Category Archives: Psico Politica

logica covidiota

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1. Se si ammala dopo la prima dose, “è perché mancava la seconda”.

2. Se si ammala dopo la seconda, “è perché che non sono trascorsi 21 giorni”.

3. Se si ammala dopo 21 giorni, “il vaccino serve a non finire in rianimazione”.

4. Se finisce in rianimazione, “Il vaccino serve a non farlo morire”

5. Se muore, “nessun vaccino è sicuro al 100%, è colpa dei no-vax che non vogliono vaccinarsi”.

Questo perché viviamo in un tempo formidabile in cui:

1. Il produttore del vaccino non è responsabile.

2. Il governo non è responsabile.

3. Chi ti inietta il vaccino non è responsabile.

4. Ma se non ti fai vaccinare tu sei un irresponsabile…

Vaccini anti Covid – “Ecco come e perché io, da scienziato, rivendico il diritto di usare razionalità e prudenza”

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Cari amici di Duc in altum, la lettera che qui vi propongo è stata scritta da uno scienziato, il quale purtroppo, per i motivi da lui stesso illustrati all’inizio, non può firmarsi. 

*** tratto dal  blog di Aldo Maria Valli del 13 agosto 2021

Caro Valli, mi spiace non firmarmi col mio nome, ma sono costretto a inviare questo intervento coperto da anonimato a causa del clima attualmente vigente. Sono docente di fisica in una importante università italiana, ma non mi posso esporre. Chi oggi pone domande in materia di vaccini anti-Covid viene etichettato con la sbrigativa etichetta “no-vax” e subisce un ostracismo che, di fatto, diventa mobbing, additato come un soggetto sospetto e tenuto sotto osservazione. Da questo punto di vista, ritengo che lo stato attuale delle università non sia molto dissimile da quello dell’epoca fascista, al tempo del famigerato giuramento, in cui chiunque avanzasse dubbi non solo era perseguitato materialmente, ma subiva una morte civile.

Vorrei qui fare un richiamo a ciò che esercito quotidianamente nel mio lavoro, ossia alla razionalità. Razionalità sulla questione dei vaccini Covid, quella razionalità che proprio la maggioranza dei miei colleghi, in primis, abbandona integralmente quando si prova ad affrontare l’argomento. Io qui parlo da scienziato, uno scienziato che non è medico, ma che valuta i dati che abbiamo a disposizione, posto che siano scientificamente attendibili. I perché di questi dati, i perché dei vari meccanismi fisiologici, io non li so, li sanno i medici, i biologi, i farmacologi. Io qui valuto ciò che sappiamo e ciò che facciamo nelle sue basi scientifiche; i dettagli medici li lascio ai medici.

Conosco tanta gente che arrivata a questo punto mi etichetterebbe già come “no-vax”. La pratica di categorizzare le persone con una parola è tipica della moderna vita sociale, dagli episodi più drammatici, quando l’essere chiamato “nemico del popolo” ti faceva finire nelle grinfie del Kgb, a quando negli anni di piombo chi a sinistra non era comunista veniva additato come uno sporco-socialdemocratico-riformista. No, io rifiuto di essere accostato a chi ritiene che la terra sia piatta, a chi pensa di curare il cancro con la meditazione yoga o a chi ritiene che i vaccini siano somministrati per trasformarci in “rettiliani”!

Io rivendico il mio diritto a fare analisi, porre domande, abbozzare ragionevoli ipotesi, dedurre conseguenze. In una parola, rivendico il diritto pubblico di usare la razionalità!

Primo punto – Somministrare il vaccino Covid è compiere un atto medico, il che, come per tutti gli atti medici, porta sia benefici sia controindicazioni. Esso deve essere quindi un atto serio, razionalmente e scientificamente ponderato. Pertanto, proclami politici, toni da festa popolare o atteggiamenti superficiali (fotografie, hashtag, “birra & vaccino”,”vaccino & gelato”, eccetera) vanno del tutto evitati, ché interferiscono con il suddetto approccio razionale, oltre a essere fuori luogo e irrispettosi per la gravità del momento. Si converrà con me che tutto sono fuorché razionali le metafore belliche e i quotidiani insulti che vengono rivolti a tutti coloro che hanno dubbi sulla campagna vaccinale contro il Covid, così come è lontano da un clima di analisi razionale l’alimentare una guerra civile fredda tra vaccinati e non vaccinati. Ciò premesso, ci sono pro e contro da valutare (ripeto, come in tutti gli atti medici).

Appellandomi alla suddetta razionalità, risulta altresì inaccettabile che in qualunque discussione a tema Covid mentre si sta argomentando e sviluppando dei ragionamenti a un certo punto arrivi un sanitario (medico, infermiere, eccetera) che cala la matta: “Zitti, venite in ospedale a vedere chi sta male!” A quel punto basta, qualunque ragionamento è troncato, non si può più dire niente… Buttare sul tavolo la matta è come quando in un dibattito qualcuno che non sa cosa dire ti dà del fascista (la reductio ad Hitlerum): tu hai finito e lui ha vinto. Ringrazio tutti i sanitari che si sono spesi e si spendono per i malati, ma rivendico nuovamente il diritto a usare la razionalità e non l’emotività: se un chirurgo usasse solo l’emotività si guarderebbe bene dall’affondare il bisturi nelle carni del paziente; è il suo giudizio razionale che gli permette di procedere e di estirpare il male!

Secondo punto – PRO. Sì, i vaccini anti Covid attualmente disponibili sono efficaci nel contrastare l’epidemia, nel diminuire fortemente la probabilità di infettarsi, di ammalarsi gravemente, di morire. I dati di cui oggi siamo in possesso ci mostrano questo chiaramente e chi dicesse il contrario o mi mostra dove questi dati sbagliano o sta solo chiacchierando. Attenzione però: ho detto “sono efficaci nel contrastare”, non nel “debellare”, perché purtroppo ci si può infettare anche da vaccinati, ci si può ammalare anche da vaccinati e si può addirittura arrivare a morire, sebbene sia meno probabile. Ѐ altresì evidente che sulla consistenza numerica di questa azione positiva, che a tutt’oggi è chiara, ci sono tuttavia alcuni legittimi dubbi. Si può inoltre considerare ormai acclarato che un vaccinato possa essere contagioso, probabilmente tanto quanto un non vaccinato: circa tale caratteristica non ho personalmente visto dati definitivi, ma ritengo di potermi fidare del parere di autorevoli esperti quali Anthony Fauci (principale immunologo Usa) e Antonio Magi (presidente dell’Ordine dei medici di Roma), che tutto sono fuorché contrari ai vaccini anti covid.

Terzo punto – CONTRO. Dubbi sui vaccini anti Covid, purtroppo, ce ne sono diversi. Innanzitutto, essi sono stati approntati in fretta sotto forti pressioni politiche e autorizzati come terapie sperimentali. Ho sentito ripetere che “la scienza dice che sono sicuri”. Sì, i dati che abbiamo lo dicono, ma sono ancora dati dichiaratamente provvisori. L’autorizzazione dell’Agenzia europea del farmaco prevede espressamente che le case farmaceutiche sottomettano una relazione su benefici ed effetti collaterali entro il dicembre 2023, relazione che tale Agenzia studierà e comparerà con i dati in suo possesso per valutare l’autorizzazione definitiva. Perciò, ragionevolmente, non avremo certezze dichiarate e certificate prima del 2024 inoltrato. Occorre altresì notare che questi sieri sono stati approntati usando tecnologie altamente innovative, di cui, come dichiarato dagli stessi produttori, nulla sappiamo circa gli effetti a lungo termine. Nel loro recente intervento, Massimo Cacciari e Giorgio Agamben hanno sottolineato che gli stessi produttori dei vaccini hanno dichiarato che non sanno se negli anni potranno emergere patologie circolatorie o addirittura oncologiche.

Quarto punto – NON PREVEDIBILITÀ intrinseca. Mi sono sentito dire tante volte: “Ma abbiamo una statistica su un numero enorme di casi, praticamente non ci sono stati effetti collaterali, quindi siamo assolutamente sicuri”. Queste affermazioni me le hanno fatte anche persone con un’ottima cultura scientifica. Certo, su questi nuovi vaccini abbiamo una statistica su un numero enorme di casi e gli effetti avversi riscontrati, per quanto in alcuni casi drammatici, sono stati finora statisticamente non rilevanti; almeno questo è ciò che finora ci dicono i dati consolidati, che permangono in fase di continuo aggiornamento. Tuttavia, qui si tratta di statistica dei sistemi, e questo è campo mio, non dei medici, e qui posso dire più di loro. Tecnicamente ciascun essere vivente è quello che nella fisica moderna è chiamato “sistema complesso”. A chi fosse interessato ad approfondire l’argomento suggerisco il saggio Il quark e il giaguaro del premio Nobel Murray Gell-Mann (ma potete cominciare con la voce di Wikipedia). Detto molto rozzamente, un sistema complesso è un sistema fisico in cui “il tutto è più della somma delle parti”, ossia un sistema che, smontato nei suoi costituenti fondamentali, perde le sue caratteristiche specifiche. Evidentemente qualunque vivente è un sistema complesso, poiché se lo smonto lo uccido e cessa di essere un vivente. Sistema complesso è anche, per esempio, l’atmosfera terrestre, il cui comportamento non può essere riconducibile a quello della miscela di gas che la compongono. Peculiarità di tali sistemi complessi è proprio che essi hanno una evoluzione temporale in larga misura imprevedibile. L’esempio delle previsioni del tempo è noto a tutti: oltre le quarantotto ore la loro affidabilità crolla. Questo è un problema intrinsecamente legato alla natura di “sistema complesso” dell’atmosfera terrestre.  Più in generale, nei cosiddetti “sistemi complessi”, quali sono gli esseri viventi, la statistica sul numero di casi non ci dice niente sulla statistica nel tempo: tecnicamente si dice che che non vale né “l’ipotesi ergodica” né “la dipendenza continua dai dati iniziali”. Quindi, sì, posso affermare che sugli effetti di questi nuovi vaccini siamo ciechi su quanto potrebbe accadere ai vaccinati tra cinque o dieci anni. Potrebbe non accadere nulla, così come potrebbe esserci, Dio non voglia, un incremento di trombosi o di tumori, moderato o largo. Le stesse case farmaceutiche mettono le mani avanti dicendo che non lo sanno. Di certo posso affermare che se l’ultima delle matricole venisse a dirmi “professore, abbiamo avuto lo stesso risultato in un milione di casi, quindi questo dimostra che otterrò lo stesso risultato tra un milione di secondi” la caccerei lanciandole dietro la tessera dello studente (purtroppo il libretto cartaceo non si usa più)! Perciò non me lo vengano a dire né medici né colleghi (ideologici o poco aggiornati) né giornalisti! Ripeto: sugli effetti a lungo termine non abbiamo certezze, e non per mancanza di dati, non per ricerche fatte male, non per analisi sbagliate, ma per una caratteristica intrinseca della natura (per come la conosciamo oggi), paragonabile alle leggi della termodinamica. Non si scappa, sugli effetti a lungo termine SIAMO CIECHI.

Quinto punto – CONSIDERAZIONI SCIENTIFICHE. Allora, dobbiamo rinunciare a questi vaccini? A mio parere no, perché ne perderemmo anche i vantaggi. Risulta tuttavia ragionevole applicare un principio di prudenza. I vaccini non possono essere il solo strumento contro il Covid, ma uno strumento, da usare con gli altri. Essi vanno applicati, sì, ma valutando il rapporto rischi-benefici. Esempi pratici. Gli ultraottantenni sono vulnerabili al Covid oggi e delle complicazioni a dieci anni a loro interessa molto relativamente; per cui è ragionevole vaccinarli. I bambini, di contro, sono poco vulnerabili al Covid e complicazioni a dieci anni possono rovinare o terminare la loro vita; pertanto, non è ragionevole vaccinarli! Affermazioni a favore della vaccinazione dei bambini, anche fatte da personaggi titolati quali, per esempio, il ministro dell’Università, denotano solo ideologia e ignoranza. In mezzo, tra questi due esempi estremi, ci sono i milioni di casi da valutare a uno a uno in relazione alla situazione singola. Bisognerebbe applicare razionalità e discernimento caso per caso, sapendo che, oggettivamente, ogni soluzione comporterà dei rischi: ma la medicina non dovrebbe fare così quotidianamente? Ci sono ragionevoli dubbi a non vaccinarsi, ci sono ragionevoli dubbi a vaccinarsi. Che cosa dicevano gli antichi? In dubiis, libertas. In ciò erano certamente più saggi e razionali di noi.

Sesto punto – CONSIDERAZIONI GENERALI.  Ci sarebbero altre questioni di cui tenere conto, ma rientrano in campi non scientifici: in proposito ho la mia opinione, ma non è più titolata di quella di altri. È, tuttavia, importante che rammenti gli elementi in gioco. Ci sono innanzitutto questioni etiche su come i vaccini sono stati approntati. Alcuni (Pfizer, Moderna) hanno impiegato in fase di sperimentazione colture cellulari provenienti dalle cellule di un bambino abortito, probabilmente (ma non certamente) per aborto spontaneo. Altri (Astrazeneca) cellule analoghe le hanno usate anche in fase di produzione. Ѐ eticamente lecito ciò? L’etica classica, di cui la Chiesa cattolica si fa interprete modernamente, dice che lo è in condizioni di emergenza, in mancanza di alternative. Lo siamo effettivamente? Di nuovo, occorre affrontare la complessità della situazione e valutare attentamente. Dubbi oggettivi ce ne sono.

Altre questioni riguardano le correlazioni, anche economiche, tra gli Stati e le grandi case farmaceutiche, per cui certe strategie di cura più innovative e costose, quali i vaccini, sono state privilegiate rispetto ad altri approcci più consolidati ed economici, quali i protocolli di cura (anche domiciliare), che stanno per essere approvati a livello continentale. Perché questa scelta? Ancora non c’è chiarezza, di nuovo ci sono dubbi.

La classe medica, infine, risente fortemente di questo clima di guerra civile fredda, per cui l’ordine non scritto di “bucare tutti a tutti i costi” porta i medici a non avere la giusta serenità per valutare tutti i possibili casi, i possibili quadri clinici, le possibili controindicazioni o la portata dei benefici per ciascuno, con buona pace dell’etica della medicina, della scienza della razionalità!

Settimo punto – CONCLUSIONI. Contrariamente a quanto ci dicono, è del tutto FALSO che esista una sola soluzione che va bene per tutti. Perché è certamente vero che dobbiamo evitare che la gente muoia soffocata nelle terapie intensive, ma dobbiamo anche evitare il rischio che, se qualcosa andasse storto, la popolazione di domani sviluppi in massa patologie altrettanto gravi!

È ragionevole pensare che un evento così enorme e complesso come questa epidemia Covid possa avere una soluzione unica? È ragionevole puntare tutto su un’unica strategia, per di più scarsamente collaudata? Non sarebbe più ragionevole affrontare la complessità della situazione approntando varie strategie per i vari contesti, con piani secondari nel caso le prime scelte si rivelassero inefficaci?

Un po’ di esperienza e pratica scientifica da parte di tutti permetterebbe di agire e giudicare con razionalità e non in preda all’emotività. Io rivendico RAZIONALITÀ E PRUDENZA.

Sono uno scienziato, rivendico il diritto, senza essere additato, vilipeso, punito, allontanato, di porre domande, di analizzare, di dubitare, di invocare razionalità e prudenza e rivendico la libertà di mettere in pratica pubblicamente tutto ciò!  È così assurdo?

decalogo anti delirio

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A) gli ospedali e le terapie intensive sono vuote. Abbiamo allentato le restrizioni quando erano al 30% e pensiamo di metterle quando sono al 2% di occupazione?

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B) le previsioni di sciagura si sono sempre rivelate sciocchezze. Vi ricordate cosa dicevano i consulenti di Speranza quando ad Aprile insistevamo per riaprire? Ecco. Adesso siamo a metà Luglio. Di che parliamo?

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C) la popolazione a rischio è già totalmente vaccinata. perché il covid è pericoloso soprattutto per gli over 60 e ai dati dei vaccinati VANNO AGGIUNTI i milioni che l’hanno avuto e sono guariti. Ufficiali sono 4,2 milioni reali, probabilmente il doppio. Da 60 a 90+ siamo vicini al 100%.

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D) la mortalità covid per i giovani UNDER 40 è ZERO. I pochissimi morti che ci sono stati erano nella stragrande maggioranza dei casi con gravi patologie.

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E) a fronte di rischio zero per i giovani le reazioni avverse colpiscono sopratutto loro. Per quale motivo dobbiamo metterli a rischio? Giù le mani dai ragazzi!!! In Germania le vaccinazioni ai giovani sono sconsigliate (e niente greenpass). Facciamo come loro.

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F) dire che se ci sono più vaccinati il virus circola di meno è una sciocchezza. Il massimo dei contagi in Europa è proprio nel paese dove si è vaccinato di più ovvero la Gran Bretagna. Il vaccino protegge i fragili, non fa miracoli.

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G) dire che se non ci vacciniamo tutti si creano le varianti è una sciocchezza. Supponiamo che perché siamo campioni d’Europa arriviamo al 100%. Ma non ci pensate che fuori c’è un MONDO di 7,8 MILIARDI di persone? La variante delta è la variante INDIANA, non di Frosinone.

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H) i giovani non avranno mai il greenpass prima di Ottobre. Se anche tutti i giovani (secondo me sbagliando ma liberi di fare quello che vogliono) corressero a prenotarsi non avrebbero mai la seconda dose prima di ottobre. Li vogliamo chiudere in casa tutta l’estate?

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I) dove si è sperimentato il greenpass ci sono stati migliaia di contagi. Ovvio. Il vaccinato può contagiare, se va in un assembramento contagerà tutti. Se si vuol essere sicuri in una situazione rischiosa si fa il tampone rapido all’ingresso, altrimenti non c’è alcuna garanzia.

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L) il regolamento UE sul greenpass vieta discriminazioni. E’ così anche la risoluzione del Consiglio d’Europa sulle vaccinazioni. Chi vuol mettere l’obbligo abbia il coraggio di proporlo pubblicamente. Greenpass è un obbligo camuffato, un attentato alle libertà fondamentali. NO GREENPASS.

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Thread di Claudio Borgli Aquilini pubblicato su Twitter il 17/07/2021

La logica non è un opinione

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I PARTE – Il metodo del ragionamento

Su questo sito si discute, in Internet si discute, nel mondo, in generale, si discute. E per farlo usiamo tutti, indistintamente, gli stessi due strumenti: il linguaggio, e la Logica. Ma mentre il linguaggio è chiaramente acquisito, la Logica pare in qualche modo “esistere” a priori, risultando immutabile nel tempo ed invariata in ogni luogo. Che tu vada in Russia o nel Congo, che tu parli cinese o afrikaans, ciò che è logico rimane logico sempre e comunque, dappertutto e per tutti. (Di fronte a questo non può non venire in mente, anche a chi non sia cristiano, la frase inziale del Vangelo di Giovanni: “In principio era il Logos”).

Nonostante questa apparente universalità, però, gran parte delle discussioni fra gli esseri umani non porta a nulla di costruttivo, e anzi si finisce spesso per allontanarsi ancora di più uno dall’altro. Perchè? Se i dati sono riscontrati oggettivamente, e la Logica è uguale per tutti, …
…non si dovrebbe arrivare automaticamente alle stesse conclusioni?

Uno dei motivi perchè ciò non accade, ovviamente, è quello che possiano definire una “differenza di opinione”, dove il divario non stia nel modo di analizzare i dati disponibili, ma nel “valore” intrinseco che ciascuno di noi assegna a questi dati. E questa diversa scala di valori ha radici culturali, emotive e personali che sfuggono completamente al mondo ordinato e preciso della Logica.  (Come dissero Eisntein ed Heisemberger, dopo aver passato tre giorni rinchiusi in uno chalet a confrontare le proprie idee sull’Universo, “we agree to disagree”, siamo d’accordo sul non esserlo. I due infatti partivano da presupposti scientifici diversi, e le loro teorie rimangono a tutt’oggi inconciliabili fra loro).

Il secondo motivo, altrettanto diffuso, è quello di una errata applicazione dello strumento logico. Ovvero, i due contendenti non discordano in realtà sulla tesi di fondo, ma non riescono a giungere ad un accordo per un’ errata applicazione delle “regole del gioco”, e questo genera fra i due una sensazione di discordia di fondo.


IL RAGIONAMENTO LOGICO

Un ragionamento logico è definito tale quando si componga di tre elementi essenziali, che sono: premessa, inferenza, e conclusione. Possiamo descrivere la premessa come una specie di “affermazione” generica, nota a tutti e fuori discussione, l’inferenza come un’affermazione particolare, che si applica solo nel caso specifico, e la conclusione come una nuova affermazione, che nasca dalla somma delle prime due. Oppure possiamo definire un ragionamento logico, in maniera molto più semplice, “due siccome e un quindi”. Facciamo un esempio:

PREMESSA (generica): (Siccome) I cani hanno quattro zampe, una coda e abbaiano.
INFERENZA (specifica): (E siccome) L’animale che ho davanti ha quattro zampe, una coda e abbaia.
CONCLUSIONE (nuova affermazione): (Quindi) L’animale che ho davanti è un cane.

Ogni nuova affermazione che si ottenga con un tale procedimento, cioè ogni conclusione, può a sua volta diventare la premessa per un nuovo pezzo di ragionamento, ovvero di una nuova “tripletta” fatta di due siccome e un quindi. (Da cui l’espressione “segui il filo del mio ragionamento”).


METODO DEDUTTIVO E METODO INDUTTIVO

Vi sono due tipi di ragionamento, quello deduttivo e quello induttivo, che sono anche detti “aristotelico” e “platonico”. Ambedue seguono lo schema premessa-inferenza-conclusione, ma si distinguono sia per il tipo di premessa che per la garanzia che danno sulla conclusione ottenuta.

Nel ragionamento deduttivo la premessa è sempre qualcosa di categorico, di astratto, di prestabilito – una specie di verità assodata da cui si parte (tutti i cani hanno quattro zampe, una coda e abbaiano). In quello induttivo invece la premessa è data dall’osservazione di dati singoli, che non erano mai stati raccolti prima, e che sono quindi in grado di portare a una nuova “verità assodata” di tipo generale. L’esempio più classico è quello del procedimento scientifico, dove un esperimento ripetuto a sufficienza permette di stabilire una nuova legge della Natura. Ad esempio, i ripetuti lanci di sfere di vario peso, effettuati da Galileo dalla Torre di Pisa, permisero di stabilire (anche se con approssimazione) le proprietà di accelerazione dei corpi nello spazio.

Oppure, per usare di nuovo l’esempio iniziale, l’equivalente induttivo sarebbe:

PREMESSA: Ho davanti un animale che ha quattro zampe e una coda, e abbaia.
INFERENZA: Avevo già incontrato numerosi animali che presentano tutti le stesse caratteristiche.
CONCLUSIONE: A questo punto posso stabilire con relativa certezza che esista una categoria di animali con quelle precise caratteristiche, che io chiamerò “cani”.

In altre parole, il ragionamento deduttivo parte da un’affermazione generale, di tipo teorico, che si dà per scontata (tutti i cani hanno ecc. ecc.), e giunge ad una conclusione specifica, di tipo pratico, (questo animale è un cane). L’induttivo invece parte da un’affermazione specifica, di tipo pratico (ho davanti un animale con quattro zampe ecc…), e giunge ad una conclusione generale, di tipo teorico (esiste quindi una categoria che chiamerò “cani”). Dal generale al particolare, dal particolare al generale. Dall’astratto al concreto, dal concreto all’astratto.

Ciascuno dei due metodi offre precisi VANTAGGI E SVANTAGGI

Il metodo deduttivo offre il vantaggio di garantire la validità della conclusione, purchè la premessa sia valida: se è vero che “tutti i cani hanno quattro zampe ecc…”, questo che ho davanti è SICURAMENTE un cane. Ha però lo svantaggio di produrre una conclusione “più piccola” della premessa stessa: si parte dalla categoria “cani”, si arriva a “questo” cane specifico.  (In altre parole, la conclusione è garantita perchè è già contenuta dalla premessa).

Il ragionamento induttivo invece non può garantire la validità della conclusione (se un domani saltasse fuori un animale che ha quattro zampe e una coda e abbaia, ma si arrampica anche sugli alberi come una scimmia, la mia nuova categoria “cani” va a farsi benedire), ma mi permette di arrivare a conclusioni “più ampie” della premessa iniziale (sono partito osservando un singolo animale, ho concluso con una nuova categoria che prima non avevo).

DUE VOLTI DELLA STESSA MEDAGLIA?

In realtà, appare ovvio che qualunque affermazione categorica che noi usiamo come premessa per un ragionamento deduttivo, debba inizialmente essersi formulata come conclusione di un percorso induttivo. Ovvero, prima che l’uomo potesse stabilire che “i cani hanno quattro zampe, una coda, e abbaiano”, ha dovuto osservarne abbastanza da poterlo dire con relativa certezza.

Ma allora, cosa è nato prima? L’osservazione, o l’affermazione?

Ovvero, tutte le “Verità” che l’uomo oggi considera tali, sono nate da un’osservazione iniziale del mondo esteriore, tramite i cinque sensi, o vi è per caso anche una innata forma di conoscenza interiore – il famoso “sesto” senso – che non necessita di verifiche di nessun tipo per affermarsi come tale?

Sappiamo di scoprire, o scopriamo di sapere?

II PARTE – LE FALLACIE PIU COMUNI

Una fallacia logica equivale in tutto e per tutto a quello che è un fallo in una partita di calcio. Mente però in inglese fallacy è un termine usato comunemente, a noi la parola fallacia suona un pò strana. Il Garzanti comunque la riporta, con queste definizioni: Apparenza ingannevole, falsità, slealtà, malafede, sbaglio, errore, sofisma, vizio di ragionamento.

A noi interessa soprattutto l’ultima definizione. Vizio di ragionamento, aggiungiamo, strettamente tecnico, secondo quelle che sono le regole della cosiddetta Logica Formale. Un pò come dire “mani in area è rigore”. Sta all’arbitro, di volta in volta, giudicare se il giocatore abbia toccato il pallone con le mani, ma la regola è quella e non cambia per nessuno.

Il vantaggio di saper riconoscere le varie fallacie permette spesso di non farsi fuorviare dai ragionamenti altrui – anche se spesso in perfetta buona fede – e di evitare in genere inutili perdite di tempo ad ambedue i contendenti.

Le fallacie più comuni, molte delle quali portano ancora il nome latino, sono le seguenti:

Argomento ad hominem. Quando si attacca la persona e non l’idea di cui è portatore.

“L’ha detto Giulio? Ma quello è un cretino!” Sarà anche cretino, ma è la sua idea che va confutata, indipendentemente dalla persona.

Questo può valere anche per la “fonte” in senso lato: “Ho letto su un sito internet che l’11 Settembre non fu affatto portato a termine da 19 arabi…” “Ma và là, lascia perdere. In Internet girano tante di quelle stronzate!”

Ne girano a quintali, se è solo per quello, ma sono le idee specifiche che vanno confutate, non il luogo (comune) da cui provengono.

Argomento ad ignorantiam. Un cosa è vera (o falsa) solo perchè non è mai stato dimostrato il contrario.

Atlantide è esistita: dimostrami che non è vero.
Dio non esiste: dimostrami che c’è.

Falso dilemma. Un esempio classico è quello dell’interminabile dibattito fra creazionismo ed evoluzionismo, dove la fallacia viene curiosamente adottata da ambo le parti senza ormai più nessun ritegno.

Da una parte si dice: “L’evoluzionismo non dà conto del passaggio dalla scimmia all’uomo (anello mancante), quindi ha ragione il creazionismo”. Dall’altra si risponde: “Siccome il mondo non può avere seimila anni, come vorrebbe la Bibbia,  è l’evoluzionismo la teoria giusta”.

Questa fallacia presuppone che non vi siano alternative alle due tesi concorrenti, quando in realtà non è possibile affermarlo. Ben diverso sarebbe sostenere che un uomo “è morto, poichè non è più vivo”, o viceversa, quando le alternative siano effettivamente solo due.

La fallacia del falso dilemma è molto più diffusa di quello che si creda, perchè si nasconde spesso in proposizioni che a prima vista suonano perfettamente coerenti. Consideriamo le risposte a queste due affermazioni:

A – Credo che il capitalismo abbia assunto nella nostra società una forma disumana”
R – “E allora cosa dovremmo dire dei morti fatti dal comunismo?”

A – “La democrazia moderna ha fallito il suo compito”
R – “Ma sì, torniamo pure alle dittature che torturano la povera gente”

Ambedue le risposte presuppongono che vi siano solo due alternative al problema, il che in ciascun caso non è assolutamente vero.


La domanda “pesante”. Si pone quando viene implicata una premessa che non è necessariamente vera.

Hèi, come stai? Hai smesso finalmente di picchiare tua moglie? (Dove sta scritto che io abbia mai iniziato, scusa?)

Petitio principi: quando si inserisce la conclusione nella premessa, in modo da poterla dimostrare con maggiore facilità. (Equivale al cosiddetto “giro vizioso”).

 “La Bibbia è parola divina.”  “Come fai a dirlo?”  “Lo dice la Bibbia stessa!” (Episodio vero, capitatomi con un Testimone di Geova).

Ma vi sono anche forme molto più subdole, e meno facili da individuare: “Non è possibile che Kennedy sia stato ucciso da una cospirazione, poichè ci sono quintali di prove che dimostrano che Oswald agì da solo”.

Si dimentica in questo caso che tali prove sono state raccolte, gestite e fornite al pubblico dalle stesse autorità che, nel caso del complotto, avrebbero avuto tutto l’interesse a falsificarle.

Uomo di paglia. Avviene quando si attacca un’argomentazione che l’avversario ha fatto in separata sede, e che risulta particolarmente facile da confutare, nell’intento si sminuire la validita della sua argomentazione corrente.

Io e te siamo discutendo di coltivazione delle banane. Ad un certo punto tu mi dici: “Tu hai scritto l’anno scorso che i mandarini non crescono bene in Sicilia, mentre questo non è vero”, sottintendendo che la mia argomentazione sulle banane sia meno valida. (Si chiama “uomo di paglia” perchè è più facile da sconfiggere di un uomo in carne ed ossa).

Impone inoltre l’idea che se si sta davvero cercando di conoscere la verità conviene prendere in considerazione la tesi contraria più forte, e non la più debole.


Argomento ad autoritatem (diffusissimo di questi tempi): Chi sostiene una certa tesi è un luminare nel campo, quindi ha ragione.

Questo non è necessariamente vero, anche se per questo non dobbiamo rigettare per principio qualunque cosa esca dalla bocca di un esperto di settore. Un utile criterio discriminante può essere l’eventuale “interesse aggiuntivo” legato alla sua affermazione: se Einstein sostiene una certa caratteristica dell’Universo, non avendo apparentemente nulla di aggiuntivo da guadagnare (oltre al piacere di avere ragione), forse ci si può anche fidare. Ma se un noto architetto sostiene che le Torri Gemelle sono cadute per conto loro – essendo la cosa particolarmente controversa – non solo è igienico dubitarne, ma si può in certi casi addirittura sospettare che il luminare sia stato interpellato proprio per supportare una bugia (in cambio di una lauta ricompensa, ovviamente). Il caso dell’Universtità Purdue – per chi conosce bene la questione 11 Settembre – è particolarmente indicativo. E comunque in generale, il mondo è pieno di “esperti a gettone”, il cui  numero sembra aumentare proprio con il calo di attenzione critica con cui assorbiamo quotidianamente le informazioni dai media ufficiali.

Fallacia del piano inclinato (o piano scivoloso), dove si prospettano conseguenze catastrofiche ad un certa tesi, nell’intento di invalidarla.

All’ipotetica proposta: “Se gli immigrati illegali avessero la patente potrebbero lavorare molto di più”, qualcuno potrebbe replicare: “Già bravo, cominciamo col dargli la patente e va a finire che fra qualche anno ce li ritroviamo al governo”.

A parte che non è affatto garantito che ciò accadrebbe, la tesi non può comunque restare invalidata da qualcosa che le è esterno. Ovvero, qualunque cosa possa succedere per aver dato la patente agli immigrati, non cambia il fatto che questi sarebbero più produttivi se l’avessero.

Fallacia di composizione: avviene quando si attribuisce al tutto la qualità di una parte.

Gli appartamenti di quell’edificio sono molto piccoli. Quell’edificio ha tanti appartamenti. Quell’edificio è piccolo.

Il suo opposto è la

Fallacia di sottrazione, che avviene quando invece si attribuisce alla parte una qualità del tutto.

Gli aborigeni si stanno estinguendo. Arrawang è un aborigeno. Arrawang si sta estinguendo.

Negazione dell’antecedente, quando si fa risalire un evento ad una causa non necessariamente correlata.

Mio cugino ha urlato. Subito dopo è crollato il Muro di Berlino. Mio cugino ha fatto crollare il Muro di Berlino.

Il suo contrario è la

Affermazione del conseguente. Fallacia che avviene quando si presume un effetto da una  causa non necessariamente correlata.

Quando l’Inter vinse il campionato pioveva. Oggi piove. Oggi l’Inter vince il campionato. (Magari)

Queste sono le fallacie più diffuse, che è utile conoscere per districarsi in eventuali situazioni di stallo durante una discussione. Ve n’è poi almeno un’altra dozzina, che sono però molto meno insidiose, e molto più facili da individuare. Per il nostro scopo quelle presentate dovrebbero essere più che sufficienti.

Massimo Mazzucco

Stile di vita liquido

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[pullquote]……”Dobbiamo abituarci all’idea di un mondo impostato su un modello di economico di stampo americano, dove il precariato è la norma. Dobbiamo abituarci a vite con meno certezze immediate, fatte da persone che si spostano continuamente e dobbiamo incentivare i loro movimenti”…….[/pullquote]

Il governo italiano vuole avvicinarsi alla Germania. A spiegarlo è la Ministra del Lavoro e delle Politiche Sociali italiano Stefania Giannini che, in occasione di un accordo siglato con il governo tedesco, rende note le posizioni sue e quelle del suo schieramento in merito agli obiettivi economici e sociali che l’Italia deve raggiungere. Il Paese, dice, deve allontanarsi dall’impronta classica che ha permeato per secoli la società e il sistema d’istruzione, per avvicinarsi al modello tedesco: più pragmatico, precario e orientato al lavoro”.

L’accordo in questione, firmato insieme dalla Ministra tedesca dell’istruzione Johanna Wanka e siglato presso il Centro Italo-Tedesco per l’eccellenza europea di Villa Vigoni , introduce la cooperazione tra Italia e Germania nell’ambito della formazione professionale. Esso rappresenta la chiara volontà da parte italiana di rendere il proprio mercato e la vita dei propri cittadini più simile al modello tedesco: che già da oltre un decennio ha messo in atto una serie di riforme economiche e di privatizzazioni che hanno mutato radicalmente le abitudini sociali e lavorative dei tedeschi.

Tali cambiamenti, ha spiegato la Ministra Giannini, stanno per arrivare anche in Italia. “Questo accordo è una altro passo in avanti di un percorso, iniziato con il Jobs Act e con la Buona Scuola, attraverso cui l’Italia sta attuando le riforme sul mercato del lavoro che la Germania ha attuato oltre 10 anni fa con il governo Schroeder. Ci stiamo rimettendo al passo coi tempi e stiamo eliminando i nostri punti deboli”.

I punti deboli, secondo la Ministra, sono innanzitutto le radici troppo classiche del sistema di formazione italiano. “Sapere non significa sapere fare. Le nostre riforme puntano a un potenziamento degli aspetti pratici dell’istruzione e una maggiore connessione tra dimensione accademica e professionale. Il mercato globale ci chiede di stare al passo coi tempi e la Germania è, in questo senso, un modello su come si può essere vincenti. La crisi scoppiata nel 2008 non ha colpito i tedeschi quanto gli italiani perché loro potevano vantare di un ossatura più robusta del sistema lavoro, ottenuta grazie alle riforme”.

L’ossatura dell’economia italiana è invece sempre stata formata dalle piccole e medie imprese. Le stesse che a migliaia sono fallite o hanno dovuto chiedure negli ultimi anni. Fenomeno, questo, che interessa anche la Germania. Come spiega la Ministra Wanka: “Siamo riusciti a mantenere bassi livelli di disoccupazione nonostante la chiusura della maggior parte delle imprese a gestione famigliare, che non sono state in grado di sostenere i ritmi che il mercato globale impone. Abbiamo realizzato un mercato più flessibile, reimpiegando i lavoratori un nuovi ambiti”.

“Flessibilità significa precariato, che non è sinonimo di malessere” continua la Giannini. “Dobbiamo abituarci all’idea di un mondo impostato su un modello di economico di stampo americano, dove il precariato è la norma. Dobbiamo abituarci a vite con meno certezze immediate, fatte da persone che si spostano continuamente e dobbiamo incentivare i loro movimenti”. Un concetto, questo, che la Ministra riprende da Filippo Taddei, responsabile economico del Pd, che intervistato dall’Espresso ha spiegato come il modello sociale a cui si debba tendere sia quello statunitense, nel quale “bisognerebbe tassare tutto ciò che è immobile e detassare tutto ciò che è dinamico”.

Come spiegato dalla Ministra Wanke, però, tale modello non è esente da problemi. “Il nostro successo economico non si è tradotto in una alta produttività di figli. In 10 anni la Germania ha perso il 22 per cento della propria popolazione. In questi termini l’arrivo dei migranti ha una funzione economica specifica. Cioè quella di occupare quella fascia lavorativa lasciata vuota dalla crisi demografica e che una volta era occupata dalle imprese a direzione famigliare”.

[chiedetevi perchè un alta produttività del lavoro non ha “agevolato” le famiglie]

I migranti hanno dunque una funzione sostitutiva rispetto all’ormai estinto modello economico fondato sulla famiglia. Anche in Italia dovrà essere così. “La famiglia come l’abbiamo conosciuta esisterà sempre meno” spiega la Ministra Giannini. “le persone, in primis i genitori, si devono poter spostare individualmente e per questo il nucleo famigliare non avrà più la funzione di stabilità sociale che ha avuto per la mia generazione”.

Le vite degli italiani, le nostre vite, stanno andando incontro a enormi cambiamenti, figli della globalizzazione e delle riforme messe in atto per starle al passo. Vite più precarie lavorativamente e affettivamente, in cui il successo economico di un Paese, come nel caso tedesco, non si traduca in aumento della natalità o della stabilità individuale e sociale. Sarà sempre più difficile creare una propria famiglia stabile e prendersi cura dei propri figli.

Resta ancora il dubbio sul ruolo che le donne possano assolvere all’interno di questo nuovo mercato sociale. Come riconosce la Ministra Giannini “se per noi donne da un lato si manifestano possibilità che un tempo ci erano precluse, dall’altro andiamo incontro a una sfida molto più profonda rispetto agli uomini. L’assenza di certezze nel breve e medio termine rende le giovani donne, che di certezze ne hanno bisogno maggiormente per ovvi motivi biologici, la grande sfida del futuro”. Una sfida che necessita necessariamente di una risposta.

https://www.youtube.com/watch?time_continue=1&v=zbhTNRqbz9I

Scuola: lo scontro di faglia passa tra i banchi (la ministra demolitrice e il concorso per prof-dattilografi)

Il liberismo che surroga religione e legge naturale nelle menti bovine che lo subiscono

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http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/17/liberismo-e-dogma-dal-mito-alla-realta-prima-parte/2472703/

Nell’epoca della “morte di Dio”, sono sorte, come funghi, Innumerevoli “pseudo-religioni”. Tra queste ve n’è una che spicca per importanza: non ci riferiamo, ovviamente, a uno numerosi sincretismi che sono venuti alla luce nella modernità, come la teosofia o la “new age”, ma a qualcosa di assai più pervasivo e, al tempo stesso, dogmatico, ovvero al cosiddetto “liberismo”.

Ci duole constatare che ancora ai nostri tempi, vi sia qualcuno che ritiene il liberismo sia una teoria economica o socio-politica; purtroppo per loro non è così: esso rientra bensì nei canoni che definiscono le religioni. Già Walter Benjamin lo descrisse in questo senso, in un breve saggio dal titolo : “Il capitalismo come religione”, del quale riportiamo un breve passo:

“Nel capitalismo si deve vedere una religione, vale a dire che il capitalismo serve essenzialmente all’appagamento di quelle preoccupazioni, di quelle pene e inquietudini a cui un tempo davano risposta le cosiddette religioni […] Il capitalismo è una religione cultuale, forse la più estrema che sia mai esistita. In esso tutto ha significato solo in immediata relazione al culto […], questo culto è generatore di colpa, indebitante. Il capitalismo con ogni probabilità è il primo culto che non redime il peccato, ma genera colpa”. Anche se Benjamin parla di “capitalismo”, e non direttamente di liberismo, i due concetti sono, in gran parte, sovrapponibili, visto che il pensiero liberale (che è, peraltro, un esempio lampante di “non-pensiero”) è coetaneo del capitalismo moderno e ne è stato la giustificazione teorica, la specifica teologia.

…d’altronde nessuna volpe è mai stata entusiasta se il contadino recinta il pollaio, perché, anche le volpi preferirebbero che le galline, per il loro bene, potessero scorazzare in libertà…

In questo senso il mito fondante del liberismo è quello del “libero mercato”, come il luogo della giustizia “nel senso che il prezzo di vendita sul mercato era visto, sia in teoria che in pratica come il giusto prezzo. Il mercato era un luogo di giustizia […] ma, siccome i prezzi sono determinati secondo meccanismi naturali, esso costituisce un criterio di verità […]. Pertanto il mercato definisce che il buon governo debba funzionare secondo la verità” (ovvero secondo il mercato).

Questo mito viene propalato da numerose “mani invisibili” affinché diventi dogma, e le masse possano essere convinte che sia proprio vantaggio il difendere gli interessi delle èlites. E infatti, le masse, fanno propria la fandonia del “libero mercato” convinti che sia nel loro interesse. Naturalmente, non è mai esistito e non può esistere un siffatto “libero mercato”, ma le èlites che lo controllano vogliono essere libere di manipolarlo come più loro aggrada. A tal fine, sono state piuttosto abili a convincere le masse di cui sopra che il “libero mercato” sia un fenomeno “naturale” e che, per questo, sia un pericolo che alcune entità giuridiche, nella fattispecie quella che è chiamata “Stato”, possano limitare questa libertà. D’altronde nessuna volpe è mai stata entusiasta se il contadino recinta il pollaio, perché, anche le volpi preferirebbero che le galline, per il loro bene, potessero scorazzare in libertà.

Questo è il senso più proprio della locuzione “libero mercato”. Scrisse il Marchese D’Argenson: “Si narra che Colbert organizzò una riunione con dei mercanti, affinché questi gli dicessero cosa lui potesse fare per favorire il commercio. Il più intraprendente tra questi, pronunciò una semplice frase: laissez nous faire”. Da allora, la locuzione laissez faire è divenuta il mantra di questo nuovo culto che, nel corso della storia ha trovato un numero talmente cospicuo adepti e seguaci da diventare una sorta di religione di stato dell’intero mondo occidentale.

Secondo questo dogma, la virtù di uno stato è quella di intervenire il meno possibile a tutela dei propri cittadini e, possibilmente, di non provveder ad alcun servizio per alleviare la “durezza del vivere” (lo “Stato minimo” di Nozick). Lo Stato dovrebbe solo creare un “ordine” atto a creare un ambiente propizio per i predatori più forti. Così vuole il deus absconditus di Calvino, di von Hayek e degli Ordoliberali (che adoperarono il termine “ordo” nell’accezione della Scolastica, secondo la quale esso significava l’ordine divino così come stabilito dalla dispositio provvidenziale).

Per quanto i cosiddetti “paesi avanzati” (ovvero: “non completamente ingeriti”) stiano procedendo a grandi passi su questa strada virtuosa, sono in questo senso assai più arretrati di alcuni altri. Per vedere qualcosa che si avvicini alla perfezione del liberismo archetipico, suggeriamo di spostarsi in Africa; e non nella giungla che esemplificammo nel post precedente ma nelle metropoli, nelle quali si può meglio assaporare la rude bellezza dello “stato minimo”, auspicato dai poveri di spirito “di ogni forma e d’ogni età”

Certo, da questo punto di vista, non tutti i luoghi sono uguali. Non sempre la legge del più forte si manifesta nel proprio pieno splendore. Vi sono luoghi come Mogadiscio nei quali lo Stato è talmente minimo che farebbe la gioia dei Milton Friedman de noantri (anche se dubitiamo che, da quelle parti, riuscirebbero a sopravvivere più che una manciata di minuti); altri nei quali il liberismo è un po’ meno virile come, ad esempio Nairobi. Tuttavia, anche qui non mancano soddisfazioni, per l’intenditore.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/23/liberismo-e-dogma-dal-mito-alla-realta-parte-ii/2486632/

Una delle prime cose che si notano a Nairobi, sono le cosiddette “misure di sicurezza”: per entrare in qualsiasi luogo, dal ristorante al centro commerciale, alle case private, si devono varcare cancelli sorvegliati da guardie. Sono le famose gated communities. Ognuno dei luoghi di cui sopra è circondato da muraglie e/o recinzioni ed è dotato di guardie ai cancelli (e non solo). Alcune di queste recinzioni sono dotate di accessori piuttosto elaborati, come reticolati elettrificati sulla sommità dei muri perimetrali, altre, di ornamenti più artigianali, come cocci di vetro murati nella stessa posizione. Per entrare in qualsiasi luogo, frequentato o abitato dalla upper middle class, è necessario sottoporsi a controlli, da parte degli askàri al cancello. A volte, questi controlli sono alquanto tediosi (specie se si è costretti a sottoporvisi diverse volte in una giornata), come, ad esempio, il dover vergare il proprio nome e il numero di targa della propria vettura su un apposito registro.

Nessuno che faccia parte della categoria socio-economica suddetta (o che gestisca i luoghi da essa frequentati) si sognerebbe mai di fare a meno di questa sorveglianza. Già, perché una delle leggi economiche meno apprezzate dei “liberisti de noantri” vuole che, “dove lo Stato è minimo, la criminalità tende sempre verso il massimo”D’altra parte, quando circa un milione e mezzo di persone vive negli slums (Kibera, Mathare, Korogocho, per citare solo i più noti ) è facile che vi sia un consistete numero di poveri che cerchi la “giustizia distributiva” con altri mezzi (siano essi con armi da fuoco, da taglio o con scasso).

Così si è costretti a spostarsi in automobile da un “gate” all’altro anche solo per comprare un litro di latte. Non che sia impossibile spostarsi a piedi, tuttavia, date le distanze, il traffico che rende difficile qualsiasi attraversamento stradale (ma di questo parleremo in seguito) e lo stato miserando dei marciapiedi, questa è un’opzione che si adotta di rado, ed esclusivamente durante il giorno (e solo in alcune aree).  Se, invece, volete fare due passi dopo l’imbrunire, allettati dal clima mite, in quel caso vale lo stesso avvertimento che ci diedero gli askàri nel post sul leone e la gazzella: “dopo il tramonto escono gli animali pericolosi”. Purtroppo, nel caso della giungla metropolitana, la passeggiata serale è molto più rischiosa perché, coloro che sono troppo poveri per soddisfare anche le più elementari esigenze, tendono a considerare la vostra persona sub specie di ostacolo tra loro e il vostro portafoglio. Non per niente i fisiocratici, antesignani dei “liberisti de noantri”, assimilarono le leggi economiche a quelle di natura. E il “darwinismo sociale” (Herbert Spencer) precedette quello biologico.

Di giorno, viceversa, anche se il pericolo è incomparabilmente minore, la fluidità del passo dell’intrepido camminatore, è alquanto ostacolata dalla massiccia presenza di questuanti, anche se, da quel punto di vista, i paesi europei si stanno rapidamente mettendo al passo (il più grande successo dell’Euro). Tuttavia, quello che qui colpisce è la grande quantità di fanciulli in età scolare o, addirittura, pre-scolare che si dedicano, a “tempo pieno”, all’attività di accattonaggio. Sono i famosi “bambini di strada” (street kids) che abbondano in ogni “Stato minimo”: ovvero esserini che sono stati abbandonati dai genitori quando erano molto piccoli e, data la mancanza servizi sociali all’uopo (cosa molto apprezzata dai liberisti), essi sono costretti a vivere per strada, potendo solo esercitare questa attività per sbarcare (malamente) il lunario.

Un’altra differenza, rispetto all’accattonaggio del vecchio continente, è la creatività delle tecniche adottate (la necessità è la madre delle invenzioni). Qui non vi sono suonatori di vario genere, acrobati o giocolieri di strada, il massimo dell’ingegno mendicante europeo. Questi fanciulli di strada adottano pratiche assai più originali come, ad esempio, avvicinare i passanti impugnando una manciata di escrementi e minacciando di farli oggetto del lancio dei medesimi, qualora questi non devolvano loro la giusta mercede. Il “darwinismo sociale”, a volte, può prendere pieghe inaspettate

Certo che la presenza di una grande massa di derelitti, è foriera di numerosi vantaggi per il liberista che si rispetti come, ad esempio, l’abbondanza di personale a buon mercato per ogni tipo di “mansioni servili” che hanno il pregio (liberisticamente parlando) di non contribuire all’arricchimento del paese e, quindi, ad un benessere diffuso, perché, come diceva Adam Smith “Il lavoro di un servitore domestico, viceversa, non aggiunge valore a nulla”. E così si evita il rischio che i miserabili possano affrancarsi dalla loro condizione di indigenza.

Una fantesca a tempo pieno, ad esempio, non costa più del corrispettivo di un centinaio di euri al mese, così un giardiniere; poco di più un autista. E questo è un bel comfort per quella upper middle class vessata da una vita di cattività in nome della sicurezza. Ma questo non sarebbe possibile senza un’altra caratteristica dello “Stato minimo”, che è quella di avere sempre un consistente “esercito industriale di riserva”

D’altra parte, sin dai tempi di Mandeville (La favola delle api), i liberisti sanno che: L’unica cosa che possa rendere assiduo l’uomo che lavora è un salario moderato. Un salario troppo cospicuo lo rende insolente e pigro. […] Per rendere felice la società e per render il popolo contento anche in condizioni povere, è necessario che la grande maggioranza rimanga sia ignorante che povera”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03/03/liberismo-e-dogma-dalla-teoria-alla-pratica-parte-terza/2510065/

Se la upper middle class risiede nella cattività delle gated communities, la più parte dell’”esercito industriale di riserva”, descritto al post precedente, vive nella libertà degli slums (o “baraccopoli”, che dir si voglia). Questi hanno un grande pregio, sono molto discreti: è assai difficile che giungano allo sguardo del turista, dell’uomo d’affari straniero di passaggio o del viandante distratto. Tuttavia esistono – segregata vergogna di ogni Stato minimo – e sono quanto di più simile all’inferno si possa trovare su questa terra.

E’ difficile, arrivare a concepire in che modo centinaia di migliaia di persone possano vivere in aree alquanto limitate, prive di qualsivoglia servizio, stipate di catapecchie fatte di plastica, lamiera e cartone (con qualche piccola isola in muratura, qua e là), tra le quali si diramano polverosi viottoli in terra battuta (che, diventano fangosi ruscelli alla prima pioggia), nauseabondi rigagnoli che prendono il posto degli assenti impianti fognari e la ossessiva presenza di rifiuti in ogni spazio. Questi luoghi pullulano di un’umanità derelitta, ivi naufragata dopo essere stata attirata dalle campagne alla metropoli, dall’illusione di un Eldorado inesistente. Quest’umanità “superflua” (dal punto di vista economico) costituisce l’inesauribile “esercito di riserva” di cui sopra, che è indispensabile per la “deflazione salariale”, non solo delle attività servili (detto in senso descrittivo, senza dispregio alcuno), ma anche di qualsivoglia attività produttiva.

Naturalmente, dalla descrizione precedente, si può facilmente evincere che le condizioni igienico-sanitarie siano spaventose: come abbiamo già detto, gli impianti fognari sono assenti, manca l’acqua potabile, l’aria è pregna del soffocante fumo di rifiuti che bruciano o di quello nauseabondo di materia organica in putrefazione. Le le persone vivono stipate come tacchini negli allevamenti industriali, senza che, però, qui vi siano i controlli sanitari ai quali questi sono sottoposti. Ma, contrariamente ai poveri, i tacchini producono profitto…

Ovviamente la criminalità è elevatissima (e, in questo caso non si può neppure parlare di “giustizia distributiva con altri mezzi”), di conseguenza, questi territori sono teatro di soprusi di ogni genere. Prosperano le gang di piccoli malfattori e le mafiette vernacolari di ogni genere, che taglieggiano i più deboli, cercando di estrarre loro le scarse gocce di valore di scambio di cui dispongono. I terreni e le catapecchie sono, in genere, di proprietà di alcuni “landlords” (proprietari/locatori) che vessano questa povera umanità con affitti esosi (per le scarse capacità contributive di quei poveretti) e che, come si può facilmente intendere, non si rivolgono all’avvocato, in caso di morosità, ma a tipi assai meno raccomandabili che non esitano a sbattere in mezzo alla strada (se va bene) i malcapitati “inquilini” che non sono in regola coi pagamenti.

Negli slums, chiaramente, non mancano tutti i simpatici “effetti collaterali” che si accompagnano alla povertà diffusa: prostituzione, alcolismo, droga. Ogni liberista che si rispetti non può che ammirare queste compiute realizzazioni dello Stato minimo (quando lo Stato è povero è, giocoforza, minimo): bambini glue-sniffer, donne che frugano nei rifiuti, prostitute minorenni sieropositive che si vendono a pochi scellini. E’ il mercato, bellezza! The Market unleashed. La scomparsa del “diaframma di protezione che attenua la durezza del vivere”, auspicata dal defunto bamboccione che rampollo, modestamente, lo nacque; il quale si trovava perfettamente in sintonia con Jeremy Bentham, che ammoniva: “sarà comunque bene guardarsi dalle interferenze della legge, nell’assistenza ai poveri, perché la legge che offre assistenza alla povertà […] è una legge contro l’industria. La spinta al lavoro e all’economia è la pressione del presente e la paura per il futuro; la legge che cancella questa pressione e questa paura, incoraggia all’ inerzia e alla dissipazione”.

In questo mercato perfetto si manifesta compiutamente il “darwinismo sociale” che, a questi livelli di perfezione, coincide col darwinismo naturale (l’oikonomia come manifestazione della provvidenza del Deus absconditus di Calvino) e, in questo contesto, agiscono egregiamente alcuni esserini che, pur essendo minuscoli, sono predatori assai efficienti (anche meglio dei liberisti della savana) e prosperano in maniera eccelsa in questa bolgia terrena. Sono i microorganismi patogeni: vibrioni, salmonelle, treponema pallidum, mycobacterium tuberculosis, papilloma virus, HIV, i vari virus dell’epatite, per menzionarne solo alcuni, senza dimenticare l’onnipresente plasmodium falciparum (agente eziologico della più grave forma di Malaria).

L’assenza di igiene e la promiscuità sono quello Stato minimo che promuove il laissez faire di questi piccoli ma efficienti attori del mercato, che non si nutrono della «materia di cui sono fatti i sogni», ma della materia di cui siamo fatti noi, ovvero di quegli sfortunati, tra noi, che vivono in un mercato perfetto, senza il famoso “diaframma di protezione”. D’altra parte, per i germi, l’assenza dell’interferenza dello Stato (sotto forma di servizi igienico-sanitari) nei confronti del loro libero mercato, è una manna dal cielo.

Per gli esseri umani un po’ meno, perché, parafrasando Adam Smith: “Non è dalla benevolenza del vibrione, del treponema o del micobatterio che noi ci possiamo aspettare la nostra sopravvivenza, nè, tantomeno dal loro riguardo per propri interessi. E’ inutile quindi rivolgersi sia alla loro umanità che al loro egoismo, o parlare ad essi delle nostre necessità, perché queste non coincidono coi loro vantaggi”.

PIER PAOLO DAL MONTE

Crisis actor – Drammatizzare gli eventi

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“Noi drammatizziamo eventi per necessità di sicurezza emergenti nel Regno Unito, Medio Oriente e nel mondo.  I nostri attori specialisti in  giochi di ruolo, molti con  autorizzazione all’accesso di informazioni segrete (security clearance), sono addestrati da  psicologi comportamentali ed esercitati in prove teatrali (rehearsal)  ad atteggiamenti di vittime o criminali, per aiutare la polizia, l’esercito e i servizi di sicurezza (…) media e le forze armate a simulare ambienti di catastrofe per procedure salva-vita”.

A Bruxelles e Parigi, all’opera il Grande Illusionista

L’incubo no cash e il teorema di Pangloss

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Delle tante pessime idee escogitate dalla civiltà occidentale per autodistruggersi l’abolizione del denaro contante è forse la più folle e pericolosa. I pretesti variano secondo l’inclinazione del gregge: in Italia si dice per fermare l’evasione e all’estero – nientemeno – per sconfiggere il terrorismo e le mafie.

Ovviamente in un’ipotetica società cashless gli evasori e i criminali continuerebbero a frodare il fisco e a muovere miliardi truccando bilanci, creando società di comodo e corrompendo funzionari e politici, esattamente come fanno oggi. E i ladri troverebbero altri modi per rubare, esattamente come ne hanno già trovati. Le cose cambierebbero invece per tutti gli altri, quelli che non avendo conti in Lussemburgo e/o inclinazione al crimine non potranno più proteggere la propria ricchezza dalle crisi finanziarie e dall’arbitrio dei governi

…continua su > http://www.ilpedante.org/post/lincubo-no-cash-e-il-teorema-di-pangloss/

Il reddito della gleba

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Qual è il gioco?
Ma è semplice! Barattare il diritto a un lavoro con il diritto a un reddito. Lo chiamano reddito di cittadinanza, ma qui lo chiameremo reddito della gleba. Risparmieremo caratteri, e aderiremo meglio all’essenza del ragionamento. Così come la servitù della gleba legava il colono a un fondo, il reddito della gleba serve a legare i nuovi coloni al precariato. Ma se mi avete seguito fin qui (e soprattutto se avete seguito Quarantotto) non avrete certo bisogno che ve lo spieghi, lo scopo del gioco: in un mondo dove la totale libertà garantita al capitale determina uno schiacciamento dei redditi da lavoro e quindi un aumento della disuguaglianza e una traslazione della classe media verso il basso… <<<leggi>>>

http://goofynomics.blogspot.it/2015/06/il-reddito-della-gleba.html

I piddini e la famiglia: riflessioni su educazione e istruzione

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In un sistema espressamente concepito dalle élite europee per spossessare i cittadini del controllo sui processi politici, un governante che si fa bellamente ed esclusivamente i cazzi suoi, come il Berlu, forse, alla fine, è meno pericoloso di Gauleiter mandati per fare gli interessi di altri paesi… <<<leggi>>>

http://goofynomics.blogspot.it/2015/02/i-piddini-e-la-famiglia.html