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Le mail tra attivisti nel 2009 al tempo delle liste civiche

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Di seguito uno scambio di battute sul voto “online” durante il 2009, ultimo anno delle “liste civiche a 5 stelle” prima del debutto, alle regionali 2010, del M5S col logo e nome attuale.

Si discuteva di voto online, sullo scetticismo che c’era allora come oggi, sul fatto che il movimento aveva un sano attivismo ma anche un buon grado di retorica e di ideologia e di miti come quello della tecnologia, della diversità antropologica.

Si dicevano anche cosa del tipo… “Spesso quando si va a fondo su un argomento, si scopre di avere un gap ideologico. Questo del voto on-line è un esempio. Ma si vede la stessa cosa sulle materie che si conoscono come, per esempio, sul rapporto tra tecnologia ed efficienza energetica”.

Quindi… scriveva Giovanni:
Premetto che non è polemica, ma solo una osservazione. Tanti buoni propositi ma poi nella pratica si sono ripercorsi gli stessi schemi. Mi riferisco alla modalità di selezione dei candidati, alla scelta dei candidati a Sindaco ed alla composizione del progamma. Per le notizie che ho letto in rete, nessuno a usato il metodo delle primarie aperte per la scelta del candidato sindaco. Le motivazioni di questa scelta sono state qusi tutte identiche: paura. Paura di infiltrati, paura di perdere il controllo, paura del confronto aperto, paura della forza delle nostre idee. Ovvero paura che un confronto troppo aperto avrebbe potuto modificare gli “equilibri”.

Risponde Vittorio: La questione è molto importante, dunque vorrei chiarire meglio alcune cose. Premetto (sperando che non venga preso come un segno di presunzione) che io ho una competenza specifica piuttosto sviluppata sull’argomento  “democrazia web” (per usare il nome che ha usato Beppe) da ben prima di  entrare nel mondo dei meetup. Ancora durante gli studi universitari, ho  cominciato a partecipare alle discussioni globali sulla gestione di  Internet e poi sulla creazione di metodi democratici per il governo della globalizzazione e delle risorse comuni mondiali. Grazie a questo – dato che all’estero, se vali, ti riconoscono – ho cominciato a venire invitato a conferenze di vario genere, inclusi i summit delle Nazioni Unite sul tema, e sono stato nominato in varie posizioni di rilievo. Tra le altre cose, nel 2004 Kofi Annan mi ha nominato nel gruppo di lavoro che ha definito le strategie delle Nazioni Unite per la governance di  Internet (l’altro nome italiano che circolava era l’allora ministro Stanca, ma lui non lo vollero).

In particolare, nel 2000 sono stato uno dei candidati delle elezioni At Large di ICANN, ossia il primo esperimento di elezioni mondiali online per scegliere un certo numero di rappresentanti degli utenti della rete all’interno degli organismi che la governano. Furono una specie di primarie: chiunque poteva registrarsi online per votare (lo fecero in oltre 150.000 da tutto il mondo) e scegliere tra circa 200 candidati autonominatisi. Fu un esperimento bellissimo, ma anche un grande fallimento, tanto che non venne più ripetuto e che poi per vari anni discutemmo su opzioni alternative basate su un certo numero di livelli intermedi (tenete conto che a livello globale ci sono grossi problemi aggiuntivi derivanti dalle differenze linguistiche e culturali e dal digital divide). Perchè?

Per riassumere, il problema fondamentale è che per avere una elezione  democratica e significativa non basta dare un voto a ogni testa e ammettere chiunque come candidato. Ci sono altre condizioni: una è che l’elettorato partecipante sia effettivamente rappresentativo di chi ha il diritto di voto, mentre con numeri di partecipanti troppo ridotti prevale semplicemente chi è in grado di “mobilitare gli amici”. In quel caso, un po’ ovunque ma specialmente in Asia per via della loro cultura naturalmente gerarchica, i governi locali dei vari Paesi scelsero un “candidato ufficiale” e poi organizzarono campagne di stampa e persino concorsi a premi per convincere la gente a registrarsi e a votare per lui, senza nemmeno sapere esattamente per cosa si stesse votando; e naturalmente fu eletto il candidato ufficiale del governo cinese.

Un’altra condizione è che esista una informazione imparziale ma ben organizzata, o comunque qualche metodo per assicurare le persone sulle idee effettive dei vari candidati in un tempo ragionevole. Nelle primarie europee c’erano qualcosa come 50.000 elettori e quasi 100 candidati: solo pochissimi elettori molto motivati si presero la briga di leggere uno per uno i programmi dei 100 candidati; la maggior parte votò per quelli che stavano nella prima schermata o per il primo che trovava che veniva dalla propria nazione… Paradossalmente, l’esistenza di raggruppamenti (“liste” o “partiti”) o un limite al numero di candidati avrebbe aiutato molto, perché avrebbe ridotto il numero di opzioni da considerare e permesso agli elettori di fare una scelta razionale.

Infine ci furono problemi con la certificazione delle identità dei votanti; online è possibile crearsi un numero qualsiasi di false identità e con esse costruirsi pacchetti di voti per alterare il risultato. In quel caso si scelse il metodo della lettera: per verificare l’effettiva esistenza della persona che si era registrata online, si inviava una lettera con la password all’indirizzo fisico fornito. E’ un buon metodo, anche se presenta dei costi, ma anche così
sono possibili brogli di ogni genere… Non parliamo poi se (come sembrava ipotizzare Beppe) si adottasse la sola registrazione online con indirizzo di e-mail…

Dopodiché, il dopo fu anche peggio; le persone elette con questo sistema non avevano alcun legame con i loro elettori e si fecero sostanzialmente i fatti propri; al massimo avrebbero avuto interesse ad assumere posizioni demagogiche davanti a una “massa” indistinta, ma non avevano alcun rapporto diretto con rappresentanti di altro tipo (come le associazioni di utenti più piccole) o persone con il tempo e la voglia di stargli dietro.

Spero che questo vi abbia spiegato il perché della mia reazione un po’ allarmata, leggendo un annuncio dal quale traspare la possibilità che Beppe e i Casaleggio, per troppo entusiasmo verso il mezzo, facciano gli stessi errori che furono fatti a livello mondiale dieci anni fa e che ormai sono noti e studiati anche scientificamente. Io sono pienamente convinto che la democrazia diretta tramite Internet sia un obiettivo meraviglioso, ma attenzione, non è tutto oro quel che luccica; se la si fa in modo incauto, il risultato può essere anche peggiore di quello ottenibile con i vecchi sistemi.

Per questo non mi scandalizza che non si facciano tante primarie nel movimento (poi l’altro giorno le ho proposte io alla rete piemontese, anche se mi han subito cassato). Si possono fare primarie efficaci nel momento in cui si dispone di una base forte, certificata e identificata con sicurezza, informata, partecipe, conscia di ciò che si sta facendo e dell’effettivo valore delle varie opzioni in gioco (in questo l’idea di Beppe è buona, ma ci vorranno anni e varie azioni specifiche per assicurarsi che tutte queste condizioni siano verificate).

Una primaria giocattolo, con 50-100 votanti registrati un po’ a caso tra chi passa dal meetup, rischia di essere dannosissima, aperta a manipolazioni di ogni genere, non rappresentativa dei cittadini o foriera di un risultato sostanzialmente casuale – per non parlare del fatto che siamo tutti volontari e che un candidato molto popolare ma sgradito a quel gruppetto di attivisti che poi si deve fare il mazzo volontariamente in campagna elettorale difficilmente avrà successo, più facilmente provocherà spaccature e delusione e scarsi risultati per mancanza di convinzione tra gli attivi. A quel punto è meglio un candidato scelto dal gruppo che lavora, preparandosi poi ad allargare le cose per il futuro.

Io sarei ben contento di condividere le mie conoscenze in materia col resto del movimento e con lo staff di Beppe, ma non c’è stato assolutamente modo; e anche questo mi preoccupa un po’. Comunque, tutti noi che siamo sul territorio e abbiamo sperimentato dall’interno la “vita vera” di una lista civica abbiamo buoni suggerimenti su come organizzare le cose, che derivano dall’esperienza. Spero veramente che ci sarà occasione a breve di parlarne con Beppe.

Cipro e Malta adottano l’euro, moneta unica in 15 paesi

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Il ministro per le Politiche comunitarie Emma Bonino, ha salutato l’evento storico: “Benvenute a Cipro e Malta nella famiglia dell’euro. Il loro ingresso rafforza l’area Ue del Mediterraneo che da domani avrà un’unica valuta, l’euro. E rafforza la fiducia verso la moneta unica che sta garantendo all’Europa stabilità, inflazione contenuta e tassi di interesse favorevoli”… <<<leggi>>>

http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/economia/euro-malta-cipro/euro-malta-cipro/euro-malta-cipro.html

Cipro, l’euro non fa paura al Fisco

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L’ingresso di Cipro nell’Euroclub, già annunciato lo scorso anno e oggi in dirittura d’arrivo, non sembra aver ostacolato la crescita progressiva delle entrate fiscali. Nel 2006, infatti, l’erario cipriota ha centrato l’obiettivo dei 4 miliardi di euro e nell’anno in corso, ma si tratta di stime, dovrebbe approcciare la soglia dei 5 miliardi di euro. Un vero e proprio primato per un Paese la cui popolazione non oltrepassa gli 800 mila abitanti… <<<leggi>>>

http://www.fiscooggi.it/attualita/articolo/cipro-l-euro-non-fa-paura-al-fisco

 

Dati…

http://it.tradingeconomics.com/cyprus/gdp-per-capita

http://it.tradingeconomics.com/cyprus/government-debt-to-gdp

http://it.tradingeconomics.com/cyprus/gdp-growth

 

Siemens, quella ragnatela di tangenti

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Corruzione per contratti nelle tlc, sistemi di sicurezza, energia Soldi anche al sindacato Bmw, Infineon, Commerzbank, Daimler Chrysler, Volkswagen, iemens.Non il gotha tedesco, ma una lista degli ultimi scandali che hanno colpito la corporate Germany. Fino al più grave di tutti, quello che ha ora decapitato nel giro di una settimana Siemens, portando a ignominiosa finela carriera di uno dei mostri sacri del management tedesco… <<<leggi>>>

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Finanza%20e%20Mercati/2007/04/siemens-margiocco.shtml?uuid=0c682774-f48c-11db-95fe-00000e251029&DocRulesView=Libero&refresh_ce=1

Hartz ammette di avere corrotto i sindacalisti Vw ed evita 10 anni di carcere

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Se la dovrebbe cavare con 300 mila euro di multa e una mite condanna a due anni sospesa l’ex top manager di Volkswagen Peter Hartz, 65 anni, architetto della più grande riforma del lavoro del dopoguerra, ma anche del più incredibile scandalo che abbia coinvolto la prima casa costruttrice di automobili in Europa: circa 2 milioni e mezzo in bustarelle e prostitute, viaggi in Brasile compresi… <<<leggi>>>

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Finanza%20e%20Mercati/2007/01/Hartz_Volkswagen_18gen.shtml?refresh_ce=1

Cipro, un isola da conquistare

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Cipro iniziò il suo cammino verso l’ Unione Europea nel 1990. Come Malta, l’ isola di Cipro è l’ unico fra i nuovi Paesi a entrare nella Ue con un’ economia di libero mercato già consolidata. Il turismo è il settore che fa registrare l’ incremento più costante dopo l’ indipendenza riacquistata nel 1960… <<<leggi>>>

http://archiviostorico.corriere.it/2004/luglio/16/Cipro_isola_conquistare_cl_0_040716467.shtml

 

“europeisti”

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Con la moneta unica avremo più disoccupati

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Articolo leggibile direttamente nell’archivio di Repubblica.it

CAMBRIDGE – Si conclude a due passi dal King’ s College, dove insegnava Keynes, questa lunga audizione itinerante per raccogliere le opinioni di economisti americani, europei e giapponesi. La tappa inglese mi è stata suggerita, tra l’altro, dalla curiosità di conoscere, al di là delle ben note obiezioni politiche, le radici teoriche delle diffidenze britanniche nei confronti della unificazione monetaria e di una troppo spinta integrazione europea.

Ricordavo, infatti, come, ancor prima delle ostilità combattive, ma non di rifiuto assoluto, di Margaret Thatcher, i laburisti avessero già assunto verso la Cee una ostilità di principio , il cui impianto teorico si rifaceva, appunto, alla Scuola economica di Cambridge. I suoi diretti esponenti sono ormai scomparsi ma, almeno per questo verso se non per altri, un loro epigono può essere considerato Frank Hahn, forse il maggior economista inglese vivente, ormai alle soglie della pensione (dall’ anno prossimo viene ad insegnare a Siena, dove già tiene dei corsi).

Il personaggio ha fama di ostico, ma si rivela, invece, di gentilissima disponibilità, tanto che l’ intervista che mi concede è preceduta dall’ invio di un fax, con acclusa una piantina e raccomandazioni topografiche perché non mi perda nei labirinti dei “colleges” e delle facoltà universitarie. Quando arrivo, su un cartiglio attaccato a una parete dello studio, vedo scritto: “My life tangs by a thread”, ovvero “La mia vita è appesa a un filo”.

Mi chiedo se si tratti di un lontano riflesso dell’ infanzia, quando con i genitori, due intellettuali ebrei, dovette fuggire, prima da Berlino, dove era nato e, poi, nel ‘ 38, da Praga, dove la famiglia si era rifugiata, prima che vi arrivassero i nazisti. Ma la mia intuizione si rivela errata, almeno stando alla parola del professore, che attribuisce il simbolico detto all’ incertezza degli studi economici, e , quasi per certificarmelo, mi segnala le ultime righe di un suo articolo: “La mia tesi non è che le teorie del Ventesimo secolo non gettino alcuna luce, e neppure che i metodi che se ne ricavano non continueranno a darci qualche lume. Ma prevedo che questi lumi appariranno sempre più fiochi per ricercare risposte ai quesiti… i nostri successori dovranno interessarsi molto meno agli aspetti generali… per affrontare la complessità del particolare, come la simulazione informatica… non sono per essi – o almeno lo sono meno spesso – i piaceri dei teoremi e della prova.

I nostri successori saranno tentati dalle teorie grandi e fumose per sottrarsi al tedio del computer. C’ è da augurarsi che in complesso resisteranno a questa tentazione e aspetteranno pazientemente una nuova alba, come quella spuntata davanti a quanti di noi si sono avvicinati alla teoria economica dopo l’ ultima guerra”.

Una visione così disincantata è maturata lentamente, quale punto d’ arrivo delle delusioni applicative della Teoria degli equilibri economici generali di cui lei è uno dei massimi esponenti, oppure è sempre stata la sua posizione? E la matematica, in questa scetticismo verso le idee generali, che ruolo ha?

“Ho sempre creduto che la teoria economica avesse molta strada da fare per arrivare soltanto a metà cammino verso la cosiddetta scientificità. Come ho scritto in una nota biografica, ciò che mi separa da molti economisti americani è il fatto che essi considerano l’ economia una scienza e spesso si autodefiniscono scienziati, sulla base di quella visione del mondo, affermatasi nel XIX secolo, secondo cui quel che viene realizzato dalle scienze fisiche può essere ottenuto, con gli stessi mezzi, dalle scienze sociali. Ma finora l’ economia non ne ha fornito alcuna prova.

Se mai, l’ economia può essere paragonata al cervello umano per il grado di complessità; quindi siamo molto lontani dal capirne il funzionamento. Non direi, dunque, che sono un disincantato, anzi sono affascinato dall’ economia, pur avendone una visione realistica e constatando come siano stati fatti progressi nella comprensione dei fenomeni ma non nelle previsioni. Il maggiore ostacolo è che l’ evidenza empirica resta ambigua e non si può essere conclusivi nell’ abbracciare o respingere una teoria. Per questo considero la pretesa che l’ economia sia una scienza non solo prematura e non molto onesta ma, quel che è forse peggio, pretenziosa”.

In Italia, recentemente, si è sviluppata una vivace polemica tra economisti proprio attorno all’ uso eccessivo della matematica al di fuori di un sistema generale di pensiero…

“Vuol che le dica qual è il guaio in Italia? E’ che la filosofia viene insegnata nelle scuole e da qui si sviluppano desideri di grandiosità: si vuol mettere insieme e collegare tutto, la sociologia con l’ economia e con la politica. Ora, io credo che sia opportuno abbandonare le grandi idee ma non la matematica, che non è certamente di ostacolo al progresso del pensiero economico, anche perché, se non riusciamo a fare economia con la matematica, allora non possiamo proprio fare economia. Più complicata è la materia, più complicato deve essere il linguaggio che la esprime; il linguaggio matematico ci assicura che non vi sono incongruenze nei nostri ragionamenti. Il problema è che non riusciamo a trovare soluzioni analitiche per tutto, e anche se io mi appassiono ai teoremi e non ai computer, capisco che al giorno d’ oggi anche i matematici debbono ricorrere al computer, come, ad esempio, viene fatto per affrontare le nuove teorie sul caos”.

Il nostro colloquio sta andando lontano dal tema che mi ero prefisso: l’ atteggiamento inglese verso l’ Unione monetaria. Lei, al di là degli aspetti politici, vi vede anche un risvolto teorico?

“Ho tenuto qualche tempo fa una lezione alla Banca d’ Italia dove ho spiegato, dal punto di vista teorico, perché l’ Unione monetaria va contro quasi tutto quello che sappiamo di economia. C’ è una teoria dell’ area monetaria ottimale in cui si dice che la mobilità dei fattori della produzione è cruciale per il raggiungimento degli equilibri, anche se per un keynesiano questa teoria non tiene abbastanza conto di quella che egli considera la variabile centrale: il livello del reddito e, quindi, dell’ occupazione. Ora la mobilità del lavoro è abbastanza elevata tra Inghilterra e Scozia, ma non altrettanto in Europa, per differenze culturali, di lingua, di costumi sociali e, quindi, fissare i tassi di cambio non è una buona idea.

“Tra l’ altro, ho ricordato che la prima tesi contraria ai cambi fissi fu avanzata proprio da Keynes e si basava sulla difficoltà di riduzione dei salari e, quindi, del livello dei prezzi in un paese, se lo richiede la bilancia dei pagamenti. Tale difficoltà trasferisce allora il ruolo equilibratore, dal livello dei prezzi, al livello del reddito e dell’ occupazione (in altri termini, quando l’ industria di un paese non è più competitiva si produce uno squilibrio tra importazioni e esportazioni che si riflette sulla bilancia dei pagamenti: per farla tornare in equilibrio il costo di produzione industriale dovrebbe diminuire, grazie a una riduzione dei salari, ma questo è praticamente difficile, se non impossibile, a causa delle resistenze sindacali e politiche, per cui la via scelta è quella di diminuire l’ occupazione e, per questo mezzo, realizzare l’ equilibrio perduto, ndr).

Con l’ Unione monetaria, invece delle fluttuazioni del cambio si avranno fluttuazioni nel tasso di disoccupazione”.

Perché, allora, l’ altra grande area economica mondiale, gli Stati Uniti, che sono storicamente una Confederazione di Stati, hanno una moneta unica e un tasso di disoccupazione più basso dell’ Europa?

“Negli Stati Uniti trasferimenti delle persone da uno Stato all’ altro o da una regione all’ altra sono ingenti. Non credo che gli europei siano disposti ad effettuare migrazioni sufficienti ad alleviare la disoccupazione”.

Peraltro non crede che i cambi fissi abbiano il vantaggio di assicurare certezza negli scambi internazionali?

“L’argomentazione più comune contro l’ adozione di cambi flessibili è, appunto, che essi creano incertezza ma io credo il contrario. Questo in quanto i mercati valutari sono molto sviluppati; perché ci sono i mercati a termine e ci si può coprire contro i rischi di cambio. Di contro, come ho detto, i cambi fissi sostituiscono le fluttuazioni del cambio con quelle dell’ occupazione. Il vero motivo per sostenere i cambi fissi è, in effetti, il controllo della classe lavoratrice. Infatti, fintanto che i governi non creano un meccanismo che leghi loro le mani, non è possibile contenere l’ inflazione salariale. Credo che i sostenitori del cambio fisso vogliano introdurlo solamente per la paura dell’ inflazione e, poichè di questi tempi siamo nelle mani dei banchieri centrali, per i quali il grande nemico è l’ inflazione più che la disoccupazione, questa scelta si spiega.

In Gran Bretagna qualcosa tra il 2% e il 4% del prodotto interno è stato sacrificato per combattere l’ inflazione. A mio avviso il prezzo da pagare è troppo alto anche se i banchieri centrali non la pensano così e il Cancelliere dello Scacchiere è del loro avviso. Con i cambi fissi pagheremmo questo prezzo fino in fondo”.

Lei, dunque, non teme che l’ inflazione sia un pericolo e che, come ha scritto recentemente l’ Economist in un articolo che ha fatto discutere, l’ unico tasso d’ inflazione desiderabile sia zero?

“Io temo l’ inflazione molto meno di tanti altri: temo molto l’ inflazione in fase di accelerazione ma non l’ inflazione di per sé. L’ Economist sottostima l’ intelligenza della gente. Gli operatori possono imparare quali sono le variazioni dei prezzi relativi sia con un inflazione al 3% che allo 0%. Non scaturisce niente di speciale da un inflazione a tasso zero: la cosa importante è che l’ inflazione sia costante. Molti studiosi sono d’ accordo nel dire che l’ inflazione pienamente prevista non comporta costi. La gente non vuole l’ inflazione quando è inattesa, basta pensare all’ effetto di quest’ ultima sul reddito di un pensionato. Tuttavia non dobbiamo nasconderci che in questo ragionamento resta una questione irrisolta e, cioè, come mantenere l’ inflazione costante. Questo è un vero problema”.

Come lo affronta? Con la politica dei redditi?

“Io penso che ci sia un tasso d’ inflazione naturale, in quanto molti aggiustamenti che si producono nel mercato avvengono in presenza di prezzi crescenti. Anche i comportamenti cooperativi tra le parti sociali si realizzano con prezzi crescenti e l’ inflazione in questo caso diventa quasi un lubrificante delle relazioni sociali, aiuta a trovare l’ accordo. Del resto tra il 1945 e gli anni Sessanta c’ era un’ inflazione al 2,5 per cento e la disoccupazione all’ 1,5 per cento e nessuno si preoccupava”.

Per quanto tempo prevede si prolungherà l’ attuale situazione di prolungata stagnazione? Se le prescrizioni keynesiane sono inapplicabili quale politica economica potrà riempire questo vuoto?

“Non credo che ci sarà una stagnazione. I meccanismi riequilibratori – sia politici che economici – sono potenti. In Gran Bretagna la recessione è stata indotta dal governo che ha voluto ridurre l’ inflazione e se ci dovesse essere veramente una stagnazione politici e banchieri centrali ne sarebbero responsabili. Peraltro, dall’ 87, la politica economica in Inghilterra come negli Stati Uniti è diventata più espansiva. Quanto alle politiche keynesiane non credo che siano state un fallimento, tanto che ora il governo conservatore le sta usando. Dobbiamo ricordarci, però, che esse sono state formulate per periodi di alta disoccupazione e non per situazioni abbastanza vicine alla piena occupazione. La gente è portata a concludere che esse hanno fatto fiasco solo perché oggi non ce n’ è bisogno, ma se diventasse opportuno mettere in atto quelle ricette, allora potremmo utilizzare tutte le conoscenze che abbiamo acquisito, da Keynes in poi”.

Perché è contrario a una Banca centrale europea indipendente?

“I lati positivi di una banca centrale indipendente sono evidenti. Essa, però, fa, comunque, parte delle istituzioni politiche e sociali di un paese e coloro che la dirigono non saranno totalmente impolitici e terranno ben presenti gli interessi delle loro stesse economie: ad esempio la Bundesbank finì per seguire Kohl al momento della riunificazione. Ma non c’ è all’orizzonte un governo federale europeo e non si capisce perché si debba avere una banca centrale sovranazionale: è difficile pensare a una istituzione politicamente più destabilizzante”.

Resta, comunque, il fatto che il Regno Unito, malgrado le difficoltà che inizialmente frappone ad ogni passo dell’ integrazione europea e alle eccezioni che oppone alla piena attuazione delle istituzioni comunitarie, in un secondo momento finisce in genere per accettarle. Come spiega questo atteggiamento?

“Il motivo principale per cui la Gran Bretagna è riluttante a far parte dell’ Europa è che una larga maggioranza della popolazione è contraria a questa idea per vari motivi. In primo luogo una certa xenofobia di vecchia data e la convinzione che l’ Europa significhi burocrati e politici corrotti. Gli inglesi, invece, sono molto fieri, e a ben ragione, delle loro istituzioni politiche e non vogliono perderle. Il motivo per cui alla fine cedono sta nel timore di rimanere isolati, soprattutto dal punto di vista economico. Una Europa unita piace molto ai politici, ed è un bene per loro, ma non per tutti noi. Io vedo il futuro dei popoli in piccole unità che si autodeterminano il più possibile: un enorme Stato europeo, controllato da Bruxelles è una prospettiva che mi fa paura”.

MARIO PIRANI