portogallo 106,2% 0,38% 1,52% -0,8% 104,3% 0,3%
Spagna 130,6% 1,68% 3,74% -0,3% 112,4% 0,7%
Totale 9 paesi dell’eurozona 119,1% 1,10% 2,18% 0,0%  
Totala senza la Germania 118,1% 1,05% 2,40% -0,3%  
Canada 142,3% 2,23% 2,80% 1,7% 120,5% 1,2%
Svezia 140,2% 2,14% 3,24% 1,0% 126,4% 1,2%
Regno Unito 134,9% 1,89% 3,00% 0,8% 122,0% 1,1%
USA 137,5% 2,01% 2,65% 1,4% 119,5% 1,2%

Fonte : data base FMI

A questo punto, dovremmo avere il coraggio di guardare in faccia la verità: i Grandi Progetti Europei sono stati il frutto della cooperazione tra paesi, ma non dell’Unione Europea stessa. L’Airbus non è stato creato dall’Europa. E’ un consorzio nato da una cooperazione franco-tedesca, a cui si sono aggiunti spagnoli e inglesi. Il razzo Arianna non è un progetto europeo, ancora una volta è un progetto nato dalla cooperazione tra Francia, Germania e Regno Unito, che la Francia riuscì ad imporre con una forzatura, nel 1971, la necessità di una mente-guida, per porre fine ai ripetuti fallimenti del razzo Europa. Tutti questi progetti si sono rivelati dei successi perché portati avanti dalla volontà politica di un paese, non dalla somma delle volontà burocratiche di Bruxelles. Allo stesso modo, il CERN esiste da molto prima dell’Unione Europea. E’ quindi perfettamente possibile coordinare, o anche meglio, cooperare nell’ambito di grandi progetti industriali, senza le istituzioni europee e a maggior ragione senza l’euro. D’altra parte, possiamo notare un calo negli investimenti a partire dall’implementazione dell’euro.

Tablella 2

Calo degli investimenti produttivi

Investimenti globali Investimenti per abitante
Livello 2015 in percentuale sul 1999 Tasso di crescita annuale Livello 2015 in percentuale sul 1999 Tasso di crescita annuale
Belgio 120,8% 1,2% 109,8% 0,6%
Finlandia 114,9% 0,9% 107,9% 0,5%
Francia 122,9% 1,3% 111,9% 0,7%
Germania 96,2% -0,2% 97,1% -0,2%
Grecia 47,2% -4,6% 46,7% -4,7%
Italia 77,2% -1,6% 73,0% -2,0%
Olanda 97,0% -0,2% 90,6% -0,6%
Portogallo 53,6% -3,8% 52,6% -3,9%
Spagna 100,5% 0,0% 86,5% -0,9%
9 paesi dell’eurozona 98,3% -0,1% 92,5% -0,5%
Canada 163,2% 3,1% 138,2% 2,0%
Svezia 157,8% 2,9% 142,2% 2,2%
Regno Unito 123,8% 1,3% 111,9% 0,7%
USA 120,2% 1,2% 104,4% 0,3%

Fonte : database FMI

Che l’euro fosse una causa di recessione strutturale è un fatto noto già da prima della crisi finanziaria del 2007. In un lavoro pubblicato nel 2007, e scritto poco prima, molti economisti mostrarono che l’euro è una causa di mancata crescita a livello mondiale[1]. Infatti, l’euro è causa di recessione in molti paesi e, per di più, indebolisce complessivamente la domanda nell’intera eurozona, pesando così sensibilmente sulla situazione economica mondiale. Possiamo notare che, fin dai primi anni 2000, la crescita aggregata dei paesi dell’eurozona è stata significativamente inferiore a quella USA, a quella del Regno Unito e a quella degli altri paesi OCSE che non hanno l’euro. Si può quindi attribuire all’euro parte degli squilibri che sono emersi fin dal 2007.

Ma l’euro è anche causa di recessione a breve termine. “Dobbiamo salvare l’euro”: è a causa di questo slogan che le politiche di austerità sono state imposte su tutto una serie di Paesi, aggravandone direttamente la crisi, come è capitato in Spagna, Grecia, Portogallo e Italia. Riguardo l’Italia, per esempio, dobbiamo essere consapevoli che la recente crisi bancaria italiana ha origine essenzialmente nell’accumulazione di crediti inesigibili, che non sono legati al mercato immobiliare, ma nel 90% dei casi ai debiti delle imprese, piccole aziende che sono state destabilizzate delle politiche recessive messe in atto negli scorsi anni. Il governo Renzi sta disperatamente provando a far ripartire il motore economico, ma al momento è costretto ad affrontare i problemi ereditati dal passato, come i malandati bilanci di 4 o 5 banche (si parla di più di 400 miliardi di crediti deteriorati), che ha causato un pesante crollo nella borsa di Milano. L’euro aggiunge crisi a crisi. Certo, tra il 2000-2001 e il 2006-2007, la Francia ha vissuto un periodo di crescita superiore a parecchi paesi dell’eurozona, in particolare rispetto alla Germania, ma perché?

  • La forte svalutazione dell’euro in quegli anni ha avvantaggiato la Francia.
  • L’ampiezza delle esenzioni dei contributi previdenziali. Questo sistema non è equo, dato che favorisce le grandi aziende e crea tutta una serie di problemi, ma è quello che abbiamo. E se la Francia ha avuto una crescita superiore alla Germania, è solo attraverso un costante rafforzamento di questo sistema di esenzioni, in altre parole, attraverso la restituzione alle società con una mano di quello che le si era tolto con l’altra, in modo da compensare gli effetti dell’euro.
  • Una politica di bilancio piuttosto espansiva durante questo periodo, la quale ha avuto effetti positivi, ma ha anche peggiorato considerevolmente il nostro debito pubblico (e soprattutto la bilancia commerciale con l’estero… MdVdE).
  1. L’euro è causa di finanziarizzazione dell’economia

L’euro ha permesso alla Germania e alla Francia di ottenere l’attuale finanziarizzazione. Ma allo stesso tempo, paradossalmente, l’euro non è stato capace di resistere a una crisi finanziaria. Possiamo vedere molto chiaramente che le regole operative della BCE, e le regole che sono state adottate dai vari paesi, mirano a rendere le attività finanziarie il vero perno dell’attività economica. Ciò è profondamente sbagliato. Sto seguendo per conto della Russia una possibile ristrutturazione del loro sistema finanziario e, per quanto mi riguarda, sono un sostenitore di un ritorno a forme di intervento per controllare la finanza. Qualcuno la chiama “repressione finanziaria”, ma è una definizione senza senso. Possiamo parlare di “reprimere” persone, o popolazioni. Ma quando parliamo di finanza, si tratta semplicemente di regole. Tuttavia, mettere in atto una regolamentazione della finanza, cosa che dovrebbe essere fatta non solo in Francia, ma in tutta l’Europa, non è possibile all’interno della struttura dell’euro. Cercare di governare la finanza è impossibile all’interno delle regole operative dell’euro.

Occorre qui ricordare che la finanziarizzazione tende a focalizzare gli attori finanziari sul breve o brevissimo termine. C’è stato un dibattito molto importante a riguardo tra Von Mises [2] e Neurath negli anni ’20. Da questo dibattito è nato il tema della “pianificazione Neurath” di tendenza socializzante, riguardo alla decisione di produrre elettricità da fonti idroelettriche piuttosto che fossili. Von Mises, che difendeva la posizione liberista, sosteneva che è sufficiente guardare al costo marginale del capitale, e la soluzione si sarebbe trovata da sola. Secondo Otto Neurath[3] invece, esistono costi nascosti che non sono subito evidenti, ma si manifesteranno tra 20 o 30 anni. Per esempio, il costo della Silicosi sui minori, il costo dell’inquinamento prodotto dalla combustione del carbone, e così via. E’ quindi necessaria una decisione politica, in questo caso tra carbone e idroelettrico, perché tale decisione creerà le sue stesse condizioni di validazione economica. Per questa ragione Neurath era a favore della pianificazione economica. E questo è uno dei più grandi problemi che dobbiamo affrontare, ma che saremo in grado di risolvere solo se ci tireremo fuori dalla globalizzazione finanziaria. Per inciso e paradossalmente, Hayek, nel suo libro del ’45 sulla conoscenza[4], era d’accordo con Neurath e contro Von Mises, come mostra J. O’Neill[5].

Il più grande problema posto dalla finanziarizzazione è quello della perdita della conoscenza tacita o implicita[6], che gioca un ruolo importante nella relazione tra colui che presta e colui che contrae il prestito, dal momento che il prestatore è impegnato in un progetto imprenditoriale. Qualsiasi registro, per esempio quello che è in fase di implementazione tra banche dell’eurozona, per quanto perfetto possa essere, non è in grado di fornire tutte le informazioni necessarie a un creditore perché possa impegnarsi con un debitore. Per questa ragione, un contatto diretto o indiretto tra creditore e debitore rimane essenziale. Perché credete che i jet privati si siano sviluppati così tanto negli ultimi 40 anni, se non per creare questo contatto diretto e personale tra grandi creditori e grandi debitori? Si crea un problema, se si cerca di unificare i mercati di capitali. Ciò è cruciale anche per i grandi paesi, ed è per questa ragione in particolare che essi hanno banche locali e regionali. Si possono allora unire queste banche in una rete, subordinarle a un organismo centrale, come successo con il vecchio Crédit Agricole. Ma, in particolare per le piccole e medie imprese, è importante che i contatti rimangano, in una particolare forma di conoscenza che nessun registro potrà mai contenere. Ciò significa che se si ritiene importante, a livello macroeconomico, avere almeno una parziale unificazione dei mercati di capitali, allora questa parziale unificazione deve prendere la forma di banche nazionali di investimento, tenute insieme, se necessario, da un organismo a livello europeo che offra loro le migliori condizioni di rifinanziamento. Questa è una delle ragioni per le quali è indispensabile l’esistenza di un sistema di regole bancarie e finanziarie. Tuttavia, questo sistema è oggi in contraddizione con l’esistenza dell’euro. Se si vuole uscire dalla finanziarizzazione, si deve essere determinati nel superamento dell’euro.

  1. L’euro è una macchina da Guerra che favorisce la Germania

Questa è una verità che può essere spiacevole ma che dobbiamo affrontare. Dirlo non significa essere germanofobici, ma riconoscere realisticamente un progetto portato avanti dalle élite politiche ed economiche tedesche. E’ l’euro che ha permesso alla Germania di trarre vantaggio fin dal 1999 di una moneta ampiamente svalutata rispetto a quanto avrebbe dovuto essere il valore del Marco tedesco. Gli studi svolti a riguardo non lasciano dubbi: se non ci fosse stato l’euro, il Marco varrebbe ora tra gli 1,35 e 1,50 dollari mentre l’euro è tra 1,08 e 1,09 dollari. Ancor più importante, l’euro garantisce alla Germania che i Paesi dell’eurozona con i quali commercia non potranno compensare le loro differenze strutturali attraverso le svalutazioni. Ma le svalutazioni sono un meccanismo economico essenziale: i Paesi hanno logiche differenti nella composizione dei costi, ed è necessari che in certi momenti queste differenze vengano ribilanciate attraverso il cambio valutario. Le politiche di svalutazione interna portano a politiche di svalutazioni competitive che hanno in realtà effetti peggiori delle precedenti, perché combinano effetti distruttivi notevoli sulle economie nazionali. Ma si potrebbe arrivare a forme di coordinamento se si tornasse alla flessibilità dello strumento valutario. Si potrebbe concordare di calcolare di quanto alcuni paesi debbano svalutare o rivalutare le loro valute, ossia, si potrebbe coordinarsi.

Ma comunque, è vero che la Germania ha notevoli esigenze di strutture comunitarie. Non solo per quel che riguarda i migranti. Parte del sistema ferroviario e dei ponti, cade a pezzi. Ma allo stesso tempo, l’arrivo di più di un milione di persone farà abbassare i salari. Certo, ci sarà un salario minimo, ma possiamo comunque essere sicuri che nei prossimi 5 anni la proporzione di persone che recepirà il salario minimo aumenterà velocemente. Mentre il salario minimo era concepito inizialmente come un livello-base che doveva interessare soltanto un 10% dei salariati, la proporzione diventerà il 25-30%, cosa che continuerà a far calare il costo del lavoro, così come la domanda interna.

  1. L’euro è oggi causa di grandi conflitti in Europa.

L’euro è la causa principale dell’aumento del conflitto tra popoli europei. Basta andare ad Atene, a Roma o perfino in Spagna per farsi un’idea di come il clima che c’è tra popoli si sia profondamente deteriorato negli ultimi 3 o 4 anni. Oggi si possono sentire in Grecia e in Italia discorsi sui tedeschi che corrispondono pressappoco a quanto si diceva di loro negli anni ’50. Al di là delle questioni economiche, ora si pone un problema politico: come far sopravvivere l’Europa. Ma la sopravvivenza dell’Europa (che dobbiamo in questo caso separare dall’Unione Europea) può avvenire solo attraverso la dissoluzione dell’euro. Forse è ormai troppo tardi oggi per “salvare” l’UE, come possiamo constatare con la disintegrazione degli accordi di Schengen. Ed è anche vero che ormai l’UE si porta dietro il marchio indelebile di politiche antidemocratiche in molti paesi. Ma lo spirito europeo, la riconciliazione tra popoli, che non nega il fatto che gli Stati così come i popoli possano avere interessi divergenti, deve essere preservato. Tuttavia, tutto questo non sarà possibile se ci terremo l’euro.

http://vocidallestero.it/2016/03/18/sapir-5-tesi-sulleuro/

ISLANDA: DISOCCUPATI AL 2 PER CENTO. SENZA UE

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Come ce l’hanno fatta gli islandesi?

Semplice. “Non avremmo potuto uscire dal disastro se fossimo stati nembri dell’Unione Europea”, ha spiegato il primo ministro Sigmundur Davíð Gunnlaugsson. La fortuna aggiuntiva è di non essere entrati nell’euro ma aver la loro moneta sovrana. “Se i debiti fossero stati in euro, se fossimo stati obbligati (dalla UE) a fare come l’Irlanda o la Grecia, e prenderci carico delle banche fallite, ciò avrebbe affondato la nostra economia”… <<<leggi>>>

ISLANDA: DISOCCUPATI AL 2 PER CENTO. SENZA UE.

Crisi, la Finlandia è malata come la Grecia anche se ha fatto tutte le riforme

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Helsinki attraversa una profonda crisi pur essendo prima in tutte le classifiche internazionali. Per i fan della moneta unica la colpa è dei salari e del welfare. I numeri e il paragone con la Svezia dicono altro: dal 2008 il Pil è crollato del 6% mentre Stoccolma ha fatto segnare un aumento dell’8%… <<<leggi>>

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12/06/crisi-la-finlandia-e-malata-come-la-grecia-anche-se-ha-fatto-tutte-le-riforme/2274658/

Crisi di governo e rischio default: la piccola Slovenia spaventa l’Europa

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Era l’area più ricca della ex Jugoslavia. È stato il primo Paese dell’Est Europa ad adottare l’euro nel 2007. Sono passati solo sei anni ma sembra un secolo: ora la piccola Slovenia spaventa l’Europa e rischia di dover chiedere il salvataggio Ue… <<<leggi>>>

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-02-28/crisi-governo-rischio-default-105945.shtml?uuid=AbeguEZH

PIL pro capite > http://it.tradingeconomics.com/slovenia/gdp-per-capita

Per Varsavia l’euro può attendere

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L’euro può aspettare, Varsavia si terrà stretto il suo zloty ancora per molti anni. Di rinvio in rinvio, l’ingresso nel club della moneta unica rischia di slittare addirittura al 2020. E dire che il changeover sarebbe dovuto avvenire l’anno scorso, ma la crisi dell’Eurozona ha convinto il premier liberale Donald Tusk a cambiare i suoi piani. Nel frattempo, il consenso per l’euro tra i polacchi non ha fatto che scendere. Se infatti viaggiava attorno al 60% nel 2009, ora solo un terzo dice di essere favorevole… <<<leggi>>>

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-03-10/varsavia-euro-attendere-082011.shtml?uuid=AbelxccH