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Le ONG umanitarie 3. George Soros e la crisi europea dei rifugiati

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Terzo post di tre, articolo tratto da LA STAMPA del 08/05/2017

Nel panorama frastagliato delle Ong umanitarie che abbiamo delineato nei post precedenti, già emergeva il ruolo centrale del controverso magnate, finanziere e ‘filantropo’ americano di origini ungheresi George Soros,  e della sterminata rete di Ong che fanno capo alla sua Open Society FoundationsOSF basata a New York, con le sue varie diramazioni che si estendono in 37 paesi.

Attiva dal 1983 come Soros Foundation in Ungheria e presto nell’Europa Centrale e Orientale per ‘aiutare a uscire dal comunismo e diffondere ideee anti-totalitarie e capitaliste’, diventa Open Society nel 1993 ma solo nel 2010 Open Society Foundationsche raggruppa tutte le fondazioni nel frattempo sparse nel mondo, enorme rete a sostegno dei Democratici in patria e di una globalizzazione economica e politica, liberista, ‘imperiale’ e anti-Russa  nel mondo –   ben oltre la “ Open Society and its Enemies”, il libro di Karl Popper del 1945  dal quale si è ispirato il suo nome.

Negli Usa la vasta rete dell’OSF funziona da supporto al partito Democratico e alla sua politica. Nel resto del mondo, con l’appoggio del Dipartimento di Stato e di organismi bipartisan come NED-National Endowment for Democracy e USAID (braccio pubblico della CIA) ha un ruolo centrale nel supportare la politica estera americana, fino al sostegno di ‘rivoluzioni colorate’ e regime change.   Clamoroso il caso dell’Ucraina.

La sua estensione in Europa, l’Open Society Policy Institute di cui abbiamo parlato nel post n.2, programmaticamente si propone di  “ influenzare e dare forma alle politiche dell’Unione Europeaper assicurare che i valori della società aperta siano al cuore dell’azione dell’UE, sia all’interno che all’esterno dei suoi confini”. Aperta anche all’immigrazione, centrale negli obiettivi e nelle azioni dell’ OSF e delle sue Ong . Umanitarie, ma fino a un certo punto. Obiettivi umanitari, politici e economici si intrecciano.

SOROS, MIGRANTI E RIFUGIATI.

Tenendo anche conto dell’invecchiamento della popolazione in Occidente, specialmente in Europa, e della bassa natalità, aprire le porte agli immigrati è essenziale per il sistema economico-finanziario e per l’élite che lo governa di cui Soros è uno dei fulcri. Oltre ad essere un modo per alleggerire la pressione in regioni (il M. O., l’Eurasia) e continenti (l’Africa) dove sono in atto interventi e guerre che sono parte integrante della strategia geopolitica  americana e occidentale. Anche in funzione di contrasto dell’espansione della Cina e dei paesi BRICS. Vedremo come questi scopi di fondo si mescolino a interessi diretti delle corporations.

Lo scorso settembre (2016), nel pieno della crisi europea dei rifugiati, mentre Angela Merkel si pentiva pubblicamente di aver accolto l’anno prima un milione di profughi in Germania, sul Wall Street Journal  appariva un editoriale a firma George Soros in cui il finanziere   annunciava che avrebbe investito $500 milioni per incontrare i bisogni di immigrati e rifugiati, spiegando il perchè del suo gesto.  L’America era in piena campagna elettorale, e l’immigrazione era un tema cruciale nella campagna della destra nazionalista e anti-musulmana di Donald Trump.

“Confermando ancora una volta di essere il silente burattinaio dietro alla crisi europea dei rifugiati…” scriveva Zerohedge – forse esagerando – nel  raccontare  la novità non da poco.   E richiamava quanto emerso in proposito un mese prima dai DCLeaks,oggetto di un post precedente dello stesso ZH , molto pesante nell’insinuare la parte giocata dal finanziere nelle crisi degli immigrati.  

Soros e  la crisi europea.

La crisi dei rifugiati in Europa è la ‘nuova normalita’ e dovrebbe essere accettata in quanto tale;  

l’OSF ha avuto successo nell’influenzare la politicaglobale dell’immigrazione;  

la crisi europea dei rifugiati presenta‘nuove opportunità ‘per l’organizzazione” .  

Questi i tre punti chiave, segnalati da Zerohedge, nel memo di 9 pagine del 12 maggio (Migration Governance and Enforcement Portfolio Revew) scritto da due funzionari dell’OSF e trapelato dai DCleaks, i files piratati e resi pubblici da un gruppo americano (vedi post n.2), in piena campagna elettorale, una vasta parte dei quali sono i Soros Leaks.  

Nell’introduzione, gli autori del memo parlano dell’ efficacia degli approcci che hanno  adottato “per ottenere un cambiamento a livello internazionale”. E in una sezione intitolata Our work, il nostro lavoro, descrivono come abbiano lavorato ‘con leaders sul campo’, per “dar forma alla politica dell’immigrazione e influenzare i processi globali che si ripercuotono sul modo in cui l’immigrazione è governata e sostenuta”.  

“Ciò può essere interessante soprattutto per i tedeschi, alla maggioranza dei quali non piacciono le politiche della ‘porta aperta’ della Merkel, specie dopo i recenti attacchi terroristi in Germania”, commenta ZH, alludendo a un influsso diretto della OSF sulla politica della Cancelliera (che nel frattempo stava correggendo il tiro, premuta dalla sua opinione pubblica).  

“Dobbiamo sostenere personaggi sul campo che si attivino per cambiare politiche, regole e regolamenti che governano l’immigrazione” si legge nella sezione Our Goals, i nostri obiettivi. E più avanti “ Abbiamo sostenuto iniziative, organizzazioni e reti il cui lavoro si lega direttamente ai nostri scopi nei corridoi” .  

In un’altra sezione si cita l’IMI [ International Migration Institute che fa capo all’università di Oxford, UK] che inizialmente aveva identificato alcune organizzazioni capaci di impegnarsi sull’immigrazione a livello globale e internazionale…. E ha avuto un ruolo centrale nello stabilire e suggerire gli obiettivi di due nuovi fondi [del Programma Europeo per l’Integrazione e la Migrazione] sul Sistema Comune Europeo di Asilo (CEAS) e la detenzione degli immigrati.  

Ancora più importante, sottolinea ZH, è il fatto che il memo “spiega come la crisi europea dei rifugiati stia aprendo le porte per l’organizzazione di Soros per influenzare ulteriormente la politica globale dell’immigrazione.”

_ “La crisi dei rifugiati – si legge – sta aprendo nuove opportunità per ‘un coordinamento e una collaborazione’ con donatori abbienti”.  

_ “I governi devono giocare un ruolo di leader nell’affrontare la crisi creando un’infrastruttura fisica e sociale per migranti e rifugiati. Ma è necessario anche incanalare la forza del settore privato”.  

Nelle conclusioni,  si ribadisce la necessità di accettare l’attuale crisi europea come “nuova normalità’.  

…Guardando le risposte dei nostri partner, osserviamo che poca attenzione viene data a una pianificazione a lungo termine o ad approcci fondamentalmente nuovi al patrocinio”. Si mette poi l’accento sul bisogno di respingere la “crescente intolleranza nei confronti dei migranti”. Come?  

Per promuovere l’agenda Rifugiati l’organizzazione di Soros ha bisogno di alleati. 

Nel post n. 2 abbiamo visto come l’ Open Society European Policy Institute  abbia: Predisposto un memo intitolato “Alleati affidabili nel Parlamento Europeo  2014-2109″ in cui annota l’importanza di costruire ‘relazioni durature e degne di fiducia’ con europarlamentari ‘credibili nel sostenere il lavoro di Open Society’. Una sorta di mappatura degli europarlamentari attuali già convinti o propensi ad appoggiare i valori della Open Society (è il file centrale dei tre che vengono fuori, qui un nudo elenco dei 226 nomi). Ce n’è abbastanza per tornare all’editoriale del WSJ, e capirne meglio il senso. 

SOROS AL WSJ: perché investo $500 milioni sui migranti  (fatelo anche voi, è pure un business).

Soros richiamava la Call for action – la chiamata all’azione del presidente Obama, che aveva chiesto ai privati di giocare un ruolo più incisivo nel venire incontro ai problemi posti dall’immigrazione forzata. Decine di milioni di persone che   fuggono dai loro paesi in cerca di una vita migliore altrove, scappano da guerre o regimi oppressivi, o sono indotti da povertà estreme, premetteva il finanziere.  

“Come risposta ho deciso di destinare $500 milioni ad investimenti indirizzati ai bisogni di migranti, rifugiati e comunità ospiti.  Investirò in startups, società già esistenti, iniziative di impatto sociale e business fondati dagli stessi migranti e rifugiati. Sebbene la mia preoccupazione principale sia aiutare migranti e rifugiati che arrivano in Europa, cercherò buone idee che li aiutino in tutto il mondo”.  

Tra gli esempi Soros citava l’emergente tecnologia digitale, promettente nell’offrire soluzioni a problemi che si trovano ad affrontare i profughi, come riuscire a contattare i governi o i servizi legali, finanziari, sanitari. Società d’affari – scriveva – stanno già investendo miliardi di dollari per sviluppare tali servizi per comunità di non-migranti.    

Soros citava il denaro che si muove istantaneamente via smartphone, gli autisti che trovano clienti nello stesso modo,  e come un dottore in America può avere un paziente in Africa. “Estendere queste innovazioni ai migranti aiuterà a migliorare la qualità della vita a milioni nel mondo”, scriveva.

Eppure il finanziere-filantropo sentiva il bisogno di rassicurare sul fatto che “da lungo tempo campioni della società civile, assicuriamo che il nostro investimento conduca a prodotti e servizi che beneficino davvero i migranti e le comunità ospiti”  Non solo.

“Lavoreremo a stretto contatto con organismi come l’ufficio dell’Alto Commissario per i Rifugiati nell’ONU (UNHCR) e l’International Rescue Committee- Comitato Internazionale per il Soccorso per stabilire principi-guida ai nostri investimenti”.  

Benemerita OSF? In fondo non solo ‘salva’ i profughi ma li vuole aiutare a destreggiarsi. (Perché non aiutare invece i ‘poveri’ dei paesi europei? si chiede un post italiano di Orizzonte48. Osservazione pertinente che però ci porterebbe troppo lontano).  

Al di là delle belle parole, in quel che appare un appello ad altri investitori suoi pari affinché si uniscano alla sua missione, Soros sembra sottolineare molto chiaramente il ritorno economico della faccenda: migranti e rifugiati saranno e sono già oggi dei consumatori, utenti di servizi che i privati possono fornire, anche sostituendo servizi pubblici inadeguati o sicuramente meno efficienti, magari anche usufruendo di sovvenzioni statali/europee. L’immigrazione come business insomma, per chi sa coglierlo. Anche favorendo direttamente l’arrivo di migranti & profughi come sostiene ZH?  

TRAFFICI SOSPETTI CON LA LIBIA. Il dibattito ferve oggi sulle Ong che contribuiscono a salvare i profughi in arrivo in Italia dalla Libia, alimentato dalle destre pregiudizialmente anti-immigrati.  

GEFIRA, il sito che per primo ha monitorato tra ottobre e novembre 2016 il traffico di navi di alcune Ong che si spingono fin sotto le coste libiche ( ripreso da Zerohedge con aggiunte ), arrivando a indicare complicità con i trafficanti e con alcune capitanerie italiane; e  inducendo Frontex a preoccuparsi, già a dicembre 2016  segnalava il FT(qui e qui, qui già a dicembre 2015), citava alcune Ong ‘sospette’.

Tra queste Médicins Sans Frontères risulta effettivamente fra i partners dell’ Open Society Foundations, come segnalato nel nostro post n. 2. Mentre la maltese MOAS– Migrants Offshore Aid Station fondata dalla coppia Regina e Christopher Catrambone, che secondo ZH avrebbe donato $416.000 dollari alla campagna elettorale di Hillary Clinton, a sua volta avrebbe ricevuto $500.000 da AVAAZ, Ong legata a MoveOn.Org, organizzazione Democratica finanziata direttamente da Soros. I Catrambone hanno negato collusioni con trafficanti e ogni altra scorrettezza.

 

SERVIZI MINIMI MA UTILI AI PROFUGHI.

Privati e Ong intanto si stanno già dando da fare nel fornire quanto meno servizi minimi ai profughi, a quanto emerge da vari post di GEFIRA. Proponiamo la traduzione italiana fornita da associazioneeuropalibera. Abbiamo controllato i siti. E tuttavia, vien fuori che l’ “assistenza “di cui si parla non è una novità ma risale al 2015, anno della ‘crisi’ dalla Siria, via Turchia, dove venivano verosimilmante distribuiti i manuali multilingue ricchi di utili consigli di cui si parla. Del 16 settembre 2015 è del resto lo scoop di SkyNews a ‘scoperto’ i manuali. Che poi c’entri Soros è da dimostrare, SkyNews non ne parla. Se pure non riferite direttamente alla Libia,  appaiono notizie interessanti.

Il corrispondente di SkyNewsJonathan Samuels  e il suo team hanno scoperto un manuale cartaceo, stampato in arabo , sulla riva dell’isola di Lesbo, che fornisce ai migranti  informazioni dettagliate sui percorsi, numeri di telefono importanti, le organizzazioni non governative che aiutano i migranti e sui loro diritti in paesi di destinazione.  WatchTheMed (watchthemed.net e alarmphone.org) e  w2eu  (w2eu.info e w2eu.net) sono tra le organizzazioni elencate in questa guida approssimativa.

Il sito w2eu.info, in un post dal tiolo “informazione indipendente per rifugiati e migranti che arrivano in Europa”, ci racconta che intende sostenere gli sforzi dei migranti perché “la libertà di movimento è un diritto di tutti”. I suoi attivisti, che si trovano in differenti paesi UE, affermano che prestano il loro lavoro gratuitamente. Il sito fornisce informazioni su argomenti quali: i Contatti, una Panoramica, la Sicurezza in mare, il trattato Dublino III in materia di Asilo, Genere, Minori, Regolarizzazione, Detenzione,  Deportazione, Soggiorno, Famiglia, Assistenza medica, e Lavoro relativi a tutti i paesi dell’UE.

Per esempio, sotto il titolo di Sicurezza in mare, il migrante – al quale viene fornito un numero di emergenza satellitare  operativo h 24 – viene informato che può chiamare WatchTheMed, che a sua volta informerà dell’avaria o del naufragio la Guardia Costiera, coordinerà l’operazione di salvataggio delle imbarcazioni in pericolo; diffonderà tra i media la notizia ed eserciterà una pressione (morale) sulle autorità centrali o locali perché agiscano.

Sotto il titolo Genere i migranti vengono  ragguagliati  sui loro diritti; per esempio in Danimarca, dove, se dicono di essere perseguitati, discriminati, degradati o altrimenti trattati in modo disumano a causa del loro sesso o dell’orientamento sessuale, non saranno deportati. Alla voce Deportazione si indica al migrante come evitare di essere deportato o come rendere inefficace una tale decisione. Alla voce della Famiglia, per quanto riguarda l’Austria, si spiega come opera il diritto al ricongiungimento familiare. E così via.

Lo stesso sito fornisce volantini, istruzioni e “biglietti da visita” da stampare in lingue come l’inglese, il francese, l’arabo, il farsi il pashtu, tigrino (Etiopia ed Eritrea) e il somali. Il biglietto da visita di  WatchTheMed illustra l’allarme via telefono su un lato e una breve guida su due casi: Pericolo in mare e Pericolo di respingimento.

L’opuscolo intitolato “ I rischi, i diritti e la sicurezza in mare” (ci sono versioni per il Mediterraneo Occidentale, Centrale e per il Mare Egeo) fornisce istruzioni su come prepararsi per il viaggio in barca attraverso il mare. Al migrante è detto di assicurarsi che la barca sia in condizioni di navigare; che abbia abbastanza cibo, acqua e vestiario; che sia equipaggiata di GPS e di telefono cellulare con le batterie completamente cariche, con abbonamento pagato per le chiamate all’estero; gli si consiglia di informare i suoi parenti e amici nel paese di destinazione, nonché nel suo paese d’origine del luogo e dell’ora di partenza e di arrivo, in modo da sapere quando informare i servizi nel caso in cui l’arrivo stia ritardando; di avere a bordo segnali di allarme per attirare l’attenzione delle navi di passaggio, in quanto ogni capitano ha l’obbligo di salvare la gente di mare, quali che siano le loro nazionalità o status giuridico.

Ancora, lo si istruisce su come comportarsi durante le operazioni di soccorso e, una volta sul suolo europeo, come rivendicare il diritto di asilo ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951. Ai migranti viene detto, senza mezzi termini, che cosa devono dichiarare per ottenere l’asilo, che viene concesso in caso di procedimenti giudiziari per razza, religione, nazionalità, appartenenza a un gruppo sociale o politico. Il migrante è inoltre incoraggiato a segnalare qualsiasi violazione dei suoi diritti.  

L’opuscolo intitolato “ Benvenuti in Grecia” dell’ottobre 2015, spiega che, anche se ai sensi del regolamento di Dublino, il migrante deve poter chiedere asilo nel primo paese in cui arriva, i paesi dell’UE non hanno ancora rinunciato a questa convenzione; viene suggerito senz’altro di procedere con il viaggio verso l’interno dell’Europa. Lo si informa, inoltre che ai migranti economici, non sarà concesso l’asilo; ancora una volta un chiaro accenno a cosa dire per essere accettato.  Si fornisce anche il calendario per i traghetti e le navi complete dei prezzi del biglietto. E ci sono informazioni sulla geografia di Atene, gli indirizzi di organizzazioni umanitarie e pure un breve elenco di frasi utili in greco.  Anche in questo caso, che c’entri Soros resta da dimostrare, sebbene lo zampino di qualche Ong ‘amica’  sarebbe coerente con la sua agenda.

E vero invece che nel 2015 l’ondata di profughi dal Medio Oriente via Turchia fu immane, provocando reazioni di rigetto in vari stati. La Germania ne accolse subito un milione, fino allo stop grazie all’accordo di Merkel con Erdogan che frutta tuttora alla Turchia €6 miliardi in tre anni. Versati dall’UE, non dalla Germania. La Libia tenta di emulare da Turchia? C’è chi lo sospetta.

 

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Le ONG umanitarie 2. La rete di George Soros

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Secondo post di tre, articolo tratto da LA STAMPA del 7 maggio 2017

Il molto discusso magnate, filantropo investitore di origine ungherese, che nel 1992 atterò sterlina e lira con le sue speculazioni, poco amato in Francia dove è stato processato per insider trading ai danni di Société Génerale, è molto più di un semplice donatore di ONG e promotore dei diritti umani ( qui il Soros benefattore raccontato da lui stesso).

Attraverso la sua Open Society Foundation sostiene una rete di centinaia di Ong che operano coprendo un enorme spettro di attività e con obiettivi spesso apertamente politici negli Usa e nel mondo. E collegamenti con i media .  

Proprio per questi motivi di lui e delle sue Ong si finisce per sapere di più, per via dei molti leaks, ultimi i DCLeaks, oltre che attraverso la stessa OSF e il suo braccio europeo, l’ Open Society Policy Institute. E’ un labirinto dove non è facile districarsi.  

LA RETE USA. Un post di Discover The Networks, apparentemente del 2011, pubblica un nutritissimo elenco delle Ong finanziate direttamente dalla OSF di Soros e in coda un gruppo più limitato che ricevono soldi da alcune delle prime.  Leggendo le brevi spiegazioni accluse a ogni titolo, par di capire che si tratta di Ong che operano fondamentalmente negli Usa.  

Da un post 2011 (linkato), di sorosfiles.com (sito di due documentatissimi attivisti diventati anti-Soros) si arriva a un elenco più limitato delle prime 150 Ong, con  indicate anche le somme versate a ciascuna, ma solo dal 2005 al 2009.

Scorrendo le liste salta agli occhi come tali Ong portino avanti tutti i temi di punta dei Democratici e/o sottendono fette di elettorato tradizionalmente Dem: anti-militarismo, contro la tortura, il razzismo e in generale contro l’agenda conservatrice; a favore di Palestinesi e Castro, pro-latinos, pro-musulmani,  e pro  immigrati e loro diritti; più, ovviamente, clima, ambiente, lavoro, diritti delle donne e LGBT, sanità, educazione, riforma della legge sulla droga – questa al secondo posto nei finanziamenti. Al primo posto una Ong sui media, con  $15 mil ricevuti 2005-09.   Tutti temi in sé cari ai sinceri democratici e progressisti, americani e non solo, per lo più fatti propri  dai media mainstream. Schierati – come Soros- contro gli argomenti nazionalisti, anti immigrati e anti musulmani della destra di Trump.  

Soros filantropo ‘di sinistra’ disinteressato?   Vediamo.  

Un altro post di sorosfiles non solo conferma quel che appare intuitivo: che il miliardario con la sua fondazione – oltre a finanziare direttamente il partito dell’Asinello, che figura nella lista – è diventato una potente macchina di creazione del consenso a favore dei Democratici.

Ma il post va oltre e spiega gli strettissimi legami, politici ed economici fra il finanziere e Obama (non personali, riteniamo). Racconta come da documenti erariali del 2010 Soros avrebbe (noi usiamo il condizionale) espanso il suo impero negli Usa usufruendo di fondi della legge che varava aiuti all’economia nota come ‘Obama stimulus’.    

La OSF insomma – sintetizziamo – usava i beneficiari delle sue Ong per fare lobbying e acquisire contratti pubblici legati alla formazione, la green economy ecc. . Portando avanti i temi Dem e conquistando elettori al partito mentre allargava la propria influenza, guadagnandoci pure sopra.

Che Soros abbia sostenuto fortemente Hillary Clinton alle ultime elezioni è del resto noto. D’altra parte sul fronte opposto, quello della destra repubblicana di Donald Trump, con il sostegno di altri miliardari come i fratelli Koch e i Mercer e di think tanks conservatori, si è dato vita a una rete non così fitta ma aggressiva e alla fine vincente, come si è visto ( qui e qui Underblog).

La RETE ESTERA. Già nella lista citata spuntavano alcune Ong attive fuori dagli Usa: il ministero dell’Educazione della Liberia, l’Università Europea di San Pietroburgo, la Baltic American Partnership, che gode anche di finanziamenti dell’USAID, braccio semipubblico della CIA nel mondo . E l’International Crisis Group, citato sopra, che ha come scopo “la ricerca e il sostegno nelle crisi e nei conflitti armati”, si legge enigmaticamente in un’altra lista, questa ufficiale dell’Open Society Institute a proposito delle partnership dell’organizzazione.

Numerosissimi i partners citati, dalla Banca Mondiale a WHO, UNICEF, UNESCO, OSCE, UE, Consiglio d’Europa; e organizzazioni governative, governi, fondazioni private americane ed europee, istituzioni educative e università (fra queste Columbia, Oxford, Cambridge, Ottawa, Maastricht University).

Tra le Ong partner figurano anche HRW, Médécins sans Frontières, il sito di analisi politica Project Syndicate, Refugee International, per “l’assistenza e la protezione dei rifugiati”; le branches locali di Transparency International contro la corruzione, e Policy Association on Open Society per “promuovere la democraziona nell’Est Europa e ex Urss”.  Esempi dall’elenco di per sè parziale, ammette  la fonte.

Nutrito l’elenco delle Ong finanziate dall’OSF fino al 2014 emerso dai DCLeaks nel 2016, a cui rimandiamo.  The Saker (sito vicino alla Russia) che ne pubblica una parte ne sintetizza gli obiettivi attraverso le parole chiave: diritti umani, delle donne e LGTB, notizie alternative (pur avendo ottimi rapporti con i media mainstream, osserva il post), uguaglianza di genere, minoranze, democrazia. E immigrazione. In pratica cercano di influenzare gruppi di sinistra, governi femministe, migranti, gypsies, giornalisti nonché partiti nuovi (citati il M5S, Podemos e Syriza – ?!?). Deprecano la destra, il fascismo, la Russia, l’Ungheria di Orban, qualsiasi cosa resista all’UE”.  The Saker elenca anche varie tecniche di influenza.

Nell’elenco molte Ong che operano in Europa, specie nell’Europa dell’Est, prima la Polonia,  e una dozzina  specificamente ‘Europee’, più Transparency Intl- Liaison Office to UE, Young European Federalists, e Alter EU, presente nei 28 paesi UE,  per conquistare alle idee a ai valori di OSF i candidati all’Europarlamento.  

In questo contesto fa un po’ sorridere che le tre organizzazioni italiane nella lista siano l’Associazione Upre , che promuove la cultura Rom e le relazioni interculturali; l’ Arcigay e l’Associazione 21 Luglio – queste presenti anche in un altro file dei DcLeaks che cita pure le somme elargite.

 

SOROS NEI DCLEAKS.  

“Migliaia di files interni alla OSF di Soros sono stati resi pubblici nel 2016 dopoessere stati piratati. Riuniti nel sito Soros DCLeaks contengono moltissime informazioniche dimostrano l’influenza che cerca di avere il miliardario mondialista (e pro immigrazione) nel mondo. I files si riferiscono al periodo 2008-2016” 

“Secondo le rivelazioni di DCLeaks questi documenti sono stati hackerati da un gruppo di attivisti americani che vogliono mostrare la realtà del ‘processo di presa delle decisioni” e dei ‘veri elementi della vita politica americana’”. Così un post francese (di Lucien Pons)

Il post segnala alcuni files di particolare interesse per gli europei.

$100 000 sono stati dati a United for Intercultural action per l’insieme dei paesi dell’UE. Obiettivo “Contrastare i partiti populisti in Europa in vista delle elezioni europee. In collaborazione con European Network against racist et Hope not Hate, United condurrà una campagna di comunicazione focalizzata specialmente su Francia, Grecia, Ungheria, Italia e Paesi Bassi”.  

$ 130.000 sono stati attribuiti al giornale EUObserver,  che aveva lo scopo di analizzare la montante “narrazione di odio” e combatterla, reclutando giovani giornalisti sul campo.

$49.500 sono andati a “Italiani alternativi” [sembra riferirsi non a un gruppo specifco ma a un programma e a vari gruppi] per “dare più importanza e tempo di parola ai senza voce, cioè migranti e giovani”. Per questa via attivisti italiani e volontari hanno ricevuto donazioni.

In tutta l’Europa, “centinaia di Ong ‘indipendenti’ lavorano con l’OSF , anche istituzioni come l’UE”- aggiunge il post francese. Uno dei progetti della fondazione è chiaro :”Fare accettare agli Europei i migranti e la sparizione delle frontiere”.

Si potrà essere o meno d’accordo, disturba l’interferenza.

 

Significativi gli obiettivi del suo Open European Policy Institute, il braccio Europeo  dell’OSF, raccontati ufficialmente sul suo sito

*Fornire prove e argomenti per dar forma a dibattiti politici e processi decisionali: 

*Collegare la rete di OSF con le istituzioni UE e gli Stati membri; 

*Impegnarsi in dibattiti sul futuro delle istituzioni UE e delle politiche per promuovere valori della società aperta; 

*Costruire solide relazioni con funzionari, politici, e altri protagonisti per mantenere le libertà civili, i diritti e e la giustizia nell’agenda europea. 

Non sorprende troppo scoprire che l’ Open Society European Policy Institute abbia preparato un memo intitolato “Alleati affidabili nel Parlamento Europeo  2014-2109″ in cui annota l’importanza di costruire relazioni’ durature e degne di fiducia’ con europarlamentari ‘credibili nel sostenere il lavoro di Open Society’.

La mappa tracciata offre una intelligence sui membri dell’8° Parlamento Europeo propensi a supportare i valori della Open Society nella legislatura 2014-2019.  Comprende 11 comitati e 26 delegazioni e i più alti corpi decisionali dell’Europarlamento: 226 europarlamentari sono/sarebbero  alleati o vicini all’Open Society. Qui la lista nuda e cruda,  qui il file originale dai Soros DCLeak con il lungo e dettagliato documento.

SOROS IN UCRAINA. Vi aveva dedicato un post Remocontro, il sito di Ennio Remondino, una mini-inchiesta sulle ong umanitarie e il ruolo di NED e CIA nel paese dove operavano ben 150 Ong.

“E’ ormai assodato che Soros è stato profondamente implicato nelle proteste di Maidan a Kiev e nel colpo di stato violento che ha cacciato un governo democraticamente eletto in nome dei “valori Europei …”, scrive Zerohedge.

“Dai recenti DCLeaks – leggiamo in un post linkato – si apprende che la rete di organizzazioni no-profit ha operato anche su membri UE per supportare una narrazione pro-Maidan  e per scoraggiare eventuali legami e sostegno alla Russia” (si fa l’esempio della Grecia e dei soldi ai media greci).

E ancora: “Oggi – prosegue ZH – nuovi documenti nella nuova tranche di 2500 files [i DCLeaks] mostrano l’immenso potere e controllo avuto da Soros sull’Ucraina anche dopo il sovvertimento del governo…Dai leaks emerge come “Soros e le sue Ong ebbero dettagliati incontri con i vari protagonisti del colpo di stato in Ucraina, dall’ambasciatore Usa Goffrey Pyatt e vari ministri ucraini …. Piani per minare l’influenza della Russia e i suoi legami con l’Ucraina sono al centro di ogni conversazione… L’Ong di Soros International Renaissance Foundation(IRF) gioca un ruolo centrale  nella costruzione della Nuova Ucraina, come Soros definisce il suo progetto”.  

Non stupisce che un anno dopo i fatti di Kiev Putin abbia bandito per legge una serie di Ong straniereha scritto il Guardian –  a cominciare dal NED, non proprio una Ong  come abbiamo visto ma finanziato direttamente dal Congresso Usa, a seguire Amnesty , HRW e varie Ong ucraine e polacche legate a Soros.  Lo stesso sta facendo la Cina, imponendo alle ONG stretti controlli di sicurezza. 

Post successivo: “Ong umanitari (3). George Soros, l’immigrazione e la crisi europea dei rifugiati”

 

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Le ONG umanitarie 1. Il complesso industriale dei diritti umani

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“La narrazione culturale classica appare del tutto innocente: miliardari caritatevoli, politici illuminati, società transnazionali, istituzioni pubbliche insieme a legioni di volontari lavorano insieme in nome della giustizia sociale per forgiare un mondo migliore,  aiutando i diseredati, difendendo i diritti umani contro genocidi e crimini contro l’umanità”.

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Articolo tratto da LA STAMPA del 07/05/2017

Non sappiamo se vi sia stata o meno collusione con scafisti o trafficanti di profughi da parte di qualche Ong. Scoprilo e sanzionarlp spetterà alla magistratura e soprattutto alla politica, magari con l’aiuto dell’intelligence e di Frontex – dai quali sembrano provenire le intercettazioni di cui si parla. 

Frontex già a fine 2016 aveva segnalato preoccupazioni su alcune Ong ( qui dal FT e qui), dopo che il sito GEFIRA aveva monitorato ivimenti di navi di Ong umanitarie che si avvicinavano molto alle coste libiche e sgnalato contatti sospetti cona terraferma (qui il post e video).  

Se l’operazione Mare Nostrum fosse continuata, estesa ad altri Stati europei, invece di delegare compiti forse eccessivi a Ong, senza regole certe né finanziamenti trasparenti, tanti problemi si sarebbero potuti evitare. Ma si sa, su immigrazione e rifugiati l’UE è assente. 

Qui tuttavia vogliamo solo tentare di far luce in generale sulle Ong umanitarie, quanto meno le più importanti, che negli anni hanno acquisito un nuovo ruolo di prolungamento delle politiche delle democrazie occidentali: sorta di PR, casse di risonanza, con l’aiuto dei media,  delle narrazioni che ne supportano la geopolitica e  sempre più legate ad istituzioni e governi – in testa quello americano – da loro finanziate insieme a privati e filantropi apparentemente disinteressati. Parte integrante del cosiddetto Soft power o Smart power.  

 Un intreccio dove un posto non di poco rilievo gioca il controverso finanziere George Soros con la sua Open Society Foundations , campione della Società Aperta globalizzata, che di Ong ne finanzia a centinaia e il cui interesse anche nella politica globale di migranti e rifugiati è lui stesso a spiegare come vedremo in un post successivo.  

L’incontro recente fra Soros e il presidente del Consiglio Gentiloni a palazzo Chigi, non sappiamo chiesto da l’uno o dall’altro, potrebbe costituire una ulteriore conferma. Di tutto questo si parla assai poco nel circuito mediatico mainstream.  

“La narrazione culturale classica appare del tutto innocente: miliardari caritatevoli, politici illuminati, società transnazionali, istituzioni pubbliche insieme a legioni di volontari lavorano insieme in nome della giustizia sociale per forgiare un mondo migliore,  aiutando i diseredati, difendendo i diritti umani contro genocidi e crimini contro l’umanità”.  

Una retorica cara specialmente alla sinistra democratica che ad un esame più approfondito presenta varie falle.  

Lo scriveva qualche mese fa un post intitolato Smart power & The Human Rights Industrial Complex,   allusione al cosiddetto complesso militar-industriale a cui finiscono per far gioco – consapevolmente o meno – tante Ong, a partire da alcune delle più note come Amnesty International e Human Wight Watch (HRW), dove i conflitti di interesse e intrecci finanziari e politici appaiono palesi.  

E lo  testimoniava anche un post francese che già nel 2010 prendeva di mira tre Ong (di nuovo Amnesty, HRW più FIDH- International Federation for Human Rights) in relazione agli interventi di Parigi in Mali, in un post intitolato Guerre de l’information. Au dessous del ONG, une vérité cachée.  

L’autore del primo post è Patrick Henningsen, scrittore e giornalista investigativo, fondatore  di 21st Century Wire –  sito associato all’alternativo Inforwars , scrive il Guardian,  e collaboratore di Russia Today   (il post è stato comunque rilanciato da un sito britannico e da Global Research).  

LA MUTAZIONE NEL XXI SECOLO  

“Sebbene tutte le Ong umanitarie si presentino come neutrali e non partigiane, la realtà è spesso diversa …. “Un aspetto difficile nell’analizzarle è che nella maggior parte di esse lavorano individui ottimi, ben educati, grandi lavoratori, molti dei quali sono spinti da vero altruismo e dalle migliori intenzioni. Per lo più sono inconsapevoli o disinteressati a chi finanzia le loro organizzazioni e cosa significhino tali legami finanziari per quanto concerne aspetti geopolitici o conflitti militari.” 

 “E’ certo vero che negli anni campagne sincere e dedicate hanno aiutato a liberare individui ingiustamente imprigionati e ottenuto processi e giustizia. Come è vero che molte organizzazioni hanno contribuito a prendere coscienza su molti importanti temi sociali e ambientali”. 

 Ma “a causa dell’accresciuto finanziamento da parte di interessi corporatee a legami diretti con governi e think tanks politici negli anni recenti queste organizzazioni sono diventate sempre più politicizzate e più strettamente connesse agli ‘agenti di influenza’ occidentali.   Col risultato che queste organizzazioni per i ‘diritti umani’ rischiano di contribuire ai problemi che credono di voler eliminare, attraverso la loro spesso involontaria ‘complicità’ nel sostenere obiettivi di politica estera di Washington, Londra, Parigi e Bruxelles” .“Il problema è sistemico e istituzionale”.

“Quello che nel XX secolo era una sorta di appendice di un emergente movimento progressista internazionale si è rapidamente espanso nel XXI secolo come un ‘terzo settore’ internazionalizzato multi-miliardario supportato da alcune delle corporations transnazionali leader nel mondo. Un impressionante labirinto, guidato da organizzazioni come Amnesty,   e HRW.  Ciascuna di queste organizzazioni ha legami diretti con governi centrali e, forse più sorprendentemente, collegamenti che conducono al cuore del [cosiddetto]complesso militar-industriale. Di qui l’espressione “Complesso industriale dei diritti umani”.  

Fa eco il post francese citato: “Infiltrate da rappresentanti governativi, prendendo parte a certi conflitti e ignorandone altri: in filigrana si disegnano i c ontorni di una strategia che è il riflesso della politica dei dipartimenti di affari esteri. Certi governi, come quello degli Stati Uniti del resto non si nascondono questa strumentalizzazione delle Ong ‘non governative’. L’ex segretario di Stato Colin Powell in un discorso indirizzato alle Ong all’inizio dell’Operazione Enduring Freedom  (l’invasione dell’Afghanistan) nell’ottobre 2001, anno cruciale,  dichiarava: ‘Le Ong sono un moltiplicatore di forza per noi, una parte estremamente importante della nostra squadra combattente’ ” .  

Una dichiarazione, quella di Powell,   che si può accostare a quella, molto citata dai siti alternativi, dell’ex comandate Nato Gen. Wesley Clark che sei anni dopo, in un discorso pubblico, citava una conversazione al Pentagono proprio del 2001 e un memo del Segretario alla Difesa secondo il quale nei successivi 5 anni gli Usa avrebbero attaccato e distrutto i governi di 7 paesi : Iraq, poi Siria, Libano, Libia, Somalia, Sudan, Iran. En passant sia il Generale Clark che Soros figurano nel board of trustees dell’ International Crisis Group.
 

ESEMPI di allineamento.  

Il post francese punta il dito su report di Amnesty e HRW che hanno denunciato uccisioni e nefandezze da parte di truppe del Mali, di fatto accusando anche gli alleati  Francesi di quelle milizie, con lo scopo di allontanarli da quel territori, si affermava, per lasciare campo libero a interventi di altri (leggi US/Nato).

Nel 2012  il ‘caso Kony’.  Da un video presto virale negli Usa che accusava Joseph Kony, leader della Lords Resistance Army prende il via una campagna mediatica sulla necessità di un intervento occidentale per salvare bambini africani in pericolo. A promuovere la campagna è la Ong Invisible Children, che raccoglie finanziamenti anche nelle scuole. Kony in realtà non lo si vedeva in giro da anni. Ma Obama ha la scusa per dispiegare militari in Uganda ed espandere l’Africom.  

Sempre nel 2012 è Amnesty a lanciare la campagna Diritti umani per le donne in Afghanistan dove è in corso l’intervento  Usa /Nato. “ Keep the progress going”,   è lo slogan che accompagna immagini di donne in burqa azzurro. E’ la prima ‘guerra femminista’, ma nessuno scandalo fanno le 9000 vittime, molte civili (poi cresciute di numero).  

Nel 2011 un report su soldati Libici ‘drogati dal Viagra’ che violentavano le donne – rivelatosi fake – sembra validare la propaganda sulle ‘atrocità delle milizie di Gheddafi contribuendo a sollecitare l’intervento ‘umanitario’ Nato in Libia . La richiesta della no fly zone permette di bombardare l’esercito libico e far fuori il raiss.  

Report dimostratisi fake ce ne erano già stati in Iraq – militari di Saddam avrebbero rubato incubatrici dal Kuwait lasciando morire neonati, testimonianza di un dottore della Mezzaluna Rossa ‘verificata’ da  Amnesty; l’uranio yellow cake arrivato in Iraq per sviluppare le armi di distruzione di massa. E in Siria: il rapimento di un giornalista NBC da parte dei miliziani pro-Assad, liberato dai ‘moderati’ del Free Syrian Army;  le ‘barrel bombs’ sganciate a Kobane, col direttore di HRW Ken Roth che ha twittat immagini in realtà riferite a Gaza.  Tutti falsi.  

L’attacco al sarin di Damasco nel 2013 venne attribuito anche quello ad Assad, come riferito da HRW alla CBS. Accuse in seguito contestato da molte fonti autorevoli che hanno  invece accsato i ‘ribelli’.  Il sarin – l’avrebbe loro fornito la stessa Hillary Clinton allora titolare degli Esteri per incastrare Assad, ha scritto il giornalista premio Pulitzer Seymour Hersch in un post tradotto da vocidall’estero. Probabili fake anche i video impressionanti e le foto prese altrove.  

La Siria dove la guerra perdura  è una miniera di report, e di fake. 

Il ‘caso Caesar’, esploso due giorni prima dell’inizio di colloqui di pace in Svizzera, dal nome in codice di un presunto fotografo siriano che avrebbe documentato con 55.000 foto torture ed esecuzioni su scala industriale di detenuti da parte di Assad. ‘Verificate’ da HRW, metà si rivelano foto di soldati morti sul campo. Dubbi sulle altre, c’era di mezzo la CIA.  

Il report di Amnesty sulle atrocità compiute dalle milizie governative, con accuse di violazione della legge internazionale sui diritti umani e crimini contro l’umanità . Un post documentatissimo di Tim Hayward, docente all’università di Edimburgo e direttore di Ethic Forum e Just  World Institute fa le bucce ai metodi adottati da Amnesty , che non soddisfano i loro stessi criteri.

Il medesimo autore in un altro post punta il dito su Médicins Sans Frontières che in un report   ha accusato il solito Assad di aver bombardato ospedali e civili. In realtà MSF non era sul campo – si trovava fra i ribelli da loro protetta – e si è basata sulla testimonianza dei White Helmets.  

 Gli stessi Caschi Bianchi sono la fonte della notizia del recente attacco chimico (al sarin? al cloro?) ad Idlib. News divulgata per primo dal Syrian Observatory on Human Rights  e poi da tutti i media, compresi i nostri, a base di foto e video fake  ad opera dei White Helmets, come  confermano medici di una Ong svedese.  

Del resto le principali Ong umanitarie, che già nei ’90 avevano appogiato la partizione dell’ex Jugoslavia, sostengono apertamente il regime change in Siria come in Libia, Ucraina e Yemen. In Siria presentando subito il conflitto come ‘guerra civile’, Ong umanitarie e media hanno fatto la loro parte nel divulgare un’importante narrazione della politica estera occidentale che ha impedito di conoscere la realtà, molto più complessa, e le complicità di Usa, Turchia e alleati.

FINANZIAMENTI  

Follow the money, scrive Henningsen, secondo il quale molte di queste entità ricevono grandi quantità di finanziamenti dalle stesse fonti, corporations transnazionali.  Quali? Un elenco dettagliato dei donatori in realtà non esiste,  e il finanziamento delle varie ONG è da sempre opaco, come denuncia anche il post francese.  Vale anche per le maggiori, Amnesty Intl , HRW e la stessa FIDH, la più antica. Malgrado la loro fama e i riconoscimenti da parte di ONU, Unesco, Europa. E vale anche per Médécins Sans FrontièresSave the Children ecc.

Fra i privati ai nostri post non  resta che segnalare il ruolo di finanziatore di George Soros. Sia Amnesty Intl sia HRW hanno ricevuto ciascuna  $100 milioni, riferiscono i due post pur . L’impegno di Soros a versarli a HRW  è del 2010 ( vedi anche qui).

Il molto discusso finanziere di origine ungherese, che nel 1992 atterò sterlina e lira con le sue speculazioni causando perdite ingenti ai due governi, e in Francia è stato addirittura processato per insider trading ai danni di SociétéGénerale, è molto più di un semplice donatore. Attraverso la sua Open Society Foundations sostiene una rete di centinaia di ONG che operano negli Usa e in tutto il mondo coprendo un enorme spettro di attività e obiettivi spesso apertamente politici.   Lo vedremo più avanti.  

Più trasparenti, abbiamo verificato, sono i finanziamenti pubblici alle organizzazioni umanitarie, monitorati da Globan Humanitarian Assistance – GHA che pubblica ogni anno un rapporto. Ma complessivo, senza citare alcuna Ong in particolare.  

Dal rapporto del 2015 si apprende che l’assistenza umanitaria nel mondo nel 2014  ha potuto usufruire di ben $24.5 miliardi, in crescita sull’anno precedente. Il 2013 è stato un anno di grandi trasferimenti di persone da Medio Oriente e Africa (12.3 milioni di profughi dal M.O., più degli 11.8 mil dal Sud Sahara), a ciò viene attribuita la crescita altissima di donazioni da parte di Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti -UAE, diventati il 6° e il 15° donatore (+219% e + 317% rispettivamente. Che è una notizia.  

Chissà se il recente protagonismo dell’Arabia Saudita è da mettere in relazione con la sua elezione nel prestigioso Human Rights Council  dell’ONU (UNHRC), attraverso una negoziazione col Regno Unito, entrato nell’organismo internazionale insieme all’Arabia che poi ne ha addirittura conquistato la presidenza. Con un passaggio di soldi e favori fra i due Stati, ha raccontato il Guardian che parlava anche di una donazione araba di $1 milione all’UNHRC.  Molto recentemente l’Arabia Saudita, dove alle donne velatissime è persino vietato guidare l’auto, è diventata membro anche della Commissione ONU per i Diritti delle Donne, suscitando ovunque ilarità e sdegno.  

Nella mappa interattiva  del GHA con i contributi di tutti gli stati e dell’UE, svettano gli Usa, con $6 miliardi. Molto staccati gli europei, a parte GB ($2,3mld) che versa quanto le istituzioni UE e Germania ($1.2mld). Seguono i paesi nordici. L’Italia con i suoi miseri $378 milioni, è quasi alla pari dell’UAE , ma la Francia è a quota $472 mil, la Spagna si ferma a $220 mil. 

Si precisa inoltre che di tali finanziamenti, soltanto lo 0,2% va a finire a Ong locali e il 3.1% a governi di stati ‘bisognosi’.  

Il rapporto poi, pur molto ampio, si riferisce soltanto a finanziamenti pubblici in generale, non alle istituzioni di ciascun paese.

La FIDH per esempio, la più antica Ong internazionale che difende tutti i diritti, umani, civili, politici, economici, sociali, culturali e tiene insieme qualcosa come 178 organizzazioni di 120 paesi, riceve fondi dal Dipartimento di Stato Usa attraverso il NEDNational Endowment for Democracy, organizzazione bipartisan nata nel 1983 per ‘promuovere la democrazia nel mondo’ finanziata dal Congresso.

Quanto a Médécins Sans Frontières, secondo un rapporto del GHA citato nel 2010 da Libération intitolato “Finanziamenti privati: una tendenza emergente negli aiuti umanitari, quell’anno figurava al secondo posto delle più importanti Ong umanitarie in termini finanziari, con $1 miliardo di donazioni   ricevute. Fondi che superavano quelli degli aiuti del Regno Unito. In generale i finanziamenti privati erano saliti dal 17% nel 2006 al 32% nel 2010 ma per MSF rappresentavano il 90%. Chi fossero i donatori non viene detto.

Recentemente, riferisce nel 2016 Le Monde , MSF ha rifiutato €62 milioni da parte di istituzioni e paesi UE perché non condivideva la linea che si oppone all’accoglienza dei profughi. Cruciale è stato l’accordo con la Turchia, fortemente criticato dalla Ong francese. Nel 2015 aveva ricevuto 19 milioni  dalle istituzioni UE e 37 milioni da undici stati dell’Unione, più 6.8 milioni dal governo Norvegese.  MSF rifiuta anche quelli per il suo lavoro con Frontex . 

MSF figura nella lista ufficiale dell’OSF delle Ong ‘partners’ della Open Society Institute  di George Soros.  Non è specificato quali partners ricevano anche finanziamenti.

 

LE PORTE GIREVOLI.  

“Non è un segreto che ve ne siano fra il Dipartimento di Stato e molte delle le principali Ong occidentali per i diritti umani” scrive Henningsen. Il caso più clamoroso è quello di Suzanne Nossel, una delle sostenitrici delle cause umanitarie di più alto profilo a Washington, transitata direttamente nel 2012 dal posto di vice Segretario per le Organizzazioni internazionali al Dipartimento di Stato, assistente personale di Hillary Clinton ministra degli Esteri,  alla poltrona di direttore esecutivo di Amnesty Intl -Usa. Già capo operativo di HRW, vice presidente per la strategia e le operazioni al Wall Street Journal e consulente per la comunicazione e i media per McKinsey & Co, membro e finanziatore del Council of Foreign Relations, di cui Nossel è senior fellow. Con la Clinton Nossel era responsabile per i diritti umani multilaterali (qui la sua bio), vicina ai ‘falchi’ Samantha Power e Susan Rice e al meno noto Atrocity Prevention Board, comitato inter-agenzie che comprende anche funzionari dell’intelligence.  

“Nossel  è stata un elemento chiave, rappresentando un ponte per aiutare a progettare  a livello internazionale la comunicazione politica americana attraverso la Ong Amnesty” .  A lei si deve l’invenzione dell’espressione “ Soft Power”–  il modo ‘dolce’ di imporre il potere contrapposto alla modalità ‘hard’, militare –   cavallo di battaglia  della presidenza Obama.   ‘Washington deve offrire una leadership assertiva – diplomatica, economica e non ultima, militare – per portare avanti uno spettro di obiettivi: autodeterminazione, diritti umani, libero mercato, legalità, sviluppo economico e l’eliminazione di dittatori e armi di distruzione di massa’, ha scritto Nossel  a proposito dei compiti dei politici progressisti nel XXI secolo.  

Dopo Amnesty Nossel è diventata ed è tuttora direttore esecutivo del PEN America Center, la storica, influente associazione di scrittori e editori con diramazioni internazionali in 101 paesi. Scrittrice e blogger lei stessa, continua il suo attivismo per i diritti umani, sostenendo boicottaggi ad es dell’Iran o contro la partecipazione ai Giochi Europei, ‘consigliando’ agli Stati di fare altrettanto ( qui una bio di Nossel, qui un post sul doppio standard adottato).

Alle porte girevoli fra governo Usa e Human Wright Watch è dedicato un intero post di Countepunch (2014) in forma di lettera aperta al direttore Ken Roth (quello delle foto fake in Siria prese da Gaza, vedi sopra).  Per esempio Miguel Diaz, ex analista CIA cooptato nel board dei consulenti, poi tornato al Dipartimento di Stato come interlocutore fra intelligence ed esperti non governativi. Simile il percorso di Tom Malinowski, già direttore di HRW- Washington. E che dire di Mr Steinberg, passato da HRW alla poltrona di assistente di Samatha Power, ambasciatrice Usa all’ONU e noto falco .  Sono solo alcuni casi, scrive Counterpunch, che racconta varie prese di posizione contraddittorie della ong, per es. sulle renditions – detenzioni lunghe senza processo sotto Obama sulle quali HRW ha taciuto dopo aver denunciato quelle di Bush.  O le denunce contro Cuba e il Venezuela, ma non delle atrocità ad Haiti dopo il colpo di stato promosso dagli Usa.  

Notevoli anche   gli intrecci politici di AVAAZ, Ong internazionale fondata nel 2007 da ResPublica e Move.on (l’Ong di azione politica online degli attivisti Dem che riceverebbe fondi direttamente da Soros) sotto l’ombrello dell’ OSF del magnate, i cui fondatori hanno avuto tutti relazioni con ONU e Banca Mondiale, scrive Henningsen.   AVAAZ, che vanta 7 milioni di membri nel mondo e nel 2009 ha dichiarato di ricevere solo microdonazioni da simpatizzanti, opera con la società di PR Purpose , orientata al business; insieme usano i social media per campagne politiche ‘dal basso’ che preparano il terreno per programmi del FMI o della Nato, come sanzioni o interventi militari (vedi anche qui un post italiano). 

AVAAZ – secondo GEFIRA – avrebbe donato $500.000 al MOAS – Migrants Offshore Aid Station, l’Ong maltese fondata nel 2014 dalla coppia italo-americana Catrambone ale centro delle polemiche di oggi sui salvataggi di migranti dalla Libia.

A ricevere sostegno sostanziale dal Foreign Office britannico, oltre che fondi dalla UE , è il discusso SOHR – Syrian Observatory for Human Rights, distintosi nel fornire spesso informazioni ai media sulle presunte atrocità commesse dall’esercito regolare siriano (vedi sopra : era anche la fonte delle notizie sull’ultimo attacco chimico a Idlib.) Nata nel 2006, SOHR in realtà fa capo a un unico individuo, un siriano dissidente  di nome Osama Ali Suleiman ma noto come Rahmi Abdul Rahman che vive a Londra in un mini-appartamento di Covent Garden. > Post successivo “ONG umanitarie (2).La rete di George Soros”

 

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Mara Mucci, ex M5S: «Il Movimento? Una delusione. Di Maio? Il nulla assoluto»

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Il Movimento 5 Stelle nacque ufficialmente il 4 ottobre del 2009 su iniziativa di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, sulla scia dei fortunati “vaffanculo-day” organizzati dal comico genovese in diverse piazze italiane già dal 2007. Il format del “v-day” era quello di un evento a metà tra lo spettacolo gratuito e il comizio politico, ebbe quindi molto successo sia perché si contestualizzava in piena crisi economica – con il berlusconismo in parabola discendente –  sia perché la possibilità di assistere a uno spettacolo di Grillo senza spendere almeno 70 euro portò molti curiosi nelle piazze dove si svolgevano i comizi-show. Nei mesi successivi alla sua nascita, il M5S iniziò a radicarsi sul territorio nazionale attraverso dei circoli virtuali, i cosiddetti meet-up, con una variegata umanità che scelse di prendere parte a quella nuova esperienza con motivazioni spesso molto diverse tra loro. C’era chi – come in tutti i partiti – vedeva nel nuovo soggetto la possibilità di sbancare il lunario (dagli studenti universitari fuori corso da molti anni ai soggetti senza arte né parte nella società), c’era chi voleva “spaccare il mondo” iniziando dal potere costituito (nulla di particolarmente originale, in realtà), ma c’erano anche pezzi di società civile e dell’associazionismo che trovarono nelle prime parole d’ordine del movimento – quelle su ambientalismo, sburocratizzazione e digitalizzazione – una nuova (o addirittura una prima) collocazione politica.

Tra loro c’era Mara Mucci, parlamentare imolese e mamma di due bambini. Oggi è uno dei tanti “grillini pentiti”, perché uscita dal M5S insieme ad altri 9 colleghi all’epoca dell’elezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica. Da allora ha continuato l’attività politica nel gruppo misto. «Noi siamo usciti durante l’elezione di Mattarella – racconta – perché si era toccato il fondo, dall’imposizione di un direttorio con listino bloccato e voto non certificato, alla cacciata dell’ennesimo collega (il deputato Massimo Artini che sosteneva che la Casaleggio Associati “spiava” le caselle mail dei parlamentari, ndr). Scoprimmo dal blog che il nome del candidato alla Presidenza della Repubblica lo si chiedeva a Renzi e che il Movimento non avrebbe avanzato proposte, una follia. Nessuna decisione su questioni fondamentali veniva condivisa, per sapere cosa fare bisognava andare sul blog». Una volta uscita, la deputata ha dovuto subire – come tutti i “traditori” del verbo di Grillo e della Casaleggio Associati – insulti e minacce di ogni tipo da parte degli adepti del comicoleader genovese, soprattutto sui social network. Una rabbia spesso indirettamente fomentata dai colleghi più in vista e da tutto l’apparato della comunicazione del M5S, che in quel periodo bollava i dissidenti come persone attaccate ai loro stipendi che uscivano per non “restituirli” ai cittadini. «Ho dovuto dare le chiavi d’accesso dei miei profili social al mio compagno; alcuni commenti erano di una violenza inaudita e mi auguravano di tutto, dalle torture allo stupro, fino a finire appesa a testa in giù a Piazzale Loreto, come Mussolini. Con pazienza i più violenti sono stati cancellati, ma scorrendo si trova ancora qualcosa, soprattutto tra i messaggi privati. Oltre che violenti sono pure dei codardi. Un po’ mi è dispiaciuto non seguire direttamente l’entità di questo fenomeno, ma in quel periodo ero davvero sotto pressione, soprattutto perché avevo un bimbo piccolo. In parte queste esplosioni di rabbia dipendono dallo strumento utilizzato, ovvero i social network, che creano una barriera tra te e l’interlocutore. L’Hate Speech dipende proprio da questa spersonalizzazione sempre più diffusa. Se sei una persona poco consapevole e con una vita sociale limitata, quando vai in rete non ti rendi conto di rivolgerti ad un’altra persona in carne ed ossa. Ricordo che quando mi è capitato di incontrare attivisti del movimento sul territorio, anche i più “feroci”, non ho mai ricevuto una critica e nessuno si è rivolto a me con ingiurie di alcun tipo, anzi, in molti volevano parlare ed in alcuni casi esprimermi la loro solidarietà».

Il percorso dell’ex grillina inizia dal basso: «Come molti, mi ero avvicinata al Movimento attratta dalla semplicità del messaggio di Grillo e dal fatto che sentivo la necessità di immettere forze nuove in politica. Non si può negare il fatto che su alcuni temi il Movimento 5 Stelle abbia costretto la politica tradizionale a confrontarsi e a cambiare. Poi quella spinta è andata via via perdendosi, soprattutto a casa di una gestione verticistica e poco trasparente. Entrai inizialmente per dare una mano a Giovanni Favia, candidato sindaco per le amministrative bolognesi del 2009. Mi iscrissi al MeetUp di Bologna e iniziai a partecipare interessandomi di tematiche locali. Poi il Movimento crebbe in modo molto repentino e si presentò l’occasione delle politiche, dove per regolamento poteva essere inserito in lista solo chi era già stato candidato in precedenti elezioni». Favia, ex consigliere comunale bolognese e successivamente eletto in consiglio regionale, fu uno dei primi espulsi del movimento, cacciato per un fuori onda dove lamentava l’assenza di democrazia nel M5S e il controllo totale esercitato dal duo Grillo – Casaleggio senior. «Giovanni ha sempre avuto fiducia nell’onestà altrui e probabilmente fu ingenuo (o troppo diretto) a raccontare quelle cose a un giornalista senza rendersi conto di essere registrato. Sono convinta, però, che l’incidente fu solo un pretesto per mandarlo via, perché era l’eterno rivale di Massimo Bugani, che oggi è uno dei tre soci dell’associazione Rosseau solo in virtù della sua amicizia con Grillo».

L’ex grillina prima di arrivare a Montecitorio lavorava nel campo dell’informatica come il candidato premier in pectore del M5S, Luigi Di Maio. «Ma io ho una laurea quinquennale un’altra cosa», sorride. A differenza di molti eletti della “prima ondata” – quella del 2013 – ha un curriculum di tutto rispetto e si caratterizza già dai primi mesi come una mente libera, spesso in dissenso con le decisioni imposte agli eletti da Milano e da Genova. «Il mondo si divide in persone che fuori dalla politica hanno una vita loro e persone che fuori dalla politica sono il nulla cosmico. Non hanno competenze, non hanno attitudini, non hanno nulla da dare. Se hai un passato di indipendenza e non hai paura di finire sotto un ponte, non hai paura di esprimere la tua opinione. Chi non ha tutto questo, subisce in silenzio e si adegua alle decisioni imposte dall’alto, anche se non le condivide. E non parlo solo dei deputati e dei senatori: c’è – come in tutti i partiti – un enorme sottobosco di consiglieri comunali che aspirano a posti di maggior prestigio; e poi consulenti, portaborse, ecc… Per non parlare di aziende satellite, associazioni e altre realtà che sperano che il Movimento 5 Stelle vada al potere per trarre i loro profitti. Tutto il mondo è paese, insomma».

Sono in tanti tra fuoriusciti ed ex elettori a lamentare un totale stravolgimento della mission iniziale del Movimento 5 Stelle, oltre a una totale assenza di democrazia interna che ha tradito ormai da tempo l’ormai caricaturale motto “uno vale uno” che tanto doveva rivoluzionare i tradizionali percorsi decisionali della “vecchia politica”. «La Casaleggio Associati è specializzata in marketing e nell’utilizzo dei social media. Di conseguenza, non stupisce che il Movimento 5 Stelle segua i trend del momento, i temi che possono far breccia sulle persone – soprattutto quelle meno colte o disattente – riverberando la sua comunicazione su quello. Per farlo utilizza i prodotti che vediamo ogni giorno sul web, dai video degli studiatissimi interventi dei parlamentari – quasi sempre fuori contesto rispetto alla discussione in aula, ma questo il “pubblico” non lo può sapere – alle immagini diffuse su profili facebook e pagine fan di quegli eletti scelti dagli esperti di marketing come veri e propri “testimonial” del prodotto. Persino molti profili social “fake” pro M5S sono gestiti da Milano. Si utilizzano le stesse metodologie aggressive degli uffici comunicazione delle aziende: finti commenti, finte valutazioni positive e così via. In altri casi questi profili nascono spontaneamente per emulazione: il più delle volte si tratta di persone che passano intere giornate chiuse dentro casa e sviluppano una forma di sociopatia. Sono i trend a fare la politica, non gli eletti, tantomeno gli iscritti. E la società ci guadagna in visibilità: attualmente la Casaleggio Associati è una delle aziende più note in Italia».

Marketing applicato alla politica, dunque, ovvero una rivisitazione del modello berlusconiano – dove l’agenda politica era ed è tuttora dettata dai perfetti sondaggi di Alessandra Ghisleri – ma con la rete a sostituire le televisioni. Sopratutto nei primi mesi della legislatura – l’era di Crimi, volendo trovare un riferimento – non tutto va come dovrebbe, a causa di un risultato assai sopra le aspettative del M5S che porta alla Camera e al Senato un’armata di esordienti che in moltissimi casi non hanno le competenze per amministrare neanche un piccolo condominio. «All’inizio era un disastro; eravamo impresentabili e ogni volta che qualcuno parlava si rischiava di cadere nel ridicolo. Per questo la Casaleggio Associati prese degli esperti di comunicazione pagati con i soldi del gruppo. Tra loro c’era una donna in particolare, Silvia Virgulti (l’attuale compagna di Luigi Di Maio, ndr), che divenne presto una vera potenza all’interno del movimento. Fu lei a formare alcuni “prescelti” e fu sotto la sua direzione che i vari Di Battista, Toninelli, Taverna e lo stesso Di Maio – con cui inizierà una relazione – hanno svolto corsi di public speaking per affrontare al meglio le partecipazioni televisive.  Cura personalmente la maggior parte dei testi (lei e non Rocco Casalino, che altrimenti farebbe ancora più danni), sia per ciò che concerne gli interventi letti in aula che per tutte le uscite pubbliche. È una maestra nell’uso della parola ed è in grado di applicare i trend alla comunicazione politica. Nello staff della comunicazione è una figura apicale».

I personaggi più in vista del Movimento 5 Stelle sono dunque come gli attori di una compagnia teatrale che si esibiscono in un enorme palcoscenico mediatico e i criteri con cui questi attori vengono scelti sono gli stessi con cui si decidono i componenti della famiglia del Mulino Bianco. Un palcoscenico ripreso dalle dirette Facebook e da tutti i media tradizionali. I testi recitati sono scritti da esperti comunicatori seguendo i trend, lo scopo è quello di mettere in cattiva luce gli avversari politici – soprattutto quelli che sono al governo, quindi il Partito Democratico e i suoi esponenti nazionali e locali – per far crescere il consenso. «Ogni argomento può essere strumentalizzato per un uso politico, dalla flessione dei consumi per le vacanze di Pasqua fino al terremoto. Ciò che non manca è un certo “coraggio”, perché ci vuole davvero del coraggio a dire certe sciocchezze, soprattutto su fatti drammatici». Tuttavia, in più di un’occasione si è dovuto correggere il tiro. «Ricordo di una figuraccia che fece Carlo Sibilia quando fu mandato ospite a “La Gabbia”. Il giorno dopo ho sentito Casalino dire: “questo qui non lo mandiamo più da nessuna parte”. Poi gli hanno dato un ruolo di responsabilità interno (responsabile scuola e università, ndr) per premiare la sua condotta “allineata”. Il metodo è lo stesso dei vecchi partiti: si premia la fedeltà e non le competenze».
Fuori dal “cerchio magico”, regna ormai il silenzio. I dissidenti sono sempre meno e anche quelli che vorrebbero dire la loro su determinate questioni più o meno centrali preferiscono la via del silenzio. «Probabilmente gli ultimi “ribelli” siamo stati noi. Chi si mette a dissentire in un partito che è stimato al 30% dove la visibilità dei singoli è gestita da poche persone che decidono tutto? Come dicevo, chi non ha particolari capacità e sa di essere un “miracolato” sceglie di accettare tutto per garantirsi la ricandidatura. Se hai una testa, non riesci a star zitto rispetto a certe cose, a meno che tu non ti sia venduto per un posto. Ci sono poi gli egocentrici, quelli che non rinuncerebbero mai alla loro visibilità e si adattano a tutto pur di non perderla. A molti non vedere i problemi fa persino comodo, perché l’assenza di un dissenso provoca l’assenza di una sana competizione interna. Se ci fosse competizione interna, un Di Maio non sarebbe ai vertici».

Mara Mucci, pur non nascondendo disillusione e amarezza per ciò che è stato, sta cercando di portare a casa qualche risultato utilizzando questo ultimo scorcio di legislatura: «Vorrei chiudere alcune questioni aperte, a cominciare da alcuni provvedimenti che ho presentato per l’ammodernamento e la digitalizzazione del paese, e ottenere lo sblocco di un fondo per il turismo che è partito da un mio emendamento ma che ancora non è nelle disponibilità delle piccole imprese. Se potessi tornare indietro, affronterei sicuramente tutto con meno impulsività e organizzerei meglio la controffensiva al pensiero unico, ma anche per questo ci vuole esperienza. In generale, in politica è sempre difficile incidere e diventa impossibile se non fai parte di un gruppo. Avevo iniziato in un movimento che voleva portare il cambiamento con le decisioni dal basso, oggi in quel partito i parlamentari non possono neanche esprimersi liberalmente altrimenti devono pagare delle penali».

La democrazia si mantiene su equilibri sottili e fragili. La ricerca del “nuovo” che soppianta il “vecchio” è un fattore ciclico e quasi inevitabile, ma va mitigato per evitare che produca disastri.  Nel 1994, Silvio Berlusconi si presentò come il “il nuovo miracolo italiano”, Matteo Renzi ha fondato la sua ascesa politica sulla parola “rottamazione”. La Casaleggio Associati estremizza il concetto, presentando il Movimento 5 Stelle come “l’ultima speranza”. Mara Mucci – emiliana – sospira: «Sono le stesse parole che utilizzavano le propagande di regime del secolo scorso; la gente dovrebbe ricordarlo per non cadere negli stessi errori».

Armi di Migrazione di Massa

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La LEG di Gorizia ha curato l’edizione italiana del quanto mai attuale saggio di Kelly Greenhill pubblicato negli Stati Uniti nel 2010.

Fu Gheddafi a darne una dimostrazione nel 2004, quando ottenne la revoca delle sanzioni da parte dell’Unione Europea: la paura dell’immigrazione e dell’arrivo di masse di rifugiati poteva essere sfruttata come un’arma temibile, era sufficiente poter alimentare, manipolare e sfruttare il fenomeno migratorio. Questo libro è la prima ricerca sistematica secondo un metodo consolidato di comparative history che studia la teoria e la pratica di questo irrituale strumento di persuasione: sono passati in rassegna più di cinquanta casi dal 1953 al recente passato, con particolari approfondimenti dedicati a vicende paradigmatiche, da Cuba al Kossovo, da Haiti alla Corea.

Tesi dell’autrice è che i grandi numeri di rifugiati rappresentino una minaccia utilizzata da realtà politiche per perseguire propri obiettivi, a volte contro le democrazie liberali (particolarmente esposte nei confronti delle dinamiche migratorie) altre nei confronti di differenti regimi.

Greenhill1415

L’analisi rigorosa esplicata in queste pagine assume particolare rilevanza alla luce degli ultimi anni, che hanno visto esodi di proporzioni impensabili. Quali sono le dinamiche di un attacco basato sull’emigrazione? Come difendere allo stesso tempo le persone fatte fuggire dalle proprie terre e le nazioni che vedono in questi spostamenti una minaccia per sicurezza, identità e risorse? Ancora una volta, la conoscenza oltre le ideologie, per comprendere una guerra asimmetrica che sta scrivendo la storia del terzo millennio.

La recensione de Il Giornale

La recensione di Etnie

L’autrice

Kelly M. Greenhill is Associate Professor of Political Science and International Relations at Tufts University and Research Fellow at Harvard University’s Kennedy School of Government. She is the author of Weapons of Mass Migration: Forced Displacement, Coercion, and Foreign Policy and coeditor of Sex, Drugs, and Body Counts: The Politics of Numbers in Global Crime and Conflict, both from Cornell. She is also coeditor of The Use of Force: Military Power and International Politics, 8th edition.

 

Un brano dell’introduzione di Gianandrea Gaiani

Non è certo un caso che l’opera di Kelly M. Greenhill citi fin dalle prima pagine l’uso indiscriminato dei flussi migratori illegali da parte del regime libico di Muammar Gheddafi come esempio calzante dell’analisi esposta in questo affascinate e ancora attualissimo libro. A sette anni di distanza dalla prima edizione del volume non solo l’area mediterranea e in particolare la Libia risultano ancora al centro dei flussi migratori illeciti ma le valutazioni espresse circa l’impiego di tali masse umane come “arma” per perseguire obiettivi politici, economici o strategici risultano particolarmente idonee a fotografare la posizione dell’Europa.

La caduta del regime di Gheddafi, determinata dalla guerra del 2011 condotta da Stati Uniti, potenze europee, Nato e almeno un paio di monarchie sunnite del Golfo Persico, ha lasciato la Libia nel caos, in balìa di milizie e tribù (oltre 300) che rispondono attualmente ad ameno tre governi diversi e rivali tra loro.

Uno scenario prefigurato dall’Unione Africana che aveva tentato in ogni modo di indurre l’Occidente a desistere da quell’avventura militare paventando “una nuova Somalia” nel Mediterraneo.

La Libia oggi presenta quindi il contesto ideale per gestire i flussi migratori illegali con la differenza che non c’è più un dittatore o un governo a Tripoli con cui negoziare lo stop dei barconi in cambio di concessioni economiche come fece l’esecutivo guidato da Silvio Berlusconi con il Trattato di Amicizia firmato con Gheddafi nel 2008.

La differenza non è di poco conto. Anche il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha utilizzato in modo spregiudicato le masse di immigrati clandestini asiatici e di profughi di guerra siriani e iracheni presenti in Turchia per ricattare e punire l’Unione Europea aprendo la cosiddetta “rotta balcanica” e chiudendola (forse solo temporaneamente) in cambio di 6 miliardi di euro e dell’impegno della Ue a togliere l’obbligo del visto all’ingresso di cittadini turchi.

L’uso fatto da Erdogan dell’arma dei migranti è perfettamente calzante con quanto esposto dalla Greenhill: l’Europa è stata punita per non aver sostenuto con le armi il conflitto siriano alimentato dal 2012 da turchi e monarchie arabe del Golfo e viene ricattata per ottenere vantaggi economici. Il rifiuto europeo ad aprire le frontiere all’immigrazione turca (o agli stessi siriani a cui Erdogan ha promesso di dare la cittadinanza turca) consentirà alla Turchia di dare il via a nuovi flussi migratori mantenendo così la Ue sotto costante ricatto.

Cattura

Ankara ha quindi evidenziato con successo l’incapacità dell’Europa di respingere o gestire flussi così massicci da determinare il rischio che l’intera struttura della Ue imploda (il referendum che ha portato all’uscita di Londra dall’Unione avrebbe avuto successo senza l’emergenza migranti?). I flussi diretti alle isole greche sono stati gestiti dalla malavita con la diretta complicità delle istituzioni dal momento che, a differenza della Libia, la Turchia non è certo uno Stato fallito e la sua guardia costiera dispone di oltre 100 imbarcazioni.

L’emergenza ha messo in luce la fragilità della Ue, incapace di darsi regole comuni, di suddividere tra i 28 Stati il carico di migranti o di usare la propria forza militare ed economica per respingere le ondate di clandestini in Turchia varando misure di rappresaglia economica contro Ankara.

Del resto pare arbitrario anche definire tali flussi “emergenza” poiché l‘accoglienza indiscriminata praticata dall’Europa li rende costanti e continuativi e non legati a particolari eventi.

In termini strategici la gestione “militare” dei flussi migratori ha ridicolizzato un’Unione Europea il cui PIL è superiore a quello statunitense e che sostiene spese militari che nel 2016 hanno raggiunto i 213 miliardi di dollari (seconde nel mondo solo a quelle del Pentagono) ma che non esprime nessuna capacità di difendere i suoi confini e i suoi interessi.

Se la Ue avesse varato contro Ankara la metà delle sanzioni applicate alla Russia in seguito alla crisi in Ucraina probabilmente Erdogan sarebbe stato obbligato a cambiare atteggiamento anche se la Germania, che ha guidato a nome della Ue le trattative con la Turchia per l’accordo sullo stop ai flussi di migranti, temeva pesanti ripercussioni interne sulla nutrita comunità turca già in più occasioni dimostratasi fan di Erdogan e invitata dallo stesso presidente turco a “non integrarsi nella società tedesca”.

Un elemento che conferma il valore di “arma” dei flussi migratori, anche quelli legali come lo fu la migrazione turca in Germania negli ultimi decenni del secolo scorso.

“Le moschee sono le nostre caserme, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati” recitano i versi composti negli anni ’20 dal poeta turco Ziya Gokalp che Erdogan ama citare e che evocano la minaccia portata all’Europa dall’immigrazione islamica.

Una minaccia sostenuta dalle monarchie del Golfo Persico (soprattutto Qatar e Arabia Saudita) i cui massicci investimenti di petrodollari in Europa stanno finanziando moschee e centri culturali gestiti da imam salafiti, wahabiti e dei Fratelli Musulmani. Una penetrazione addirittura favorita dai governi europei che ai petrodollari stanno vendendo probabilmente non solo aziende, alberghi e squadre di calcio ma anche le coscienze.

 

Titolo Armi di immigrazione di massa. Deportazione, coercizione e politica estera
Autore Kelly M. Greenhill
Prefazione di Sergio Romano
Introduzione di Gianandrea Gaiani
tradotto da P. Faccia
Editore Libreria Editrice Goriziana, 2017
ISBN 8861023940, 9788861023949
Lunghezza 482 pagine

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L’Honda anomala – il libro inchiesta di Pietro Ratto

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Pietro Ratto è giornalista, autore di diversi libri, ha alle spalle un percorso professionale notevole. Ora si presenta ai lettori con un saggio ben documentato sul delitto di Aldo Moro, presidente della DC, personaggio centrale della politica italiana, riaprendo così una delle ferite più gravi della storia del nostro paese. Tanti i punti ancora oscuri di questa vicenda, troppi i depistaggi: una lettera anonima mai protocollata porta alla luce tutta una serie di intrecci inaspettati e drammatici. Servizi segreti, CIA, politica americana fanno intuire che dietro alla strage di via Fani ci sia un complotto internazionale. Qualcosa che va oltre ciò che si conosce ed è stato detto. L’autore è in grado di affrontare con competenza l’argomento, entra preparato elencando fatti e citando personaggi veri, riuscendo a rievocare segreti, domande senza risposte certe, e lo fa utilizzando un linguaggio semplice adatto a tutte le tipologie di lettore, garantendo una fluidità narrativa, un ritmo che avvolge e che crea curiosità in chi si avvicina a queste pagine. Un ispettore cerca di sbrogliare la fitta trama per arrivare alla verità: da quel 9 maggio 1978 l’uccisione di Moro è ancora oggi un mistero oscuro, un mosaico da ricomporre. Ratto con una attenta analisi e approfondita ricerca, ci accompagna a riflettere, a non dimenticare una delle vicende più torbide del nostro tempo, consapevole che quella Honda ‘anomala’ è uno degli infiniti tasselli da chiarire tra le molteplici contraddizioni.

Il libro

Dicembre 2010, Questura di Torino. Un ispettore della Digos scopre, tra i documenti in possesso del suo sovrintendente, una lettera anonima mai vista prima. Poche righe su un foglietto che alludono a responsabilità quanto meno scomode, e che delineano scenari davvero inquietanti, relativamente alla Strage di via Fani. L’ispettore Rossi decide di vederci chiaro e di cominciare a indagare, senza lasciarsi spaventare dalle prevedibili difficoltà che lo attendono. Riportando così sotto i riflettori una pista troppo spesso lasciata in ombra da Procure, Commissioni parlamentari e mass media. E regalando al lettore una nuova occasione per riflettere sugli innumerevoli retroscena di quella tragica mattina del 16 marzo 1978. Un saggio “raccontato”, che si legge tutto d’un fiato e che intreccia le avventurose fasi dell’indagine dell’ispettore, con l’accattivante rassegna di alcuni dei molti fatti e dei moltissimi dubbi, relativi all’agguato Moro.

L’autore

Pietro Ratto è saggista, giornalista e scrittore. Laureato in Filosofia e Informatica, è professore di Filosofia, Storia e Psicologia. Ha vinto diversi premi letterari di Narrativa e Giornalismo. Oltre a questo libro, ha pubblicato La Passeggiata al tramonto. Vita e scritti di Immanuel Kant (2014), Le pagine strappate (2014), I Rothschild e gli Altri (2015), Il Gioco dell’Oca (2015) e BoscoCeduo (2017). Da parecchi anni amministra il sito “BoscoCeduo.it” (www.boscoceduo.it) – che raccoglie molte delle sue riflessioni filosofiche – nonché l’Archivio di ricerca contro-storica “IN-CONTRO/STORIA” (www.incontrostoria.it).

L’Honda anomala, di Pietro Ratto, Bibliotheka Edizioni

Articolo tratto dal LINK

Brexit, ex governatore della Banca d’Inghilterra King: “Londra sia pronta a uscire dall’Ue anche senza accordo”

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Articolo tratto da IL FATTO QUOTIDIANO del 9 aprile 2017

Per l’ex banchiere centrale uscire dall’euro “è una decisione politica: dipende quanta disoccupazione la gente è disposta ad accettare e per quanto tempo. Ma se continuiamo così ci sarà presto un’altra crisi come quella del 2010 e 2011”

A 69 anni Mervyn King, che ha guidato la Banca d’Inghilterra dal 2003 al 2013, attraverso la crisi finanziaria, è libero di rimettere in discussione le fondamenta stesse dell’economia. Come nel libro La fine dell’alchimia – il futuro dell’economia globale, che esce ora in Italia per il Saggiatore.

Professor King, la premier Theresa May ha avviato l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione. Alla fine ci sarà un buon accordo per gli inglesi?
Non lo sappiamo. Il tema principale del libro è che governi e banche hanno fatto l’errore di pensare di poter predire il futuro mentre dobbiamo rassegnarci a una incertezza radicale. Nessuno, 10 anni fa, poteva immaginare che il tema della Brexit avrebbe dominato l’agenda, così come nel resto d’Europa nessuno si aspettava che la libertà di movimento delle persone sarebbe stata messa in crisi da una migrazione di massa verso l’Ue. Non sappiamo come i negoziati procederanno. Molti dei soggetti coinvolti hanno una loro agenda personale e quindi potrebbe non essere saggio presupporre che tutti, collettivamente, si comporteranno in modo razionale.

E quindi?
La Gran Bretagna deve essere pronta a uscire dall’Unione anche senza aver raggiunto alcun accordo. Ma non credo che sia un problema drammatico, potremo comunque commerciare con il resto dei Paesi dell’Ue sulla base delle regole del Wto. E nei confronti di Usa e Cina saremmo alla pari con l’Ue, visto che non esistono accordi commerciali europei con loro. Se diventa chiaro al resto dell’Europa che siamo pronti ad andarcene anche senza accordi, tutti capiranno che è interesse comune avere almeno un’intesa sul commercio di prodotti industriali.

E’ il dilemma del prigioniero: chi farà la prima mossa?
Esatto, dobbiamo prepararci a due anni di grande confusione, con politici e giornali che annunceranno spesso l’imminente collasso del negoziato. Ma su entrambi i fronti penso ci sia una certa determinazione ad avere almeno un accordo sul commercio. Ma ciascuna delle due parti deve avere ben chiaro quali sono i paletti dell’altra: la Gran Bretagna non è disposta a rendere la propria politica di immigrazione parte del negoziato, e la minaccia da parte europea di ricorsi alla Corte di Giustizia non è reale perché dopo la Brexit non avrà più autorità.

E se Londra esce senza accordo non avrà pesanti ricadute economiche, visto che da un giorno all’altro verrà disapplicata tutta la normativa di origina europea?
Dovremo fare un po’ più di formalità alla dogana, qualche modulo aggiuntivo. Ma nessun dramma. La Francia non ha alcun accordo doganale o di libero scambio con gli Usa, eppure mi sembra che riescano bene a commerciare. E all’aeroporto adatteremo le macchine per lo scan dei passaporti a leggere anche quelli europei. Fra 50 anni chi guarderà l’andamento del Pil inglese negli ultimi decenni, non sarà in grado di capire dalla curva il momento della Brexit.

Ma è stata una scelta razionale o emotiva quella degli inglesi al referendum del 23 giugno?
E’ stata la peggiore campagna politica della mia vita. Nessuno dei due campi era disposto a concedere qualcosa all’altro, ma entrambi avevano molti argomenti razionali. Il governo ha  fatto un terribile errore a esagerare le conseguenze del leave e sostenere che ogni famiglia avrebbe perso 4300 sterline. Come potevano saperlo? Nessuno era in grado di prevederlo, è un salto nell’ignoto. Non possiamo neanche sapere come sarà l’Ue tra 4-5 anni, potrebbe anche assomigliare molto al tipo di Ue che andrebbe bene agli inglesi. Ma potrebbe anche evolversi verso l’unione politica, e allora sarebbe stato razionale per la Gran Bretagna andarsene prima.

Come si spiega questo aumento di ostilità verso l’Europa da parte degli inglesi?
I politici hanno sempre sostenuto che non avremmo perso sovranità unendoci all’Ue e questo si è rivelato completamente falso. Avrebbero dovuto dire che in alcune aree condividevamo sovranità perché questo era nel nostro interesse nazionale. Negare la questione quando il 60 per cento di tutta la legislazione è europeo e quando la legge europea vale come precedente nel diritto inglese, è assurdo. La gente si chiede: se siamo la quinta economia del mondo, perché il nostro Parlamento non può fare da solo le sue leggi? Il governo ha sostenuto per anni che avrebbe controllato l’immigrazione, ma non è successo. La società è cambiata in una direzione che i politici avevano escluso, per questo le persone hanno perso fiducia.

Non crede che condividere sovranità sia talvolta il modo di preservarla? Gestire l’immigrazione da soli, per esempio, non sembra fattibile.
Quando è stata introdotta la libertà di movimento sembrava un’ottima idea. Potevi trasferirti e vivere in un altro Paese e continuare a svolgere la tua professione di dottore o di professore. Ma nessuno aveva immaginato il problema che stiamo affrontando ora: migrazioni su larga scala da Africa, Medio Oriente e Asia. L’idea originale della libertà di movimento era tra Francia e Germania e Italia o Gran Bretagna, nessuno pensava a migranti con altre lingue, culture, o al terrorismo islamico.

E’ sensato cercare di riappropriarsi della sovranità sulla moneta per i Paesi dell’Eurozona?
Sul commercio è sensato condividere la sovranità, anche se i governi non sono mai stati molto bravi a spiegarlo perché si muovevano con una logica politica e non economica. La Gran Bretagna non ha mai condiviso la logica politica dell’integrazione – “ever closer union” – ma è sempre stata consapevole dei benefici che derivano dal libero commercio, con un convergenza su standard tecnici, qualità ecc. E’ molto meno chiaro se la condivisione di sovranità può portare gli stessi benefici con una unione monetaria, che probabilmente è stata prematura. Il mio libro spiega che è stata una enorme scommessa: non c’era convergenza nelle aspettative di inflazione quando, nel 1999, si è deciso di fissare lo stesso tasso di interesse in tutti i Paesi dell’eurozona.

Con quali conseguenze?
L’aggiustamento del tasso di interesse reale, cioè tasso di interesse meno inflazione o aspettative di inflazione, è stato troppo lento in Paesi come Spagna e Italia e troppo alto in Germania o Olanda. L’economia è cresciuta troppo in Italia e Spagna, con bolle immobiliari. E i Paesi alla periferia hanno perso competitività molto in fretta ed è difficile recuperarla: l’unico modo per ridurre i salari è stato creando disoccupazione e questo è quello che è successo. La disoccupazione in Spagna è incredibilmente alta, anche in Italia è tuttora sopra il 10 per cento. Mentre in Uk o Usa dove hanno la loro moneta, è sotto il cinque per cento. La domanda è se è il costo è politicamente sostenibile.

Quindi dobbiamo rischiare l’azzardo di uscire dall’euro?
E’ una decisione politica: dipende quanta disoccupazione la gente è disposta ad accettare e per quanto tempo. Ma se continuiamo così ci sarà presto un’altra crisi come quella del 2010 e 2011. Se un Paese lascerà l’euro non sarà piacevole, ma non sarà neppure un disastro: va confrontato con l’alternativa, e se è un altro decennio di bassa crescita e alta disoccupazione… Certo, ci sarebbe un periodo di caos, almeno in apparenza, ma nel giro di un paio di anni l’economia fuori dall’euro tornerebbe a crescere rapidamente.

Che soluzioni suggerisce?
I leader dovrebbero andarsene da qualche parte per un weekend, senza giornalisti e senza comunicati, e discutere sulle quattro opzioni che hanno davanti, di cui parlo nel libro: 1) continuare così con alta disoccupazione nei Paesi periferici in eterno 2) accettare l’inflazione in Germania 3) Germania e Olanda pagano per gli altri 4) rompere l’euro. Una combinazione di queste opzioni è inevitabile, continuare come se niente fosse è impossibile.

La Bce ha tenuto insieme l’euro e il sistema finanziario, applicando ricette politiche basate sulle idee che lei nel libro mette in discussione.
Non aveva altra scelta. Dopo aver creato la moneta unica si è scoperto che la convergenza auspicata non si è mai verificata, ma non è possibile ora ricominciare da capo, aggiustando con una svalutazione una tantum i tassi di cambio tra i vari Paesi e poi tornando nell’unione monetaria. E’ una possibilità ma molto rischiosa. Ma l’unica cosa che permette ai Paesi periferici di continuare a finanziarsi è avere bassa crescita e alta disoccupazione: importante così poco che non c’è alcun deficit delle partite correnti da finanziare. Ma se questi Paesi tornassero alla piena occupazione, si troverebbero con un deficit commerciale crescente senza avere alcuna possibilità di finanziarlo perché i mercati non avrebbero alcun incentivo a finanziare chi si trova ad aver bisogno costante di prestiti perché non ha la possibilità di aggiustare il tasso di cambio per compensare lo squilibrio.

L’Italia però continua a trovare finanziamenti, con bilanci in deficit, anche se continua ad accumulare debito.
Questo succede perché i mercati sanno che non stanno finanziando davvero voi, ma la Germania, la Bce e tutta l’Unione monetaria. E questo è un problema: c’è un’incoerenza tra questo tipo di aspettative e quelle dominanti in Germania.

Il tasso di interesse reale per i tedeschi è troppo basso e questo gonfia la loro competitività, generando enormi surplus commerciali. Ma avranno uno shock quando dovranno prendere atto che nessuno può ripagare loro i soldi investiti all’estero. Non riavranno mai i loro soldi e a un certo punto dovranno svalutare questo “attivo”. Prima o poi capiranno che non sono così ricchi come credono e che non hanno grandi vantaggi da essere così competitivi. E a un certo punto il tasso di interesse reale dovrà salire, o perché escono dall’euro, o perché arriva l’inflazione in Germania, o perché un altro Paese diventa più competitivo. Nel lungo periodo, la loro posizione è insostenibile.

Ma chi paga le ONG per riempirci di immigrati?

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Le organizzazioni che aiutano gli scafisti tra Libia e Sicilia sono tedesche o americane con base a Malta. Tra i loro fondatori, gente dell’intelligence e contractor. Dopo le denunce si muove il Senato.

Milano 1 Aprile – Il 6 aprile inizieranno le audizioni della commissione Difesa del Senato che, dopo denunce giunte da più parti, ha deciso di aprire un’indagine sulle ong che operano nel Mediterraneo. Sono le organizzazioni che vanno a recuperare gli immigrati nei pressi delle coste libiche e poi li portano in Italia. Molte sono tedesche, gestite da privati. Altre fanno base a Malta, ma sono state fondate da americani. Altre ancora ricevono finanziamenti dalla fondazione Open Society del finanziere George Soros. Ecco, nome per nome, da chi è composta la flotta che giorno dopo giorno ci consegna centinaia di persone, trasformando l’invasione in realtà.
Alle 2.15 di domenica, una nave di Medici Senza Frontiere ha ricevuto una segnalazione dal Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo, si è diretta in acque internazionali di fronte alla città libica di Sabratha e ha recuperato 412 persone alla deriva a bordo di un barcone di legno. La nave in questione si chiama Prudence ed è un nuovo acquisto di Msf, una delle Ong più attive nel Mediterraneo. «La Prudence è una nave commerciale di 75 metri di lunghezza, che può ospitare a bordo 600 persone e altre 400 in caso di estrema necessità», ha spiegato Giorgia Girometti di Msf. «Con 13 persone dello staff a bordo, tra cui diversi italiani e 17 membri dell’equipaggio, la nave è equipaggiata per fornire primo soccorso ed è dotata di pronto soccorso, ambulatorio, farmacia e aree per trattare i casi più vulnerabili». Sempre domenica, la Ong ha recuperato altre 129 persone a bordo di un gommone. Dove si è diretta, poi? Verso l’Italia: lo sbarco era previsto per le 7 di ieri mattina a Trapani.

SOCCORSI QUOTIDIANI

La nave Aquarius

Ieri, invece, come riportato dall’Ansa, «è arrivata nel porto di Reggio Calabria la nave Aquarius di Medici senza frontiere con a bordo 645 degli oltre 1.900 profughi recuperati nel Mediterraneo centrale.

Sulla nave anche il cadavere di una donna, morta, presumibilmente, per schiacciamento nel gommone sul quale viaggiava». Si tratta delle stessa nave Aquarius che, domenica, assieme alla Juventa della Ong Jugend Rettet, ha soccorso e portato in Italia 645 persone. Sempre l’Aquarius, il 21 marzo scorso, ha attraccato a Catania portando 946 stranieri. Sapete che cosa significa? Che nonostante le ripetute denunce di Frontex (l’agenzia Ue che controlla le frontiere), le inchieste giornalistiche (compresa la nostra) e l’indagine aperta dalla Procura di Catania, le organizzazioni non governative continuano indisturbate a fare quel che vogliono nel Mediterraneo. Per l’esattezza, vanno a recuperare gli immigrati alla deriva sui barconi nei pressi della Libia e li portano a centinaia e centinaia sulle coste italiane. Parlare genericamente di Ong, tuttavia, può risultare fuorviante. Nel senso che sotto la generica sigletta potrebbe esserci qualunque cosa.

PROFESSIONE TAXI

Invece è bene andare a vedere quali sono, nello specifico, le associazioni che si occupano di traghettare qui gli stranieri. Cominciamo dalle più piccine. La prima è Jugend Rettet, associazione tedesca che appunto gestisce la nave Juventa. Sempre tedesca è la Ong che possiede la nave SeaEye. Attiva dal 2015, nel solo 2016 ha portato in salvo (cioè in Italia) 5.568 stranieri. Il sito Internet spiega che donando appena 1.000 euro si può finanziarie una intera «giornata di utilizzo della SeaEye al largo della Libia». Lo scrivono pure: lavorano nei pressi delle coste africane per portare gente qui. Un’altra organizzazione tedesca, sempre fondata e pagata da privati è Sea-Watch, che nasce esattamente quando il nostro Paese ha deciso di sospendere Mare Nostrum. Certo, temendo che le nostre navi smettessero di portare immigrati in Italia, questi volonterosi imprenditori tedeschi si sono subito mobilitati e si sono fatti la loro barchetta, onde essere sicuri che i flussi diretti verso il nostro Paese non cessassero. Come se non bastasse ecco qui Life Boat, altra Ong attiva nel Mediterraneo centrale e nata in Germania. E fanno quattro, tutte tedesche. Ma vediamo di proseguire, occupandoci delle organizzazioni più grosse. Tra queste, ovviamente, c’è Medici senza frontiere, che oltre alla nave Prudence armena entrata in attività gestisce, assieme a Sos

George Soros

Méditerranée gestisce la Aquarius. Sapete chi c’è tra i finanziatori di Msf? Facile: la Open Society Foundation di George Soros.

FRONTIERE APERTE
Un’altra Ong attiva nel salvataggio degli stranieri a bordo di bagnarole è Save the children, grazie alla nave Vos Hestia, che la Ong descrive orgogliosamente: «Lunga 59 metri, potrà accogliere fino a 300 persone per volta e si avvarrà di due gommoni di salvataggio gestiti da squadre specializzate». Indovinate chi c’è tra i finanziatori di Save the children… Bravi: la Open Society Foundation di George Soros. Sarà un caso che il magnate della finanza, grande sostenitore delle frontiere aperte, finanzi organizzazioni che vanno a recuperare gli stranieri vicino alle coste africane per portarli qui? Diciamo che la circostanza è perlomeno curiosa. Ora però viene la parte più interessante. A parte la Ong olandese Boat Refugee Foundation, che gestisce l’attivissima nave Golfo Azzurro, e la spagnola Proactiva Open Arms, che si appoggia alle Nazioni Unite tramite l’International maritime rescue federation, c’è un’altra organizzazione su cui vale la pena soffermarsi. Si tratta del Moas, che gestisce le navi Topaz e Phoenix.

AMICI MALTESI
Si tratta di Migrant Offshore Aid Station, una associazione con sede a Malta, fondata da Christopher e Regina Catrambone (lui americano, lei italiana, entrambi imprenditori). Christopher è stato tra i finanziatori di Hillary Clinton (donazione di 416.000 dollari per la campagna presidenziale). A sua volta, ha ricevuto 500.000 dollari di donazione da Avaaz.org, cioè una «comunità» fondata dall’organizzazione Moveon.org. E sapete a chi fa capo quest’ultima? A George Soros. Fin qui,tuttavia,è ordinaria amministrazione. Più stimolante è vedere chi siano i personaggi che ruotano attorno al Moas.

GIOVANE DI SUCCESSO

Chris Catrambrone

Chris Catrambrone, come ricostruito dai ricercatori della fondazione indipendente Gefira, ha lavorato per il Congresso degli Stati Uniti, dopo di che si è reinventato come investigatore assicurativo, lavorando in posticini tranquilli come Iraq e Afghanistan. A 25 anni ha fondato Tangiers Group, gruppo di compagnie specializzato in «assicurazioni, assistenza in situazioni d’emergenza» e «servizi di intelligence». Tangiers lavora in una cin-quantina di Paesi, zone di guerra comprese. Deve fruttare bene, perché Catrambone è diventato milionario e ha deciso, nel 2013, di fondare il Moas. Tra i suoi consulenti c’è un signore piuttosto conosciuto. Si tratta di Robert Young Pelton. Costui è il proprietario di Dpx, un’azienda che produce coltelli utilizzabili in «zone di conflitto». Coltelli da guerra, per intendersi.

OTTIMI RAPPORTI
Sul sito della ditta si legge che i coltellacci sono stati testati sul campo in Afghanistan, Somalia, Iraq e Birmania. Il signor Pelton, in sostanza, fa da consulente per un’organizzazione che si occupa di soccorrere persone in fuga dalle guerre; poi però produce coltelli che si possono usare nelle guerre suddette. Di più: Pelton (che lavora anche come giornalista freelance per il sito da lui fondato Migrant Report) per un certo periodo è stato socio in affari di un altro bel tipetto: Erik Prince. Cioè il capoccia di Blackwater, una delle più celebri società di contractors al mondo. Una blackwater-xe-academi-logoscompagnia militare privata che ha operato in Iraq per conto degli Stati Uniti. Insomma, il quadro non è che sia proprio incoraggiante. Tra le Ong che agiscono nelle nostre acque, praticamente tutte straniere, ce ne sono quattro tedesche, tre in qualche modo supportate da George Soros e una con sede a Malta attorno a cui ruotano personaggi piuttosto abituati agli scenari di guerra. Non è che l’impressione sia esattamente quella di aver a che fare con una banda di samaritani.

L’AUDIZIONE
Abbiamo spiegato nei giorni scorsi come l’immigrazione possa essere considerata a tutti gli effetti una arma di distruzione di massa. Ecco, queste sono le persone che maneggiano quell’arma, decidendo di puntarla verso il nostro Paese. Ogni giorno, costoro accompagnano qui da noi centinaia se non migliaia di stranieri, che poi dobbiamo accogliere e mantenere. Credete davvero che a muovere tutto questo meccanismo sia la solidarietà? Comunque sia, della pratica si sta occupando anche il nostro Parlamento. Pochi giorni orsono, su richiesta di Maurizio Gasparri, Paolo Romani e Bruno Alicata di Forza Italia, il presidente della commissione Difesa del Senato Nicola Latorre ha deciso di avviare un’indagine conoscitiva sulle attività delle Ong nel Mediterraneo. Il 6 aprile di fronte alla commissione comparirà l’ammiraglio Enrico Credendino, comandante della missione Eunavfor Med, cioè l’operazione navale voluta dall’Europa nel Mare Nostrum. Poi dovrebbe toccare ai vertici delle varie organizzazioni. Resta da vedere se si prenderanno la briga di rendere conto al popolo italiano. Non sono tenute a farlo, ma sarebbe almeno cortese, da parte loro, che ci spiegassero perché continuano a portarci persone che poi dobbiamo ospitare a spese dei contribuenti.


Francesco Borgonovo (La Verità)

Colomban, l’assessore a 5 stelle faceva politica con la DC

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Aveva rischiato di diventare consigliere regionale del Veneto con la Democrazia Cristiana. A distanza di sei anni si ritroverà ad essere assessore nella giunta capitolina a 5 Stelle. Sono i casi della vita, che sa come ripagare dal dolore delle delusioni e che spesso può essere decisamente fortunata come quella di Massiminino “Massimo” Colomban, imprenditore di successo, classe 1949, che proprio in queste ore potrebbe essere “incoronato” assessore alle partecipate nella giunta di Virginia Raggi, nonostante un passato politico non decisamente in linea con linea con i precetti del Movimento.

Ad entrare attivamente in politica, infatti, il fondatore della società Permasteelisa, leader a livello mondiale nella progettazione, produzione e messa in opera di involucri architettonici, ci aveva già provato nel 2010 fra le fila di “Alleanza di Centro – Democrazia Cristiana”, il partito lanciato dal giornalista Francesco Pionati che nel Veneto sosteneva il governatore Luca Zaia (che già si è congratulato con il neo assessore), insieme alla Lega Nord e a Forza Italia.

Nella provincia di Treviso, grazie ai 1.159 voti ottenuti, Colomban risultò essere il candidato più votato del suo partito, ma il basso risultato ottenuto dalla sua lista (1,02%) non gli permise tuttavia di entrare in consiglio regionale.

Messo in soffitta lo scudo crociato, la folgorazione per Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio arrivò solo in un secondo momento, ma a quanto pare quello giusto. D’altronde, soprattutto nella composizione della giunta, per Virginia Raggi il passato politico degli assessori non ha mai costituito un problema. Da Paolo Berdini a Luca Bergamo, fino a Paola Muraro, sono in molti all’interno della squadra a vantare trascorsi distanti anni luce da quelli del Movimento 5 Stelle.

E tra loro, da oggi, oltre a Colomban, ci sarà anche Andrea Mazzillo, a cui dovrebbe essere affidata la delega più pesante, quella al bilancio, lasciata vuota dall’ex assessore Marcello Minenna. Mazzillo, esperto di finanza locale e mandatario della campagna elettorale della Raggi, nel 2006 si candidò nel municipio di Ostia nella lista civica che sosteneva l’ex sindaco Walter Veltroni e l’anno successivo appoggiò l’ex sindaco e Nicola Zingaretti anche nella corsa per la segreteria del partito. Ma guai a definirlo del Pd: qualcuno potrebbe anche offendersi.

colomban

Pillole di verità dal mainstream

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[pullquote]…..Come abbiamo fatto notare più volte, le analisi che l’area antieuro  proponeva anni fa sono ormai diventate mainstream. Un esempio è questo articolo sul Corriere…..[/pullquote]

Dal sempre sintetico ma ottimo blog www.badiale-tringali.it > Come abbiamo fatto notare più volte, le analisi che l’area antieuro  proponeva anni fa sono ormai diventate mainstream. Un esempio è questo articolo sul Corriere, di Federico Fubini:

http://www.corriere.it/cultura/16_settembre_25/surplus-commerciale-tedesco-ea7b56b6-8286-11e6-8b8a-358967193929.shtml

Il passaggio più interessante è quello in cui Fubini dice che l’euro è una moneta sottovalutata per la Germania e sopravvalutata per Italia e Francia, ma aggiunge che “la soluzione non può essere la rottura dell’euro”. E allora quale mai sarà la soluzione? Fubini non lo dice, perché ovviamente non c’è nessun’altra soluzione, almeno nessuna politicamente praticabile nelle condizioni date.

Intanto, in attesa che qualcuno trovi la soluzione alternativa che Fubini non sa indicare, la situazione continua a peggiorare:

http://www.corriere.it/economia/16_settembre_24/crescita-dimezzata-vincoli-ue-337a00b4-8297-11e6-8b8a-358967193929.shtml